MALTRATTAMENTO (fr. mauvais traitement; sp. maltratamiento; ted. schlechte Behandlung; ingl. ill-usage)
Maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione o disciplina. - I. Maltrattamenti. - Il delitto di maltrattamenti, talvolta confuso con quello di abuso dei mezzi di correzione, è posto nel codice penale del 1930 sotto il titolo Dei delitti contro la famiglia e più propriamente sotto il capo Dei delitti contro l'assistenza familiare.
Nell'art. 572 è disposto quanto segue: "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (riguardante, cioè, il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina), maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione, o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da otto a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni".
Elemento materiale del delitto di maltrattamenti è la reiterazione degli atti a danno delle persone menzionate in questo articolo, mentre elemento soggettivo è la volontà cosciente di cagionare un danno alle persone anzidette mediante sofferenze fisiche o morali, anche indipendentemente da un impulso di animo malvagio. ll delitto in esame esclude implicitamente quello di abuso dei mezzi di correzione, di cui al precedente art. 571, e può consistere, per esempio, nel fatto di inveire contro le persone sopraccennate, minacciarle, obbligarle a un lavoro superiore alle loro forze, cacciarle fuori di casa, far mancare loro il nutrimento necessario, ecc. Una percossa, o una lesione, isolata non può costituìre il delitto di maltrattamenti, e fa sorgere, invece, il reato di cui agli articoli 581, 582 e 583 cod. pen., a seconda della durata delle conseguenze del fatto illecito. I maltrattamenti, poi, non debbono mai dar luogo a conseguenze di danno alla persona superiori a quelle che derivano da lesioni lievi o lievissime, e cioè le conseguenze non debbono superare i quaranta giorni.
La parola "famiglia" contenuta nell'art. 572 comprende i parenti e gli affini, la donna convivente col colpevole more uxorio (concubina), il figlio o la figlia di costei, legittimo o naturale, ma non i domestici, ben potendo trarsi argomento in senso favorevole all'esclusione dei domestici dal contenuto dell'art. 139 del codice di procedura civile, nel quale, in particolare al capoverso 3°, si fa distinzione, a proposito della consegna dell'atto di citazione, della persona di famiglia del convenuto da quella che sia addetta al servizio di costui. Il Manzini spiegò che "famiglia" implica uno stato di fatto, e non di diritto. Anche i figli naturali debbono essere compresi fra le persone di famiglia. Se la Corte suprema, poi, con sentenza del 14 maggio 1897 (in Giust. Pen., III, 1897, col. 965) a ragione ritenne che la moglie secondo il rito religioso non è coniuge, agli effetti dell'ultimo capoverso dell'art. 391 cod. pen., ormai, a seguito delle leggi 27 maggio 1929, n. 847, e 24 giugno 1929, n. 1159, contenenti disposizioni per l'applicazione del concordato dell'11 febbraio 1929 fra la S. Sede e l'Italia e, in particolare, in virtù dell'art. 34 di tale concordato, per cui lo stato italiano riconosce al sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto canonico gli effetti civili, non può dubitarsi che anche la moglie secondo il rito religioso sia coniuge, e quindi persona della famiglia. Si ha il delitto in esame, anche se i maltrattamenti sono commessi a danno del figlio o della figlia di primo letto (figliastro o figliastra) del proprio coniuge, poiché essi sono affini in linea retta, secondo l'art. 52, capov. 1°, del codice civile. La condizione della convivenza fra il colpevole e la parte lesa non occorre.
Nel caso di maltrattamenti verso il coniuge, secondo l'art. 391, cap. ultimo dell'abrogato codice penale del 1889, era necessaria la querela di parte, mentre nell'art. 572 del codice vigente la querela non è più richiesta, e quindi si può procedere d'ufficio. Ciò per il motivo, addotto dalla stessa relazione al progetto definitivo del codice penale (n. 642), che il più delle volte il coniuge offeso si astiene dal presentare querela per il timore di nuove vessazioni da parte del coniuge colpevole..
Il delitto di maltrattamenti non consente la continuazione (art. 81 cod. pen.), né l'attenuante della provocazione (art. 62 n. 2, in relazione all'art. 65 n. 3) può dirsi compatibile col movente che costituisce il dolo specifico del delitto stesso. Neppure è ammissibile il tentativo di cotesto reato (art. 56).
