Mammella
La mammella (v. il capitolo Torace, Mammella) è un organo pari e simmetrico, che fa parte dell'apparato tegumentario e può essere considerato come una ghiandola sudoripara modificata. È situata sulla superficie anteriore del torace, ai lati della linea mediana, dove appare come un rilievo cutaneo molto sviluppato nella donna, mentre nel maschio è costituita da un organo rudimentale. In gravidanza, sotto l'influsso di stimoli endocrini, le mammelle femminili diventano notevolmente ipertrofiche, assumendo una struttura complessa, con particolari capacità secernenti, in funzione dell'allattamento. La capacità secretoria della mammella, tuttavia, non è legata alle sue dimensioni, poiché il volume dipende dalla quantità di tessuto adiposo e non dalla componente ghiandolare. Dopo la fine dell'allattamento, l'organo subisce un'involuzione; in genere, tuttavia, le sue dimensioni restano lievemente superiori a quelle pregravidiche, per un aumento permanente del parenchima ghiandolare.
di Rosadele Cicchetti
l. Filogenesi
La ghiandola mammaria è tipica dei Mammiferi, il cui nome deriva proprio da questo organo. Rudimentale e inattiva nel maschio, nella femmina ha il compito di secernere il latte, prodotto ricco di caseina, grassi, zuccheri e sali, necessari per nutrire il neonato. La struttura delle ghiandole mammarie è molto varia. Nell'ornitorinco, un mammifero oviparo, mancano vere mammelle con il loro capezzolo, ma sulla parete addominale si trovano aree mammarie nelle quali sboccano un centinaio di ghiandole che riversano una secrezione densa in una depressione della superficie. Nei Marsupiali (canguro, opossum, koala), Mammiferi vivipari la cui prole completa lo sviluppo in una tasca addominale, detta marsupio, sono presenti vere mammelle, più o meno numerose, situate in posizione addominale, all'interno del marsupio: nel canguro il capezzolo si estroflette solo dopo l'inizio della suzione. Tutti gli altri Mammiferi, vivipari placentati, sono dotati di mammelle ben formate, con le ghiandole che si aprono alla sommità di un capezzolo - ben rilevato anche nel periodo di non allattamento - dal quale il neonato può succhiare il latte. In tutte le specie le mammelle si trovano in posizione ventrale, con l'unica eccezione di un roditore a vita anfibia, nel quale sono in posizione dorsale: in tal modo i piccoli possono succhiare il latte mentre vengono trasportati sul dorso dalle madri che nuotano. Il numero delle mammelle è correlato con il numero medio di piccoli che la femmina può partorire e varia da due a una dozzina. Le specie pluripare possiedono numerose mammelle, allineate su due file estese dall'inguine all'ascella; nelle specie solitamente unipare, se ne trova un solo paio, localizzato in posizione ascellare o inguinale. La disposizione pettorale che le mammelle presentano nei Primati può essere probabilmente messa in relazione con la possibilità di adottare una postura eretta, grazie alla quale è consentito alla madre di trattenere la prole fra le braccia. Nei Primati non umani la mammella appare piatta con lunghi capezzoli sporgenti, condizione, questa, molto efficace ai fini del nutrimento della prole. Nella specie umana, invece, in cui la mammella ha acquistato il valore di carattere epigamico, importante ai fini del richiamo sessuale, la sua forma è semisferica, evidenziata dalla pelle nuda priva di pelo.
2.
Qualunque sia il numero delle mammelle presentato dalle varie specie, il loro sviluppo embrionale inizia con la comparsa di lunghe creste mammarie (o lattee), due ispessimenti epidermici longitudinali, localizzati ventralmente da ciascun lato per tutta la lunghezza del tronco, dall'inguine all'ascella. La concentrazione di tessuto in specifici punti lungo le creste porta all'abbozzo delle ghiandole mammarie; i tratti di cresta tra un punto e l'altro regrediscono e solitamente scompaiono. Nella specie umana la regione della cute in cui prendono origine le gemme epiteliali ectodermiche corrisponde all'area mammaria, dove sboccano i condotti escretori delle singole ghiandole. Crescendo, le gemme epiteliali si estendono in superficie e, ramificandosi e dilatandosi in acini, costituiscono alla fine il complesso ghiandolare della mammella. Non si formano tasche mammarie, ma si spiana l'area mammaria circolare, piuttosto estesa, che si solleva al centro nel capezzolo.
