Mandato d'arresto europeo. Profili processuali
La nuova procedura di consegna basata sul mandato d’arresto europeo viene esaminata alla luce dei più recenti indirizzi giurisprudenziali della Corte di giustizia e della Corte di cassazione, con particolare riferimento al suo rapporto con l’estradizione, all’incidenza sui termini di custodia cautelare sofferti all’estero, e all’applicazione del motivo di rifiuto basato sul principio di territorialità.
La decisione quadro 2002/584/GAI del 13.6.2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea, ha sostituito dal 1° gennaio 2004 il tradizionale sistema di estradizione convenzionale con un meccanismo semplificato di arresto e consegna delle persone ricercate, perché condannate in via definitiva, ovvero perchè nei loro confronti è stata – o deve essere – esercitata l’azione penale1. La più recente evoluzione dell’istituto, anche nel corso del 2011, si è essenzialmente caratterizzata per un sistematico intervento della giurisprudenza di legittimità, impegnata in una delicata operazione di travaso interpretativo, realizzata attraverso un fecondo interscambio di principi dai «vasi comunicanti» della materia estradizionale e della nuova procedura di consegna euro-unitaria. Nell’ambito della nuova procedura di consegna, concepita dal legislatore europeo quale prima espressione storica del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie (ex art. 1, § 2, della su citata decisione quadro), le connotazioni proprie del modello estradizionale vengono sostanzialmente rovesciate, poiché i soggetti del rapporto di collaborazione non sono più gli Stati, ma le autorità giudiziarie, e la stessa nozione di estradizione addirittura scompare, sostituita dalla nozione di consegna (surrender o remise), mentre la domanda di estradizione, trasmessa dalle autorità di governo attraverso canali diplomatici o amministrativi, viene rimpiazzata dalla circolazione di un ordine europeo, o eurordinanza, emessa dall’autorità giudiziaria e interamente riconducibile agli atti di esercizio del potere giurisdizionale. Gli elementi costitutivi della procedura di consegna «post-estradizionale» sono rappresentati: a) dall’instaurazione di relazioni dirette tra le autorità «di emissione» e «di esecuzione» dell’eurordinanza; b) dalla previsione di un numerus clausus di motivi di rifiuto obbligatori e facoltativi; c) dalla sostanziale scomparsa del controllo sulla doppia incriminazione in relazione ad un ampio catalogo di figure criminose individuate nell’art. 2, n. 2, della decisione quadro; d) dalla rapidità e certezza della fase di esecuzione del mandato d’arresto europeo, attraverso la predeterminazione di termini massimi per la decisione sulla consegna e per il successivo trasferimento della persona.
1.1 Un nuovo modello di cooperazione basato sul principio del mutuo riconoscimento
Il mandato d’arresto europeo ha rappresentato il primo di una serie di strumenti normativi con i quali il principio del mutuo riconoscimento è stato progressivamente applicato ai più diversi settori della cooperazione giudiziaria penale, fino a divenire un vero e proprio ordine categoriale dei rapporti di cooperazione tra gli Stati membri: dal suo «irrompere» sulla scena, infatti, lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia tende ad acquisire la dimensione di un’area di libera circolazione dei provvedimenti giudiziari, nel cui perimetro il decisum espresso dall’autorità giudiziaria di uno Stato viene riconosciuto negli ordinamenti degli altri Stati membri e può essere eseguito sul loro territorio senza che sia necessario fare ricorso alle procedure di conversione in un corrispondente titolo giudiziario. L’istituto del mandato d’arresto europeo, dunque, si pone come l’archetipo di un nuovo modello di cooperazione, le cui radici, peraltro, continuano, sia pure in