MANASSE
Figlio di Guarniero conte di Troyes e di Teutberga, nacque sul finire dell'IX secolo. Nella famiglia il nome Maginerius era stato modificato in quello, di stampo biblico, di Manasse.
M. dovette la sua ascesa alla parentela, per parte di madre, con la stirpe dei Bosonidi; Teutberga era infatti sorella del conte di Vienne, Ugo, che s'impose in Provenza allorché il re e imperatore Ludovico III tornò cieco dalla sua seconda spedizione in Italia, nel 905. Diventato duca e in seguito marchese, Ugo provvide a collocare nelle posizioni chiave della Provenza i suoi familiari. Dovette essere grazie a lui che M. poté accedere al seggio arcivescovile di Arles, dopo la morte del predecessore Rostagno.
La prima menzione di M. come arcivescovo è del 25 dic. 920, quando sottoscrisse a Vienne un atto di scambio fra Ugo e l'abbazia di St-André-le-Bas (Cartulaire de St-André-le-Bas, n. 18). Poco dopo il suo insediamento ottenne da Ludovico III (1( febbr. 921) la conferma in favore della chiesa di St-Étienne dei beni e dei proventi già ottenuti dal suo predecessore: le abbazie d'Aniane, di Goudargues e di Cruas; i diritti di ripatico del porto di Arles, il teloneo, la zecca e i proventi dalla comunità ebraica (Gallia Christiana, Marseille; Arles, n. 244).
L'importanza dell'arcivescovato di Arles in materia fiscale è confermata da un inventario, privo di data e forse successivo all'episcopato di M., in cui sono elencati le numerose decime, i diritti di pascolo e di pescheria e tutti i beni fiscali originariamente detenuti dal conte. Oltre il diploma del 921 sono noti solo altri due atti, del 923 e relativi sempre alla gestione dei beni fondiari ed ecclesiastici della diocesi.
Non è noto se M. fosse già in Italia nel 926, quando Ugo di Provenza vi giunse e detronizzò Rodolfo II di Borgogna per governare la penisola. Alla morte dell'arcivescovo di Milano, Lamberto (19 giugno 931), Ugo trasferì Ilduino, anch'egli parente del re, da Verona alla sede metropolitana lombarda. In tale occasione Raterio, segretario di Ilduino e aspirante alla sede veronese, fu inviato a Roma dal papa Giovanni XI per il pallium e ne approfittò per perorare la propria causa. Giovanni XI gli rimise una lettera di raccomandazione per la sua promozione a Verona e Ugo, "iratissimus", si dovette piegare nonostante il suo desiderio di affidare questa diocesi, ganglio vitale per la sicurezza del Regno, a una figura di fiducia, una delle quali, secondo lo stesso Raterio, poteva essere M. nominato "contra ius licet canonum" (Raterio di Verona, Die Briefe).
L'occasione di imporsi sul territorio italiano fu data a M. dalle difficoltà incontrate da Ugo lungo la frontiera nord-orientale nel 934-935. Tra il 933 e il 934, in seguito a trattative nelle quali Raterio - imparentato con il duca di Baviera Arnolfo - e il conte di Verona, Milone, sembrano aver giocato un ruolo di primo piano, ebbe luogo un tentativo di prendere il potere in favore di Everardo, figlio di Arnolfo. Arnolfo, giunto in Italia, fu accolto a Verona dalle autorità cittadine, sostenute a loro volta da una fazione di honoratiores. Ugo bloccò agevolmente l'esercito bavarese e riprese la città senza incontrare resistenza (febbraio 934), dopodiché Raterio fu imprigionato a Pavia. La tensione non si placò poiché, qualche mese più tardi, il re di Germania Enrico I progettò una spedizione fino a Roma, annullata in seguito alla paralisi che lo colpì nell'autunno 935. A queste incertezze di ordine politico si aggiungeva il pericolo, sempre presente, delle incursioni magiare, segnalate nel 933 e nel 935, che erano state accompagnate da devastazioni a Verona e nelle campagne bresciane. Era dunque importante per Ugo, sotto tutti i punti di vista, rinforzare le sue posizioni in quest'area del Regno. M. fu dunque chiamato a sostituire Raterio a Verona, e ricevette anche le Chiese di Trento e Mantova.