di Carlo Romanini, Donatella Rinaldo
l. Anatomia e fisiologia
La forma e le dimensioni della mammella possono variare notevolmente in rapporto al sesso, all'età, alla razza, a caratteristiche individuali. Nella donna adulta la mammella ha in genere una forma grossolanamente emisferica o conica; nella bambina è rudimentale; nelle multipare e nelle obese diventa pendula e voluminosa; in età molto avanzata si determina spesso un'involuzione, che trasforma la mammella in una piega cutanea raggrinzita. Il solco situato tra le due mammelle prende il nome di seno e corrisponde al corpo dello sterno. Nella mammella sono riconoscibili: una faccia piana e una superficie convessa. La faccia piana è appoggiata al torace, nella parte anteriore della regione costale, tra la 3ª e la 7ª costa, estendendosi tra il pilastro anteriore dell'ascella e il margine laterale dello sterno. La superficie convessa è ricoperta dalla cute; la metà inferiore risulta spesso più voluminosa e sporgente, per effetto della forza di gravità. Per tale ragione il limite inferiore della mammella femminile è facilmente individuabile a livello del solco sottomammario, che la separa dalla parete toracica; il limite superiore, al contrario, risulta spesso poco definito. Sulla superficie convessa è presente una sporgenza mediana, il capezzolo, situato al centro di una zona circolare, l'areola. La mammella è irrorata medialmente dai rami perforanti dell'arteria mammaria interna, ramo della succlavia, lateralmente e inferiormente dall'arteria mammaria esterna (o toracica laterale), dalle scapolari (inferiore e superiore), dalla acromiotoracica e infine da rami provenienti dalle arterie intercostali. Le vene seguono in senso inverso il decorso delle arterie e drenano principalmente nelle vena mammaria interna, nella vena ascellare e nelle vene intercostali. I numerosissimi vasi linfatici della mammella hanno origine dagli spazi interlobulari e dalle pareti dei dotti galattofori; possono essere distinti in una rete linfatica sottocutanea e in una ghiandolare intramammaria. Il flusso ha una direzione centrifuga, dirigendosi verso le catene ascellare, mammaria interna e intercostale. A livello del plesso sottoareolare (o superficiale) e del plesso fasciale (o profondo) le due reti linfatiche si anastomizzano tra loro. Il plesso sottoareolare è quello che raccoglie la maggior parte della linfa proveniente dalla mammella. I due collettori principali si portano lateralmente, lungo il margine inferiore del muscolo grande pettorale, raggiungendo i linfonodi del cavo ascellare, distinti in tre stazioni: la 1ª è costituita dai linfonodi della catena mammaria esterna, sulla parete mediale dell'ascella; la 2ª da quelli alla base dell'ascella; la 3ª dai linfonodi satelliti della vena succlavia, dai quali la linfa può raggiungere le stazioni sopraclaveari. Dal punto di vista anatomochirurgico, invece, è possibile dividere i linfonodi in tre livelli, in rapporto al muscolo piccolo pettorale: il 1° livello comprende i linfonodi laterali al muscolo, il 2° quelli situati profondamente a esso, il 3° consiste nei linfonodi che sono al di sopra e medialmente rispetto al margine interno del muscolo. Il plesso profondo drena verso i linfonodi ascellari mediante collettori che decorrono nella fascia del muscolo grande pettorale. I vasi linfatici che originano dalla porzione mediale della mammella attraversano il grande pettorale e raggiungono l'estremità interna degli spazi intercostali, dove scaricano nei linfonodi della catena mammaria interna. Altri due collettori linfatici accessori, infine, drenano la linfa rispettivamente ai linfonodi sopraclavicolari e a quelli sottodiaframmatici dell'ilo epatico, mentre una piccola parte del flusso linfatico raggiunge la mammella controlaterale. I nervi sono costituiti da rami del plesso cervicale, dai rami toracici laterali del plesso brachiale e dai rami perforanti anteriori e laterali dei nervi intercostali 2°-6°. Con le strutture vascolari, giungono alla ghiandola anche fibre simpatiche.