parte, ad alimentarsi dall’ «alveo mnemonico» del diritto estradizionale di matrice convenzionale (ex artt. 31, § 2 e § 3, e 32 della decisione quadro), o interna (ex art. 39, co. 1, l. 22.4.2005, n. 69, che ha recepito nel nostro sistema la decisione quadro 2002/584/GAI del 13.6.2002)2. A differenza dell’atto conclusivo del procedimento estradizionale, tuttavia, esso integra le forme di un vero e proprio provvedimento giudiziario (ex art. 1, § 1, della decisione quadro 2002/584/GAI), che rientra nel genus dell’ordine europeo o eurordinanza, la cui circolazione non necessita di particolari procedure formali. Si tratta di un atto distinto ed autonomo dal provvedimento coercitivo emesso nel procedimento penale interno. Non è, dunque, quest’ultimo provvedimento a dover circolare (tanto che la decisione quadro non ne prevede la trasmissione), ma proprio il mandato d’arresto in quanto tale, vale a dire il formulario codificato nell’Annesso alla decisione quadro. Il nuovo meccanismo di consegna, infatti, si basa sul riconoscimento «a monte» dei provvedimenti de libertate emessi in ciascuno Stato membro: ciò consente di deliberare sulla consegna in virtù della mera indicazione dell’esistenza del provvedimento a quo (sentenza esecutiva, mandato d’arresto o qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva dotata della stessa forza3) e di altre sintetiche informazioni, tassativamente indicate nell’art. 8, § 1, della decisione quadro In particolare, quel che rileva ai fini della decisione sulla consegna, è che l’autorità giudiziaria di esecuzione abbia la possibilità di esercitare un controllo sufficiente sul mandato d’arresto europeo4.
1.2 Gli orientamenti della Corte di giustizia
I primi orientamenti delineati dalla Corte di giustizia incidono in profondità sull’ambito di applicazione del nuovo meccanismo di consegna, ponendone in luce profili di centrale rilevanza, la cui valutazione in sede processuale non può prescindere dall’esigenza di un’«interpretazione uniforme» da parte delle autorità giudiziarie dei vari Stati membri dell’UE. Al riguardo, le principali linee interpretative su cui tende a svilupparsi l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Lussemburgo sembrano orientarsi non solo verso la individuazione di una «griglia » di concetti e nozioni (ad es., «residenza» e «dimora»5, «stessi fatti»6, ecc.) dotati di «autonomia» nel diritto dell’Unione, perché privi di un espresso richiamo al diritto nazionale, ma anche verso la prudente ricerca di un quadro di principi generali (ad es., interpretazione conforme), il cui specifico rilievo possa dirsi pacificamente riconosciuto e condiviso all’interno dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Sotto altro, ma connesso profilo, il riconoscimento del carattere giuridicamente vincolante della Carta dei diritti fondamentali ha introdotto un ulteriore parametro di legittimità nello spazio cognitivo riservato al giudice comunitario, rafforzandone la funzione nomofilattica. Collocandosi entro tale prospettiva ermeneutica, la Corte di giustizia ha stabilito che l’art. 2, n. 2, della decisione quadro, nella parte in cui sopprime il tradizionale requisito della doppia incriminazione per le trentadue categorie di reato ivi elencate, non determina alcuna violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, atteso che la definizione degli stessi e delle sanzioni applicabili continua a rientrare nella competenza dello Stato membro emittente7. Grava infatti su tale Stato l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali ed i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 TUE, tra i quali è indubbiamente ricompreso il principio di legalità dei reati e delle pene (espressamente previsto, in particolare, dall’art. 7 CEDU e ribadito, da ultimo, nell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza).