Una tale concentrazione di diocesi nelle mani di una sola persona era sconcertante. Da parte papale non sembra ci siano state reazioni, cosa che può essere spiegata con la difficile situazione della Sede romana in quegli anni. Per il resto, Roma scompariva davanti al principio dell'autorità regia in materia di nomina episcopale, particolarmente forte nella pratica corrente del Regno di Provenza, dalle cui file proveniva Ugo, anche se nel contempo era molto vivace il dibattito in ambito ecclesiastico. Liutprando da Cremona, che scrive vent'anni dopo gli avvenimenti e ha ugualmente presente il successivo trasferimento di M. da Verona a Milano, lo rimprovera di aver abbandonato la sua Chiesa di Arles: "contra ius fasque" (Liutprandus Cremonensis, (Antapodosis, IV, 6 s.) e sostiene che tale azione fu motivata solo da interesse economico. Ciò di cui beneficiava M. era più un cumulo di funzioni che una vera e propria traslazione, poiché non rinunciò alla sua dignità di arcivescovo di Arles, ed è proprio contro questo cumulo di rendite che si indirizzò il biasimo di Raterio, il quale non poteva essere ostile ai trasferimenti, poiché egli stesso aveva fatto affidamento sulla promozione di Ilduino alla cattedra milanese per accedere all'episcopato.
Non è chiaro se M. esercitasse realmente la carica vescovile congiuntamente a Verona, Trento e Mantova o se si limitasse alla gestione delle risorse economiche delle tre diocesi. Il modo in cui, nel 928, Ilduino era stato insediato a Verona può in effetti far pensare a una soluzione di questo genere: Ilduino aveva infatti ricevuto l'episcopato "ad stipendii usum", o "iure stipendiario" (ibid., III, 42; Raterio di verona, Die Briefe), il che lo metteva in una posizione di attesa in vista di un suo trasferimento alla sede di Milano nel 931, senza andare, forse, contro la legislazione in uso nella Chiesa. L'espressione utilizzata da Liutprando in merito ai tre vescovati ricevuti da M., "in escam" (attinta dalle Sacre Scritture), non è che un altro modo di formulare il concetto di "ius stipendiarium". Una tale costruzione istituzionale poteva applicarsi in modi diversi a seconda dei luoghi e dello stato di vacanza delle sedi: a Trento M. figura a pieno titolo nella lista episcopale, tra i vescovi Bernardo e Lantramnus; a Mantova è attestato un presule di nome Pietro per gli anni 937-947, il che non esclude che M. abbia effettivamente occupato tale funzione prima del 937; a Verona, infine, si comportò come titolare a tutti gli effetti, se si tiene conto del fatto che egli stesso nominò, nel 946, un vescovo di sua scelta per questa sede al fine di contrastare Raterio.
Il controllo dei proventi delle diocesi di Verona, Mantova e Trento doveva servire a M. a organizzare la difesa di quella che fu chiamata la "Marca Tridentina" (Liutprandus Cremonensis, Antapodosis, III, 49, ricorre a tale espressione già narrando l'invasione di Arnolfo di Baviera).
Non si trattava di rimodellare la geografia amministrativa delle circoscrizioni per creare una sorta di Marca "ottoniana", come nel caso di Verona qualche anno più tardi, ma di orientare le risorse di una regione in vista dello sforzo militare e difensivo da approntare. Elemento centrale del sistema realizzato fu la munitio di Formicaria (attuale Castel Firmiano), che sbarra la chiusa di Bolzano lungo la riva destra del corso superiore dell'Adige e la cui guardia fu affidata al chierico Adelardo. M., secondo le indignate parole di Liutprando, "quo impellente diabolo, dum miles esse inciperet, episcopus esse desineret" (ibid., IV, 6). Se era infatti consuetudine di esigere dai vescovi un servizio in armi, era la prima volta che emergeva una tale accezione territoriale, un segnale ante litteram della crescente autonomia del potere militare dei prelati.