Alla condanna per il delitto di maltrattamenti conseguono, ai sensi degli articoli 31 e 34 cod. pen., l'interdizione temporanea dai pubblici uffici e dalla professione, industria, arte, e la perdita della patria potestà e dell'autorità maritale. Nell'art. 31 è disposto, infatti, che ogni condanna per delitti commessi con l'abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o a un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel n. 3 dell'art. 28 (cioè, ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura), ovvero con l'abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere. L'art. 34 dispone, poi, che la condanna per delitti commessi con abuso della patria potestà o dell'autorità maritale importa la sospensione dall'esercizio di esse per un tempo pari al doppio della pena inflitta. La sospensione dall'esercizio della patria potestà o dell'autorità maritale importa anche l'incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore o al marito spetti sui beni del figlio o della moglie, in forza della patria potestà o dell'autorità maritale.
Abuso dei mezzi di correzione o disciplina. - L'art. 571 del codice penale concerne il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e punisce con la reclusione da quindici giorni fino a sei mesi colui che, con tale abuso, cagiona danno o pericolo di una malattia, nel corpo o nella mente, a una persona sottoposta alla sua autorità, a lui affidata per ragioni di educazione, di istruzione (per es., scolari, allievi), cura (es., ricoverati in ospedali o in manicomî), vigilanza o custodia (es., infanti dati a balia, ragazzi dati a pensione), ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte (es., garzoni, apprendisti).
Se dal fatto deriva una lesione personale si applicano le pene stabilite per questo reato negli articoli 582 e 583 ridotte a un terzo; e se ne deriva la morte si applica la reclusione da 3 a 8 anni. L' elemento materiale del reato è costituito da un pericolo di danno o da un danno effettivo. Talvolta anche un fatto isolato può dar luogo al delitto in esame, mentre una semplice percossa non può darvi luogo, perché si tratta allora di un mezzo di correzione lecito.
L'elemento soggettivo del delitto consiste nella coscienza e nellȧ volontà di commettere un abuso dei mezzi di correzione o di disciplina a fine correttivo o disciplinare, indipendentemente dalla coscienza e dalla volontà rivolta a cagionare il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente. Il concetto di pericolo di una malattia implica non la semplice possibilità, ma una probabilità dell'evento dannoso, la quale è incompatibile con gli effetti assai tenui che caratterizzano le percosse di cui all'art. 581. Delle più gravi conseguenze derivanti dall'abuso dei mezzi di correzione si è fatto un reato complesso, poiché le conseguenze degli eccessi non si possono configurare come reato distinto dagli stessi eccessi che le abbiano prodotte. E reato complesso, secondo l'art. 84 del codice penale, è quello per cui fatti, che costituirebbero per sé stessi reato, sono dalla legge considerati come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un solo reato.
Quanto all'elemento materiale del delitto di abuso dei mezzi di correzione o disciplina non si richiede neppure che dal fatto derivi una perturbazione generale dell'organismo. Il tentativo del reato in esame (art. 56) è impossibile, mentre è ammissibile la continuazione (art. 81). Gli eventi, descritti nell'art. 571, sono posti a carico dell'autore a titolo di responsabilità obiettiva, cioè, non perché voluti, ma perché esiste un rapporto di causalità materiale tra il fatto del colpevole e gli eventi medesimi. Se la natura del mezzo usato sia tale da escludere di per sé il fine di correggere (es., una rivoltella o un altro mezzo consimile), il delitto in esame rientrerà fra i delitti contro la vita o l'incolumità individuale.
Anche al delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina si riferiscono gli art. 31 e 34 del codice penale, dei quali si è fatto cenno a proposito del reato di maltrattamenti.
La riabilitazione, infine, di cui agli articoli 178 e segg. del codice penale e 597 e segg. del codice di proc. pen., può far cessare le incapacità di cui agli articoli 31 e 34, in quanto che estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. Nell'art. 19, nn. 1, 2 e 5 dello stesso cod. pen. sono indicate come pene accessorie l'interdizione dai pubblici uffici e l'interdizione da una professione o da un'arte, nonché la sospensione dall'esercizio della patria potestà o dell'autorità maritale.