L’attuazione del mandato d’arresto europeo nell’ordinamento italiano è avvenuta all’esito di un tormentato iter parlamentare, con l’entrata in vigore della l. 22.4.2005, n. 69, recante «disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri». Rispetto al quadro emergente dalla fonte normativa «esterna», il legislatore nazionale ha predisposto un sistema di «sbarramento» alla consegna assai più rigoroso, attraverso l’introduzione di una generale e indiscriminata obbligatorietà delle diverse tipologie di condizioni ostative, in taluni casi addirittura non contemplate dal legislatore europeo. Basti pensare alla rilevanza attribuita ad alcune situazioni, processuali o di fatto, non previste dalla decisione quadro, in cui la corte d’appello, quale organo competente per la procedura passiva di consegna, è obbligata a rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro dell’UE (ad es., l’art. 1, co. 3 e l’art. 8, co. 3, nonché l’art. 18, co. 1, lett. b). lett. c). lett. e). lett. i). lett. s). e lett. t). l. n. 69/2005). Si tratta di una scelta che si pone oggettivamente in contrasto con lo spirito che anima la decisione quadro, non solo in quanto viene ad escludere, di fatto, qualsiasi potere discrezionale dell’autorità giudiziaria, ma anche, e soprattutto, perché le ipotesi di rifiuto ivi tassativamente previste dovrebbero considerarsi del tutto eccezionali. Analoghe considerazioni possono farsi, del resto, in ordine alla scelta di subordinare la consegna alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, secondo la previsione dell’art. 17, co. 4, l. n. 69/2005, condizione non prevista nella decisione quadro e che costituisce di per sé una rilevante deviazione dai principi del diritto estradizionale convenzionale.
In diverse occasioni, i punti «critici» della normativa di attuazione sono giunti al vaglio della Corte di cassazione, che ne ha proposto un’interpretazione «correttiva» degli effetti palesemente distorsivi rispetto al contenuto ed alle finalità dello strumento comunitario. Ciò è avvenuto non solo delineando percorsi interpretativi orientati in senso «conforme» al quadro dei principi generali posti a fondamento del nuovo istituto, ma anche attraverso la valorizzazione di un’interpretazione logico-sistematica volta a comparare le conseguenze negative, o addirittura «regressive», della disciplina interna, rispetto al modus operandi proprio della tradizionale procedura estradizionale.
3.1 L’interpretazione «adeguatrice» della Corte di cassazione
In ordine al requisito dei gravi indizi di colpevolezza, la Corte di cassazione ritiene sufficiente un controllo limitato alla verifica che il mandato d’arresto emesso all’estero, per il suo intrinseco contenuto o per gli altri elementi raccolti in sede investigativa o processuale, sia fondato su un «compendio indiziario » ritenuto dall’autorità giudiziaria emittente seriamente «evocativo» di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si richiede la consegna. In altri termini, il mandato d’arresto europeo deve necessariamente fondarsi su «gravi indizi di colpevolezza », che devono essere tuttavia soltanto «riconoscibili» dall’autorità giudiziaria italiana, spettando invece all’autorità emittente ogni tipo di valutazione sulla loro consistenza e forza probatoria8. Parimenti, in relazione al requisito della motivazione del titolo dell’arresto, le Sezioni Unite, con la pronuncia da ultimo citata, hanno escluso che esso debba essere strettamente parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, ritenendo sufficiente che l’autorità giudiziaria di emissione abbia dato «ragione» del mandato d’arresto, anche solo attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali9. Un’interpretazione «adeguatrice», originalmente combinata con una prospettiva ermeneutica di tipo logico-sistematico, è stata accolta dalla S.C. in relazione al motivo di rifiuto della consegna nell’ipotesi in cui «la legislazione dello Stato membro emittente non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva» (ex art. 18, lett. e), l. n. 69/2005). Al riguardo la giurisprudenza di legittimità10, successivamente avallata dalla stessa Corte costituzionale11, ha ritenuto compatibili con il nostro ordinamento non soltanto quei sistemi giuridici in cui sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, ma anche