La responsabilità della Marca di Trento faceva di M. un personaggio chiave per il Regno, poiché dalla sua fedeltà dipendeva la sicurezza di Ugo di Provenza. Tuttavia proprio M. defezionò in favore di Berengario II che, fuggito dall'Italia nel 941, preparava dalla Svevia il terreno per prendere il potere in Italia. Agli inizi del 945 Berengario II si presentò a Formicaria con un piccolo esercito e oltrepassò, secondo Liutprando, senza difficoltà lo sbarramento grazie alle promesse fatte ai suoi sostenitori: al chierico Adelardo, guardiano della chiusa, sarebbe stata assegnata la diocesi di Como, mentre M. avrebbe ottenuto l'arcidiocesi di Milano. Il racconto di Liutprando è in questa occasione da accogliere con riserva almeno in parte, poiché Adelardo (che ottenne alla fine l'episcopato di Reggio) è attestato come vescovo già dal gennaio 945, il che esclude che vi sia stato collocato da Berengario II, ma resta plausibile, per quanto riguarda M., che avesse forse sperato di succedere a Ilduino quando questi morì nel 936; il fatto che Ugo gli avesse allora preferito un altro candidato, Arderico, ha potuto influire sulla sua successiva defezione. Fatto sta che M. sostenne la causa con energia: "munitionem solum Berengario dare non iussit, verum etiam Italos omnes eius in auxilium invitavit" (ibid., V, 26). Con il vescovo di Modena, Guido, e il conte di Verona, Milone, egli divenne il principale alleato di Berengario II, divenuto summus Regni consiliarius e arbitro del gioco, malgrado l'elezione di Lotario II alla guida del Regno e il permanere di Ugo sul trono, in associazione con il primo. Ciononostante, non tutto era stato ottenuto e Raterio aveva approfittato dell'incertezza politica per far ritorno in Italia; M. riuscì a farlo imprigionare da Berengario II per più di tre mesi, ma Raterio fu alla fine liberato e tornò a Verona, dove fu accolto dal conte Milone, non dispiaciuto di liberarsi in tal modo del potere di M., di cui si poteva sempre temere un ripensamento in favore di suo zio Ugo. M. contrappose allora a Raterio un chierico della diocesi di Arles, il cui nome non è noto, che egli stesso consacrò di sua iniziativa come vescovo di Verona, ma che probabilmente non si insediò sulla cattedra episcopale veronese.
La partenza di Ugo per la Provenza e la sua morte (10 apr. 947) eliminarono gli ultimi ostacoli all'ascesa politica di Manasse. La sua importanza a corte è attestata dal fatto che, nel giugno 947 a Pavia, egli intervenne, "dilectus fidelis" (I diplomi( Lotario, p. 255 n. 3) e arcivescovo (sottointeso di Arles), presso Lotario II, per una donazione fondiaria in favore della giovane Adelaide, figlia di Rodolfo II di Borgogna, che il sovrano aveva appena sposato. Il favore che sembra avergli accordato Lotario II rivela un interesse ben chiaro: in M., suo parente, egli trovava un contrappeso efficace davanti allo strapotere di Berengario II. Nel maggio 948 Raterio fu perciò pregato, per ordine regio, di cedere di nuovo il posto a M. a Verona e, quindi, riattraversò le Alpi.
La morte dell'arcivescovo di Milano Arderico (tra il 13 e il 15 ott. 948) permise infine a M. di realizzare le sue ambizioni; la sua elezione all'arcivescovato scatenò però uno scisma in seno alla Chiesa ambrosiana, dove una parte sostenne, contro M. - uno straniero giunto ex datione regis - un prete milanese, Adelmanno, membro probabilmente degli ordinarii tra i quali erano generalmente eletti gli arcivescovi di Milano. L'atmosfera fu particolarmente tesa, gli avversari disputandosi "non in cathedra sed in arcu et faretra" (Arnolfo di Milano, p. 70), ma M. non perse mai il sostegno del re, come testimoniano un diploma (perso e di discussa autenticità: I diplomi( Lotario, p. 377 n. 6; cfr. Böhmer, I, 3, n. 2158) con cui Lotario II concedeva alla Chiesa di Milano e al suo arcivescovo il diritto di battere moneta, nonché un intervento di M. definito "consanguineus noster et consiliarius" per la concessione di un diploma alla Chiesa di Como nel maggio 950 (I diplomi( Lotario, p. 283 n. 15).
La forza della posizione di M. traspare anche dal fatto che, dal 948, sembra sia potuto tornare regolarmente in Provenza. Nel settembre di quell'anno egli cedeva una parte importante della sua eredità paterna in favore dell'abbazia di Cluny, nel quadro di una donazione redatta ad Arles concessa per la salvezza dei suoi familiari, fra i quali è menzionato anche suo zio Bosone, marchese di Toscana dal 931 al 936 (Recueil des chartes( Cluny, I, n. 726).