Procedendo dalla superficie in profondità, la mammella è costituita da una serie di strati sovrapposti: cute, tessuto sottocutaneo premammario, ghiandola mammaria, tessuto sottocutaneo retromammario, fascia superficiale sottocutanea, strato lamellare. Dal punto di vista strutturale, la cute che riveste la ghiandola mammaria non si differenzia da quella delle regioni vicine. È liscia, mobile sui piani circostanti e tanto sottile da lasciar spesso trasparire il reticolo venoso sottostante. Tali caratteristiche, tuttavia, si modificano notevolmente a livello del capezzolo (o papilla mammaria), sulla cui superficie pigmentata e irregolare sboccano gli orifizi esterni dei 15-20 dotti galattofori e di numerose ghiandole sebacee. Il capezzolo, a sviluppo completo, ha una forma cilindrica o conica, con un diametro di circa 10-12 mm e un'altezza di circa 10 mm. Esso è situato al centro dell'areola mammaria, una zona cutanea anch'essa pigmentata, a contorno circolare, del diametro di circa 3-5 cm. L'areola presenta delle piccole protuberanze (tubercoli di Morgagni), in corrispondenza delle ghiandole sebacee sottostanti. Tali ghiandole contengono melanociti, i quali producono una notevole quantità di pigmento melaninico, che conferisce all'areola e al capezzolo un colore roseo-brunastro nella bambina e nella nullipara. Con la gravidanza e l'allattamento, la quantità di melanina aumenta ulteriormente; l'areola assume quindi un colore tendente al bruno più scuro. Intorno a essa compare una zona meno scura, detta areola secondaria, mentre i tubercoli di Morgagni diventano più voluminosi e vengono indicati come tubercoli di Montgomery. La secrezione delle ghiandole areolari è oleosa e fornisce una protezione lubrificante durante l'allattamento, quando la cute del capezzolo tende a escoriarsi e screpolarsi con maggior facilità. La zona areolare è caratterizzata inoltre dalla presenza, subito al di sotto della cute, di cellule muscolari lisce, che si spingono in parte nella profondità del derma, in parte verso il capezzolo, disponendosi intorno ai dotti galattofori. Tali fibre muscolari costituiscono nel loro insieme il muscolo areolopapillare, la cui contrazione, in seguito allo stimolo della suzione, determina la spremitura dei dotti ghiandolari. Il derma areolare risulta particolarmente ricco di fibre elastiche; da esso si distaccano tralci connettivali (retinacula) che superano l'ipoderma, e raggiungono la ghiandola mammaria, suddividendola in lobi e lobuli. Lo strato areolare sottocutaneo separa la ghiandola mammaria dalla cute; è costituito da tessuto adiposo più o meno rappresentato, che si divide per avvolgere la componente ghiandolare, sia anteriormente (lamina premammaria) sia posteriormente (lamina retromammaria).