quelli in cui siano comunque previsti specifici meccanismi processuali che comportino, secondo cadenze cronologicamente prefissate, un controllo giurisdizionale sulla necessità della custodia cautelare, funzionale alla sua legittima prosecuzione, ovvero alla sua immediata cessazione. Né, d’altra parte, costituisce causa ostativa alla consegna l’assenza della relazione sui fatti addebitati prevista dall’art. 6, co. 4, lett. a). della legge sopra citata, qualora vengano ritenute sufficienti, ai fini della valutazione del requisito previsto dall’art. 17, co. 4 (sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza), le indicazioni esplicitate nel mandato di arresto europeo12, ovvero in altri atti ad esso equipollenti13. Nella stessa prospettiva, inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che non ogni minima lacuna del m.a.e. determina necessariamente il rifiuto della consegna: spetta all’autorità giudiziaria di esecuzione stabilire se, in considerazione della concreta fattispecie penale e di ogni altra informazione trasmessa, la lacuna possa considerarsi effettivamente ostativa alla consegna14. È comunque necessario che l’oggetto della domanda non appaia «incerto»15 e che lo Stato di emissione abbia offerto all’autorità giudiziaria italiana tutti gli elementi utili per esercitare il suo controllo. In tal senso, appare degno di rilievo l’indirizzo non formalistico delineato dalla S.C., secondo cui non ogni irregolarità del m.a.e. e della documentazione ad esso allegata produce necessariamente un’ipotesi di nullità, qualora il vizio si presenti come innocuo, ossia in sè irrilevante, o comunque inidoneo a riverberarsi sulla validità degli atti processuali successivi16. Infine, per quel che attiene al rilievo delle garanzie costituzionali sul «giusto processo» (ex art. 2, co. 1, lett. b), l. n. 69/2005), le Sezioni Unite, con la pronuncia sopra citata, hanno circoscritto in via generale l’incidenza delle clausole di salvaguardia dei principi costituzionali nazionali, contenute nella legge attuativa, ai soli principi «comuni» di cui all’art. 6 TUE. In tale prospettiva, esse hanno rimarcato l’esigenza del rispetto dei canoni del «giusto processo» come definiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare di quelli enunciati nell’art. 6 CEDU, ai quali espressamente si richiama, del resto, l’attuale formulazione dell’art. 111 Cost., non rilevando, pertanto, ai fini della decisione sulla consegna, l’entità del trattamento sanzionatorio17. Con sentenza n. 227 del 21-24.6.201018 la Corte costituzionale – sollecitata dalla stessa Corte di cassazione quale giudice rimettente19 – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, co. 1, lettera r). l. n. 69/2005, nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia la residenza o la dimora nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente alle disposizioni del diritto interno. In particolare, la Corte ha ritenuto il contrasto della norma impugnata con gli artt. 11 e 117 Cost., facendo leva sui parametri interposti costituiti dall’art. 4, n. 6, della su menzionata decisione quadro (disposizione che fonda il potere degli Stati membri di rifiutare la consegna del residente o del dimorante) e dall’art. 18 TFUE (già art. 12 TCE), in relazione alla violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, presupposto dalla prima disposizione e formalmente sancito dalla seconda. All’autorità giudiziaria competente, inoltre, spetta accertare la sussistenza del presupposto della residenza o della dimora, all’esito di una valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti la situazione della persona, quali, tra gli altri, la durata, la natura e le modalità della sua presenza nel territorio italiano, nonché i legami familiari ed economici che la stessa intrattiene nel nostro Paese20, in armonia con gli orientamenti interpretativi delineati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea21. La scelta discrezionale adottata dal legislatore è stata ritenuta confliggente con lo stesso tenore letterale della norma «esterna», il cui contenuto, nella prospettiva della risocializzazione del condannato, oggettivamente riconosce a tutte e tre le categorie di soggetti ivi menzionati – cittadini, residenti e dimoranti nel territorio dello Stato di esecuzione – lo stesso tipo di tutela.