Bibl.: L. Lucchini, Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, in Digesto ital., Torino 1884; V. Marchetti, L'art. 390 del codice penale, Modena 1892; A. Borciani, Abuso dei mezzi di correzione, in Suppl. Riv. pen., II (1893-1894), p. 200 segg.; F. Lombardi, Se l'abitualità sia elemento del delitto dell'art. 390 cod. pen., in Cass. un., VI (1895), col. 803 segg.; S. Pappagallo, Maltrattamenti in famiglia, in Supplemento Riv. pen., VI (1897-98), p. 335 segg.; A. Mortara, Abuso dei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia, in Giur. ital., IV (1898), col. 69 segg.; V. Vescovi, L'elemento materiale nel delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Cass. un., XIII (1902), coll. 1131 e 1163 segg.; id., Maltrattamenti in famiglia e abuso dei mezzi di correzione o disciplina, in Enciclopedia giur. ital., IX, ii, Milano 1904; G. Guidi, Maltrattamenti in famiglia e verso i fanciulli, in Dig. ital., XV, Torino 1903; id., L'istituto della patria potestà di fronte al codice penale, in Suppl. Riv. pen., VIII (1904-1905), p. 5 segg.; B. Alimena, Dei delitti contro la persona, in Enc. dir. pen. del Pessina, IX, Milano 1909, p. 739 segg.; I. Kauffmann, Das Züchtigungsrecht der Eltern und Erzieher, Stoccarda 1910; id., Das Züchtigungsrecht der Lehrer und die Strafrechtsreform, in Schweiz. Zeitschr. für Strafrecht (1912), p. 329 segg.; C. Civoli, Trattato di diritto penale, parte speciale, III, Milano 1913, p. 463 segg., in nota; id., I maltrattamenti verso il servo, in Riv. dir. proc. pen., IV, i (1913), p. 470 segg.; F. Pivano, Questioni intorno all'art. 390 codice penale, in Riv. dir. proc. pen., VI, ii (1915), p. 361 segg.; E. Altavilla, Delitti contro la persona, in Tratt. dir. pen. di E. Florian e altri, 2ª ed., X, Milano 1921, p. 259 segg.; V. Manzini, Trattato di diritto pen. ital., Torino 1922, VII, p. 214 segg.; C. Saltelli e E. Romano Di Falco, Comm. teor. prat. del nuovo codice penale, II, ii, Roma 1930, p. 862 segg.; P. Tuozzi, Corso di diritto penale, 2ª edizione, II, Napoli 1899 segg., p. 573 segg.
Maltrattamento di animali.
L'art. 727 del codice penale vigente (compreso sotto il Capo II, sez. 2ª, tit. 1°, libro III "Delle contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi") stabilisce che "chiunque incrudelisce verso animali o senza necessità li sottopone a eccessive fatiche o a torture, ovvero li adopera in lavori ai quali non siano adatti per malattia o per età, è punito con l'ammenda da lire cento a tremila. Alla stessa pena soggiace chi, anche per solo fine scientifico o didattico, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, sottopone animali vivi a esperimenti da destare ribrezzo. La pena è aumentata, se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, i quali importino strazio o sevizie. Nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, se il colpevole è un conducente di animali, la condanna importa la sospensione dall'esercizio del mestiere, quando si tratta di un contravventore abituale o professionale".
Il medesimo scopo di proteggere gli animali contro inutili crudeltà ha ispirato la legge 12 giugno 1931, propugnata dalla Società per la protezione degli animali, che fu preceduta da vivaci discussioni. Tale legge regola la vivisezione degli animali vertebrati a sangue caldo (Mammiferi e Uccelli), disponendo all'articolo 1 che "la vivisezione e tutti gli altri esperimenti sui detti animali sono vietati, quando non abbiano uno scopo di promuovere il progresso della biologia e della medicina sperimentale, e sono consentiti soltanto negli istituti e laboratorî scientifici del regno, sotto la diretta responsabilità dei rispettivi direttori". Seguono altre norme intese a sviluppare tale concetto, in modo che la vivisezione e gli altri esperimenti sugli animali sopraddetti vengono disciplinati in modo particolareggiato. Secondo l'art. 5, i trasgressori alla legge sono puniti con ammenda da L. 500 a 1000, la quale pena deve essere raddoppiata in caso di recidiva.