La lamina anteriore o premammaria è generalmente più spessa e suddivisa in piccole logge o fosse adipose da esili creste fibrose (legamenti di Cooper), che uniscono la superficie ghiandolare al derma. Il tessuto adiposo è completamente assente a livello dell'areola e del capezzolo, dove la ghiandola giunge a diretto contatto della cute. La ghiandola mammaria propriamente detta è ricoperta da una sottile capsula di tessuto fibroso, da cui originano le creste fibrose (o legamenti sospensori di Cooper) che la uniscono al derma. Il corpo ghiandolare ha una forma discoidale, di colore grigio-giallastro, e presenta in genere quattro prolungamenti: superolaterale, superomediale, inferolaterale, inferomediale. Di questi, il prolungamento superolaterale (o ascellare) è il più evidente. La mammella risulta costituita da 15-20 lobi indipendenti. I lobi sono frammisti a tessuto adiposo e separati gli uni dagli altri da fasci di tessuto connettivo organizzato in una rete tridimensionale. Ogni lobo si suddivide in lobuli e alveoli, che fanno capo a un dotto escretore (dotto galattoforo), il quale, poco prima di sboccare nel poro omonimo del capezzolo, presenta una lieve dilatazione che prende il nome di seno o ampolla galattofora. Gli alveoli sono delimitati da una lamina basale; la loro parete è costituita da cellule secernenti e da cellule mioepiteliali. Le cellule secernenti, a seconda dello stato funzionale della ghiandola, hanno forma cubica o cilindrica e presentano un nucleo centrale. Gli elementi mioepiteliali, invece, hanno una forma irregolare; contengono miofilamenti orientati parallelamente all'asse principale del dotto galattoforo e sono dotati di numerosi prolungamenti che si dispongono intorno alle cellule secernenti, venendo a costituire una sorta di supporto contrattile, a stretto contatto con la lamina basale. I dotti mammari principali sono rivestiti da epitelio cubico a doppio strato, mentre nei dotti minori l'epitelio è cubico semplice. La lamina retromammaria è meno sviluppata di quella premammaria. È costituita da tessuto adiposo, che aderisce alla fascia superficiale del sottocutaneo, rivestendo la faccia posteriore della ghiandola mammaria. La fascia superficiale del sottocutaneo è definita anche legamento sospensore della mammella, poiché aderisce alla parete toracica e alla superficie della clavicola, mantenendo elevata la ghiandola. Lo strato lamellare separa la fascia del muscolo grande pettorale da quella superficiale del sottocutaneo. Esso consente alla mammella lo scorrimento sui piani sottostanti, soprattutto dopo il periodo d'allattamento, quando il corpo ghiandolare perde i lobuli adiposi, aumentando la sua mobilità.
L'aspetto morfologico della mammella varia considerevolmente in relazione all'età e al sesso. È molto simile nei due sessi durante l'infanzia, quando, nonostante la presenza di dotti rudimentali, non sono ancora sviluppati gli alveoli ghiandolari. Dopo la pubertà, la produzione di ormoni da parte delle gonadi determina un ingrossamento della mammella nelle femmine; nel maschio, invece, l'ulteriore sviluppo viene inibito e il corpo ghiandolare va incontro a processi regressivi, diventando atrofico. Alla pubertà, la mammella muliebre va incontro a profonde modificazioni. All'inizio si osserva un aumento della componente ghiandolare, che è accompagnato dalla ramificazione dei dotti; parallelamente, la mammella aumenta di volume. Durante l'adolescenza l'ingrossamento è dovuto quasi interamente alla proliferazione del tessuto stromale interduttale, ma si osserva anche una proliferazione dei duttuli terminali. Questi ultimi presentano estroflessioni a fondo cieco talmente ricche di cellule da sembrare quasi solide.
Le cicliche modificazioni mammarie durante l'età fertile della donna sono sotto il controllo dell'asse ipotalamo-ipofisario, responsabile dei processi evolutivi e regressivi della ghiandola. La mammella, infatti, è l'organo bersaglio della prolattina e degli ormoni sessuali (estrogeni e progestinici), prodotti dall'ovaio nel corso del processo di maturazione follicolare. La prolattina è un ormone prodotto dall'adenoipofisi anche al di fuori della gravidanza; il suo effetto, tuttavia, non può manifestarsi in modo evidente fino a quando la ghiandola non ha raggiunto un aspetto morfologico e un'attività funzionale completi, come si verifica dopo il parto.