3.2 I più recenti indirizzi della giurisprudenza di legittimità
Un esempio paradigmatico del movimento «bi-direzionale» dei principi della materia estradizionale e della nuova procedura di consegna euro-unitaria, cui si accennava inizialmente, può cogliersi, da un lato, nella estensione alla procedura estradizionale del divieto di consegna relativo alla madre di prole di età inferiore a tre anni (previsto per il m.a.e. dall’art. 18, lett. s). l. n. 69/2005), in quanto espressione di un principio generale informato alla primaria esigenza di tutela dell’interesse del minore22, e, dall’altro lato, nel ritenere applicabili al mandato d’arresto europeo i principi da tempo stabiliti in materia estradizionale, con riguardo ai profili della stabilità e della irrevocabilità del consenso alla consegna validamente prestato (in quanto equiparabile ad un negozio unilaterale recettizio, insuscettibile di revoca, espressa o implicita)23. Nella medesima prospettiva, inoltre, la S.C. ha chiarito che quando la richiesta di consegna presentata dall’autorità straniera riguardi fatti commessi in parte nel territorio dello Stato ed in parte in territorio estero, la verifica della sussistenza del motivo di rifiuto previsto dall’art. 18, co. 1, lett. p), l. n. 69/2005, deve essere coordinata con la disposizione contenuta nell’art. 31 della decisione quadro 2002/584/GAI del 13.6.2002, che fa salvi eventuali accordi o intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento della sua adozione, «nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre gli obiettivi di quest’ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato»24. Sotto altro profilo, tuttavia, deve osservarsi che un’interpretazione restrittiva del principio di territorialità tende ad affermarsi nella più recente giurisprudenza della S.C., secondo cui sussiste il motivo di rifiuto della consegna previsto dall’art. 18, co. 1, lett. p), l. n. 69/2005, solo quando la consumazione dei reati oggetto del m.a.e. sia avvenuta in tutto o in parte nel territorio italiano, e le relative condotte, sufficientemente precisate nei loro estremi oggettivi con riferimento a fonti specifiche di prova, siano idonee a fondare una notizia di reato che consenta all’autorità giudiziaria italiana l’immediato e contestuale esercizio dell’azione penale per gli stessi fatti per i quali procede il giudice estero25. Un contrasto giurisprudenziale si è formato in ordine alla computabilità della custodia cautelare sofferta all’estero in caso di emissione del mandato da parte dell’autorità giudiziaria italiana: secondo un primo indirizzo, anche di recente ribadito, la custodia cautelare sofferta all’estero deve essere computata agli effetti dei termini di fase anche nell’ipotesi in cui il soggetto detenuto all’estero sia al contempo sottoposto ad espiazione di una pena detentiva e non sia stato posto nella disponibilità della giurisdizione italiana26; un diverso orientamento, per contro, ritiene comunque necessario, da un lato, che la persona richiesta dall’Italia sia stata posta a disposizione della giurisdizione italiana, e, dall’altro, che la custodia cautelare sia stata sofferta «in esecuzione» del mandato d’arresto europeo27.
1 Sulle problematiche inerenti alla disciplina del nuovo istituto ed al suo recepimento nell’ordinamento italiano v., di recente, Chelo, Il mandato di arresto europeo, Padova, 2010, p. 3 ss.; Ricci, voce Mandato d’arresto europeo, in Dig. pen., Agg., V, Torino, 2010, 527 ss.; De Amicis-Iuzzolino, Guida al mandato d’arresto europeo, Milano, 2008; Marchetti, voce Mandato d’arresto europeo, in Enc. dir., Ann., vol. II, t. I, Milano, 2008, 539 ss.
2 In tal senso pare opportuno precisare che, secondo una recente interpretazione offerta dal giudice comunitario (C. giust. CE, 12.8.2008, Goicoechea, C-296/08, in Cass. pen., 2009, p. 373 ss.), l’effetto di sostituzione delle convenzioni internazionali espressamente elencate nell’art. 31, § 1, della decisione quadro 2002/584/GAI, non comporta la cessazione di tali strumenti convenzionali, che «rimangono pertinenti nei casi in cui uno Stato membro abbia reso una dichiarazione conformemente all’art. 32 della decisione quadro, ma anche in altre situazioni dove il regime del mandato d’arresto europeo non sarebbe applicabile» (§ 58).
3 Secondo Cass., sez. VI, 16.11.2010, n. 42159, in CED Cass, n. 248689, la richiesta di consegna si basa sulla sola «esecutività», e non certo sulla «irrevocabilità» della sentenza.
