Ray, Man (noto anche come Man-Ray)
Nome d'arte di Emmanuel Rudnisky, pittore, fotografo, designer, scrittore e regista cinematografico statunitense, nato a Filadelfia il 27 agosto 1890, da padre di origine ucraina e da madre bielorussa, e morto a Parigi il 18 novembre 1976. Fotografo tra i più importanti del secolo e punto di riferimento nell'arte del Novecento, ebbe con il cinema un rapporto tendenzialmente casuale ed episodico, segnato da una volontà di evasione e di sperimentazione, e legato soprattutto al suo primo soggiorno parigino e alle esperienze dadaista e surrealista (v. dadaismo e surrealismo).
Nel 1897 si spostò con la famiglia a New York, dove frequentò corsi di disegno e la galleria 291 di A. Stieglitz. Nel frattempo cambiò il suo nome in Man (diminuzione di Emmanuel) Ray (raggio), profetizzando il proprio destino di fotografo. Nel 1913, trasferitosi per alcuni anni a Ridgefield nel New Jersey, conobbe Marcel Duchamp, con cui condivise la passione per gli scacchi e l'indirizzo artistico, e assieme al quale nel 1921 pubblicò il numero unico di "New York Dada". Contemporaneamente, la sua attività cominciò a dividersi tra fotografia, pittura e costruzione di 'oggetti affettivi'. Nel luglio dello stesso anno partì per Parigi, città che sentiva più consona ai suoi interessi, dove lo accolse il gruppo dei dadaisti, per i quali eseguì numerosi ritratti fotografici. Del 1922 sono i suoi primi rayographs, fotografie realizzate senza macchina fotografica direttamente su carta, con la semplice interposizione dell'oggetto tra la pellicola e la fonte luminosa. Nel 1923, sotto la spinta di Tristan Tzara, realizzò il suo primo brevissimo lavoro cinematografico Retour à la raison, che venne presentato il 6 giugno nell'ultima serata ufficiale del Dadaismo. Il cortometraggio era stato preceduto da Madame la Baronne Elsa von Freytag Loringboven se rase le pubis, girato nel 1921 a New York insieme a Duchamp e mai terminato, che avrebbe poi costituito la base della sua collaborazione nel 1925 ad Anémic cinéma dello stesso Duchamp. Stando alle dichiarazioni del regista (in Self portrait 1963; trad. it. 1975), Retour à la raison fu elaborato in una sola notte, incollando in modo casuale alcuni spezzoni di pellicola impressi attraverso la tecnica fotografica dei rayographs e aggiungendo poche riprese, girate per prolungare la proiezione. L'idea era quella di assecondare lo spirito giocoso e dissacratorio degli artisti Dada, fatto di improvvisazione, assemblaggio e immaginazione, negazione dell'arte come processo spettacolare e disarticolazione del senso degli oggetti d'uso; ma al tempo stesso R. intendeva imprimere movimento ad alcuni particolari risultati ottenuti con la fotografia.
Nel 1924 si unì al gruppo dei surrealisti e cominciò a esporre con loro; inoltre, considerato ormai uno dei massimi fotografi viventi, pubblicò per le maggiori riviste di moda internazionali. Quello con la fotografia fu del resto un rapporto fondamentale in tutto il cinema di R., soprattutto per l'uso della luce e delle tecniche di impressione della pellicola. Il film Emak Bakia (1926) è in questo senso una sorta di campionario sulla rifrazione luminosa in cui le forme degli oggetti si dissolvono nella luce. Anche qui il principio seguito è l'accostamento automatico e casuale delle immagini, alcune delle quali recuperate dal film precedente, come fossero oggetti indipendenti e perennemente contestualizzabili. Lo scopo era quello di realizzare un film solo 'da guardare', un "cinepoema", come viene definito in una didascalia; ma il tentativo di concludere con un finale narrativo e il leitmotiv dell'occhio (che si ripete per tutto il film) ne allargano il senso facendone un lavoro per certi versi metalinguistico.
Il rapporto con il Dadaismo, che l'aveva portato nel 1924 a partecipare insieme a Duchamp a Entr'acte di René Clair, deviò lentamente verso un'adesione al Surrealismo i cui primi segnali si hanno già in Emak Bakia con le scene oniriche che compaiono alla fine del film e con il senso di rêverie che lo pervade interamente. Ma è nel 1928, con la realizzazione di L'étoile de mer, che questo legame si fa evidente: in questo terzo film di R., tratto da una poesia di R. Desnos, scompare la matericità dei primi lavori così come la struttura spesso bidimensionale delle immagini, ma non una volontà artigiana di sperimentazione che tematizza la visione. Per visualizzare i versi alla base del film, R. aveva infatti inventato una lente opaca che rendeva le immagini sfumate e accentuava gli effetti stranianti delle riprese e il carattere onirico e immaginifico del testo.
Nel 1929 venne invitato dal visconte di Noailles a trascorrere un periodo di riposo nel suo castello di Hyères nel Sud della Francia assieme ad altri ospiti. Ispirato dalla geometria cubica della costruzione, partendo dal verso di S. Mallarmé "un colpo di dadi non abolirà mai il caso", R. girò Le mystère du château de dés. La macchina da presa abita il castello, indaga l'architettura, si uniforma a essa e al movimento allegro e surreale degli oggetti e delle persone. Le cose si muovono in assoluta autonomia, mentre gli uomini e le donne, con i volti coperti di seta nera e quindi completamente privi di identità, nuotano, giocano con dadi e attrezzi ginnici. L'ultimo film di R. è un film paradossalmente narrativo, nato come documentario e trasformato in un esempio ibrido di cinema surreale-dadaista, in cui la casualità del montaggio è sostituita dalla casualità dei gesti e in cui la storia appare incomprensibile perché in realtà non c'è niente da comprendere.
Dopo questa esperienza R. cercò ancora di realizzare dei brevi film insieme ad amici come Jacques Prévert, ma senza successo. Aveva già da tempo deciso di tornare alla "perenne staticità" della pittura e degli oggetti, perché in fondo il cinema non l'aveva mai interessato davvero. In seguito all'occupazione nazista di Parigi fu costretto nel 1940 a tornare negli Stati Uniti, stabilendosi a Los Angeles. Finita la guerra, nel 1951 tornò a Parigi, dove si occupò soprattutto di pittura e della costruzione di oggetti. Nel 1961 fu insignito della Medaglia d'oro per la fotografia alla Biennale di Venezia. La sua autobiografia (Self portrait, 1963) è stata tradotta in italiano (1975) e riproposta in Tutti gli scritti (1981).
Surréalisme et cinéma, in "Études cinématographiques", 1965, 38-39; A. Schwarz, Man Ray. Il rigore dell'immaginazione, Milano 1977; Il cinema d'avanguardia. 1910-1930, a cura di P. Bertetto, Venezia 1983, passim.