In seguito alla produzione degli ormoni ovarici, la mammella viene a essere caratterizzata da variazioni cicliche, analoghe a quelle dell'endometrio. Durante la fase estrogenica, l'epitelio dei dotti e dei duttuli prolifera, mentre il lume aumenta lievemente di calibro. In periodo periovulatorio, sotto l'influsso del progesterone, inizia un processo di iperplasia stromale; per l'edema congestizio dello stroma, le mammelle hanno una consistenza aumentata. Queste modificazioni diventano particolarmente evidenti nella fase premestruale, quando gli estrogeni e i progestinici agiscono in modo combinato anche sul tessuto connettivo lasso intralobulare, provocando spesso un fastidioso senso di tensione mammaria. Contemporaneamente, si formano nuovi lobuli di tessuto alveolare, mentre nei duttuli è presente una secrezione abortiva. Se non avviene la fecondazione, la ghiandola subisce un rapido processo involutivo. In particolare, durante la mestruazione si osserva una desquamazione delle cellule epiteliali; l'edema congestizio scompare, il connettivo intralobulare va incontro ad atrofia e il volume in toto della mammella diminuisce. Con l'inizio della gravidanza la mammella modifica le sue caratteristiche morfologiche fino ad acquistare un'attività funzionale completa; durante l'allattamento, i processi evolutivi raggiungono la massima intensità. Nella prima fase della gravidanza, gli estrogeni stimolano la crescita dei dotti, mentre il progesterone favorisce la neoformazione di alveoli terminali. Dopo l'inizio dell'attività endocrina da parte della placenta, il progesterone da questa prodotto stimola la trasformazione degli alveoli in unità secernenti, agendo in sinergismo con gli estrogeni e con due ormoni prodotti dall'adenoipofisi (prolattina e ormone luteinizzante). A livello strutturale, si osserva un'iperplasia epiteliale, mentre gli alveoli si ampliano progressivamente; ciascun gettone ghiandolare, a partire dal 3° trimestre, si trasforma in una vera e propria ghiandola secretoria. In questa fase la mammella risulta costituita quasi esclusivamente da tessuto ghiandolare, mentre la componente stromale è notevolmente ridotta; si nota quindi una vera e propria inversione del rapporto glandulostromale. Entro le 24 ore successive al parto, si osserva un'intensa fase congestizia, cui segue quella secretoria (montata lattea). All'interno delle cellule compaiono goccioline lipidiche, responsabili della produzione di un secreto detto colostro.
Dopo 2 giorni circa, in seguito alla caduta del tasso ematico di estrogeni e progesterone, l'adenoipofisi aumenta notevolmente la liberazione di prolattina che, dopo il parto, stimola la ghiandola mammaria alla produzione di latte. La distensione degli alveoli, dovuta all'accumulo di secreto ricco di granuli proteici, fa sì che le cellule secernenti da cilindriche diventino cubiche. Il passaggio del latte dalle cavità alveolari all'interno dei dotti è assicurato dalla presenza delle cellule mioepiteliali, che costituiscono una sorta di apparato contrattile disposto intorno alle cellule secernenti. Tra una poppata e l'altra, il latte prodotto progredisce fino ai seni lattiferi, dove si accumula; in questo modo tutto il sistema tubulare si riempie di latte. Con la poppata si verifica un'aspirazione che porta alla fuoriuscita di latte dai pori del capezzolo; la suzione da parte del neonato, inoltre, suscita un riflesso nervoso che, partendo dalla zona capezzolo-areolare, attiva l'asse ipotalamo-ipofisario. La conseguenza è rappresentata dall'immissione in circolo di ossitocina da parte dell'ipofisi posteriore; questo ormone stimola la contrazione delle cellule mioepiteliali e di quelle periduttali, che spremono all'esterno il contenuto dei dotti galattofori. È per questo motivo che dopo un parto senza allattamento, mancando lo stimolo della suzione, la secrezione lattea cessa e, in tali circostanze, i processi regressivi appaiono particolarmente rapidi. In caso di allattamento al seno, al contrario, la produzione di latte continua in media per 5-6 mesi dopo il parto, per ridursi gradualmente e cessare del tutto verso il 9° mese.
2.
La mammella può essere sede di anomalie congenite e morfologiche, processi infiammatori e tumorali, patologie causate da disfunzioni endocrine. Possono essere inclusi tra le anomalie congenite i casi di assenza della mammella (amastia) o del capezzolo (atelia), nonché la presenza di mammelle (polimastia) o di capezzoli (politelia) soprannumerari lungo la 'cresta lattea', cioè lungo la linea che congiunge l'ascella e l'inguine. La forma più comune è rappresentata dalla presenza di un capezzolo soprannumerario al di sotto della mammella normale. Le ghiandole mammarie accessorie sono invece localizzate per lo più a livello ascellare e possono diventare particolarmente voluminose durante la gravidanza e l'allattamento. Tra le anomalie morfologiche, più frequenti di quelle congenite, vanno ricordate quelle del capezzolo, che può essere breve, invaginato od ombelicato; tali alterazioni possono essere tanto pronunciate da rendere l'allattamento difficoltoso o addirittura impossibile.