4 Cfr. il considerandum n. 8 della decisione quadro.
5 C. giust. CE, Grande Sezione, 17.7.2008, C-66/08, Kozlowski, in Cass. pen., 2008, p. 4399 s..
6 C. giust. UE, 16.11.2010, C-261/09, in Cass. pen., 2011, p. 1219.
7 C. giust. CE, Grande Sezione, 3.5.2007, C-303/05, in Foro it., 2007, IV, c. 438
8 Cfr., in particolare, Cass., S.U., 30.1.2007, n. 4614, in Cass. pen., 2007, 1911 s.; da ultimo, nell’ambito di una giurisprudenza ormai consolidata, v. Cass., sez. F., 24.8.2010, n. 32381, CED Cass, n. 248254.
9 Nello stesso senso, da ultimo, v. Cass., sez. VI, 29.12.2010, n. 45668, in CED Cass, n. 248971.
10 Cass., S.U., 30.1.2007, n. 4614, in CED Cass., n. 235352; da ultimo, nello stesso senso, v. Cass., sez. VI, 2.7.2010, n. 26194, ivi, n. 247827.
11 Corte cost., 14-18.4.2008, n. 109, in Giur. cost., 2008, 1363 s.
12 Cass., sez. VI, 28.4.2006, n. 14993, in CED Cass, n. 234126; Cass., sez. VI, 28.8.2007, n. 25421, ivi, n. 237270.
13 Cass., sez. VI, 18.6.2007, n. 24771, in CED Cass., n. 236985.
14 Cass., sez. VI, 21.11.2006, n. 40614, in CED Cass., n. 235514.
15 Cass., sez. VI, 11.12.2008, n. 46298, in CED Cass., n. 242008.
16 Cass., sez. F., 11.09.2008, n. 35288, in CED Cass., n. 240720.
17 Cass., sez. VI, 3.5.2007, n. 17632, in Cass. pen., 2008, p. 2929.
18 Al riguardo v. il commento di Amalfitano, Il mandato d’arresto europeo nuovamente al vaglio della Consulta, in www.forumcostituzionale.it, 23.12.2010, p. 1 ss.
19 Cfr. Cass., sez. VI, 15.7.2009, n. 3351, in CED Cass., n. 244756; Cass., sez. F., 1.9.2009, n. 34213, ivi, n. 244387.
20 Cass., sez. F., n. 30039, 27.7.2010, n. 30039, in CED Cass., n. 247810; Cass., sez. F., 3.8.2010, n. 31009, ivi, n. 247811.
21 C. giust. UE, 6.10.2009, C – 123/08, Wolzenburg, in Cass. pen., 2010, p. 1185; v., inoltre, C. Giust. CE, Grande Sezione, 17.7.2008, C-66/08, Kozlowski, cit.
22 Cass., sez. VI, 10.3.2009, n. 19148, in CED Cass., n. 243318.
23 Cass., sez. VI, 20.12.2010, n. 45055, in CED Cass., n. 248968.
24 Cass., sez. VI, 20.12.2010, n. 45524, in Cass. pen., 2011, 1338 ss. – con osservazioni di De Amicis, ivi, 1341 ss. – che ha ritenuto applicabile l’art. II dell’Accordo bilaterale italo-tedesco del 24.10.1979, ratificato con l. 11.12.1984, n. 96. Sul punto v., inoltre, Calò, In claris non fit interpretatio? Una pronuncia della Cassazione sul mandato di arresto europeo, in Dir. pen. proc., 2011, 711 ss.
25 Cass., sez. VI, 25.2.2011, n. 7580, in CED Cass., n. 249233.
26 Cass., sez. I, 17.3.2010, n. 21056, in CED Cass., n. 247646; nello stesso senso, da ultimo, v. Cass., sez. V, 30.6.2011 – 1.8.2011, n. 30428, ove si precisa che i termini di fase cominciano a decorrere comunque dalla notifica del m.a.e.
27 Cass., sez. I, 20.1.2010, n. 11496, in CED Cass., n. 246534.