La morte di Lotario II (22 nov. 950) e l'incoronazione di Berengario II e del figlio di questo, Adalberto (15 dicembre), significarono a breve un indebolimento di Manasse. Forse, per ottenere il sostegno del potente conte di Verona, Milone, egli cedette, in cambio di un sostanzioso contributo, l'episcopato di Verona al nipote di questo, anch'egli di nome Milone. Poi, insieme con il conte, sostenne Ottone in occasione del suo intervento in Italia, avvenuto ai primi d'autunno del 951, il che ebbe come conseguenza immediata di vedersi gratificare del titolo di arcicappellano (Pavia, 10 ottobre) e poi di arcicancelliere (Como, 15 febbr. 952; Die Urkunden Ottos I., nn. 138, 145). Non è forse nemmeno un caso che uno dei suoi missi presiedette a Monza nell'ottobre 951 in occasione di uno scambio fondiario (Codex diplomaticus Langobardiae, n. 597): impossibilitato a insediarsi sulla cattedra milanese, M. poteva approfittare della presenza di Ottone per affermare la propria autorità nella diocesi. In seguito fu a capo di una delegazione di prelati in occasione del sinodo riunitosi ad Augusta nell'agosto 952, sotto la presidenza dell'arcivescovo di Magonza e in presenza di Ottone, al margine di un'assemblea che consacrò lo stabilirsi di un legame vassallatico fra Berengario, Adalberto e Ottone (Concilia aevi Saxonici, VI, p. 190).
Si è voluto al riguardo vedere la presenza di M. come una convocazione, e nel contenuto dei canoni, riguardanti la disciplina del clero, una velata condanna alla gestione delle sue numerose diocesi, ma la cosa è molto improbabile. È più importante sottolineare che, per la prima volta dopo tanto tempo, gli atti di un concilio avevano valore da una parte all'altra delle Alpi, il che era un modo d'integrare l'Italia in un più vasto contesto, prefigurante l'Impero.
Alla fine del 952 o agli inizi del 953 la situazione milanese dovette risolversi con l'elezione di un nuovo arcivescovo, Valperto. Gli avversari di un tempo, M. e Adelmanno, si erano ritirati, stando ad Arnolfo di Milano, "sponte vel invito" (p. 42), probabile allusione a un intervento d'autorità di Berengario II che non aveva più motivo di contare sul sostegno di M., il quale ripiegò in Provenza, dove è attestato nell'agosto e nel dicembre 954 in atti riguardanti la gestione fondiaria della diocesi di Arles (Gallia christiana, Arles, nn. 255-257). Anche in seguito, tra luglio 956 e settembre 958, M. fu uno dei destinatari, insieme con altri prelati provenzali, di un atto sinodale redatto in una riunione, il cui luogo non è precisato, presieduta dagli arcivescovi di Lione e di Sens.
Ciononostante, M. non aveva del tutto rinunciato alle sue pretese su Milano, a giudicare dalla presenza, forse in occasione di un suo ultimo soggiorno in Italia, di uno dei suoi missi in uno scambio avvenuto nel marzo 959 a Velate, presso Varese, fra alcuni privati e S. Maria del Monte (Codex diplomaticus Langobardiae, n. 633). Forse, malgrado l'insediamento di Valperto, era stato mantenuto lo statu quo in vigore ai tempi di Adelmanno, con una sorta di tacita ripartizione di aree di azione fra la città e alcune zone della diocesi. Non si può però nemmeno escludere che Berengario II abbia proceduto a un reinsediamento di M. nella cattedra milanese in seguito al deteriorarsi dei rapporti con Valperto, che avrebbe preso il partito di Liutolfo, il figlio di Ottone, quando giunse in Italia, nell'ottobre 956, alla guida di un contingente militare per contrastare Berengario II. Valperto si sarebbe allora rifugiato presso la corte di Ottone, dopo il gennaio 957, data in cui è ancora attestato a Milano e, nel dicembre 960, si unì all'ambasciata pontificia inviata a Ottone in Ratisbona per lamentarsi di Berengario II e Adalberto, e in quell'occasione espose le sue rimostranze contro Manasse. La venuta in Italia di Ottone nell'ottobre 961 mise fine alla carriera italiana di M., che lasciò libero il campo a Valperto. La sua attività in Provenza è ancora documentata nel novembre 961.
M. morì il 17 nov. del 962 o del 963.
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