La mammella può essere sede di processi di tipo infiammatorio (mastiti), sia acuti sia cronici. La forma più frequente è costituita dalla mastite aspecifica, che può comparire durante il periodo dell'allattamento. In questo gruppo sono compresi anche gli ascessi mammari e le lesioni post-traumatiche. Molto frequenti sono le patologie causate da disfunzioni endocrine, responsabili di quadri che vanno dall'aumento abnorme del volume mammario (ipertrofia) alle alterazioni morfofunzionali (displasia). A quest'ultima categoria appartiene la malattia fibrocistica, caratteristica dell'età fertile femminile, le cui manifestazioni più vistose sono rappresentate da un aumento del tessuto fibroso e dalla presenza di formazioni cistiche benigne, talvolta dolenti, soprattutto nella fase premestruale del ciclo. Tra i tumori benigni il più frequente è il fibroadenoma, costituito dalla proliferazione di tessuto sia fibroso sia ghiandolare, che si presenta come un nodulo circoscritto e colpisce prevalentemente donne al di sotto dei 30 anni. Il carcinoma della mammella è il tumore maligno al primo posto tra le cause di morte per cancro nel sesso femminile. Fattori di rischio per questo tipo di neoplasia sono: un aumento assoluto o relativo degli estrogeni, un'età avanzata (superiore ai 50 anni), l'obesità, la familiarità, la nulliparità. La lesione può colpire sia la componente duttale (90% dei casi), sia quella lobulare (10% dei casi); il tipo istologico più frequente è il carcinoma duttale infiltrante. Le lesioni all'inizio sono circoscritte, ma successivamente si estendono in tutte le direzioni, potendo giungere alla fascia toracica profonda e causare fissità. La progressione in direzione della cute può determinare retrazione e infossamento di quest'ultima. Se i vasi linfatici superficiali sono ostruiti dalla neoplasia, l'accumulo locale di linfa può determinare un ispessimento cutaneo (cute a buccia d'arancia), mentre l'interessamento dei dotti principali può causare una retrazione del capezzolo. Tardivamente le lesioni neoplastiche possono portare a ulcerazioni cutanee. La diffusione avviene piuttosto precocemente e si verifica prevalentemente per via linfatica. I linfonodi più frequentemente coinvolti sono: gli ascellari, gli interpettorali, i sopraclaveari, i mammari interni, i mediastinici. La diffusione a distanza si realizza principalmente per via ematica o linfoematogena; le metastasi più frequenti sono quelle a carico dei polmoni (75%), delle ossa (65%), del fegato (62%), della pleura, del surrene, della cute, della tiroide, delle ovaie (8%), dell'utero (4%).
Un'ottima possibilità diagnostica è fornita dalla mammografia, alla quale può essere associata l'ecografia, che permette una visione diretta della lesione, e un eventuale ago aspirato o agobiopsia mirata. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica sono invece indicate per valutare la diffusione della malattia (stadiazione). La stadiazione (o classificazione clinica in stadi) del carcinoma della mammella proposta dall'Unione internazionale contro il cancro, che si fonda sul sistema TNM (T = tumore; N = presenza o assenza di metastasi ai linfonodi; M = presenza o assenza di metastasi a distanza), è riportata in tabella. La terapia è chirurgica, associata a chemio- e/o radio- e/o ormonoterapia, variando a seconda del tipo di lesione e a seconda della stadiazione. Nei casi di pazienti con linfonodi negativi sottoposti primariamente a intervento chirurgico, la sopravvivenza fino a dieci anni è del 55% circa. La prognosi è influenzata negativamente dal verificarsi delle seguenti circostanze: coinvolgimento dei linfonodi; diametro massimo del tumore > 4 cm; interessamento della cute e/o del capezzolo; basso grado di differenziazione istologica o nucleare; lesione non circoscritta e presenza di zone necrotiche; estensione della malattia ai quadranti periferici; tumore multicentrico; tumore rapidamente proliferante; mancanza di recettori ormonali; età della paziente superiore ai 35 anni.
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