Abstract
L’analisi dell’istituto è condotta delineandone fisionomia e tratti caratteristici ed illustrando le procedure di consegna che hanno sostituito, nelle relazioni tra Stati membri dell’Unione europea, le disposizioni convenzionali in materia di estradizione.
L’istituto del mandato di arresto europeo ha rappresentato la prima forma di attuazione, nel settore penale, del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, divenuto criterio informatore della cooperazione giudiziaria nell’Unione a seguito del Consiglio europeo di Tampere del 1999.
L’elevato livello di fiducia esistente tra i partners europei, basato sulla consapevolezza che ciascun sistema giudiziario assicuri le garanzie fondamentali del giusto processo, ha costituito la premessa per approntare, nel quadro giuridico dell’Unione, meccanismi più agili di consegna delle persone raggiunte da provvedimenti limitativi della libertà personale, in vista del “superamento”, tra gli Stati membri, della tradizionale procedura di estradizione.
È così venuta alla luce – anche sotto la spinta propulsiva dell’emergenza terroristica, “ridestata” dagli attentati del 2001 – la decisione quadro del Consiglio 2002/584/GAI (del 13.6.2002), «relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri», destinata a sostituire, nelle relazioni reciproche, tutte le disposizioni convenzionali applicabili in materia di estradizione (art. 31).
Il passaggio dall’istituto plurisecolare dell’estradizione, segnato da un notevole tasso di politicità, alla procedura, prettamente giudiziaria, della consegna della persona ricercata, ha impresso una svolta rilevante nel cammino verso una politica comune europea in materia penale ed ha aperto, senza dubbio, nuove frontiere nel settore della cooperazione giudiziaria.
Se è indiscutibilmente un’evoluzione dell’estradizione, di cui condivide le finalità, il mandato di arresto europeo non può esserne inteso, però, come forma semplificata (Marchetti, M.R., voce Mandato d’arresto europeo, in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008, 539). Diversa ne è, infatti, la logica, informata al principio del mutuo riconoscimento. Differenti sono, di conseguenza, le modalità operative.
Definito dalla decisione quadro come «decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà» (art. 1), il mandato di arresto europeo è, in sostanza, un “ordine” rivolto dall’autorità giudiziaria di uno Stato dell’Unione all’omologa autorità di altro Stato membro, da eseguirsi con l’arresto del ricercato e la sua consegna, in tempi predeterminati (art. 17 e 23, al Paese richiedente.
Il titolo sottostante – che ne legittima il ricorso – può essere una sentenza di condanna (irrevocabile o meno) a pena non inferiore a quattro mesi o un provvedimento cautelare custodiale (o qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza) avente ad oggetto fatti puniti dalla legge dello Stato emittente con una pena limitativa della libertà non inferiore nel massimo a dodici mesi (cfr. art. 2, par.1, e art. 8, par. 1, lett. c).
Il mandato di arresto europeo non va confuso, tuttavia, con il provvedimento che ne giustifica l’adozione e che è destinato ad essere eseguito dalle autorità dello Stato richiedente. Esso è, invece, un distinto atto giudiziario, a valenza extra-nazionale, che, in forza del principio del reciproco riconoscimento, acquista efficacia diretta nell’ordinamento dello Stato richiesto ed obbliga l’autorità giudiziaria dell’esecuzione a darvi seguito.
La fase esecutiva si articola in due momenti: l’arresto del ricercato e la sua consegna all’autorità richiedente. Queste due domande, che nel sistema convenzionale europeo di estradizione si inseriscono in due fasi distinte del procedimento (richiesta di arresto provvisorio e richiesta di estradizione), nel contesto della decisione quadro confluiscono nel medesimo «atto» ed integrano i due segmenti di attuazione dello stesso.
Sotto il primo profilo, stando alla logica della decisione quadro, l’arresto del ricercato rappresenta adempimento indefettibile, preliminare ad ogni forma di valutazione e di controllo ad opera dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione (cfr. artt. 11, 13 e 14). Un controllo giudiziario subentra solo successivamente, quando si tratta di decidere, nelle more della procedura di consegna, sul mantenimento dello stato di custodia o sulla rimessione della persona in libertà provvisoria, a condizione che siano adottate misure atte ad evitare che il ricercato si dia alla fuga (art. 12).
Per quanto attiene all’esecuzione della consegna, oltre ad essere sottratta a scelte di carattere politico, prescinde, altresì, da valutazioni che coinvolgano il merito dell’accusa. Un penetrante sindacato di merito, si porrebbe in contrasto con la reciproca fiducia che ispira l’euro-mandato e ne “tradirebbe” la ragion d’essere. E tuttavia, lo stesso principio del reciproco riconoscimento non comporta un arretramento delle giurisdizioni nazionali al punto da permettere un’automatica esecuzione della richiesta proveniente dall’autorità straniera, sicché la decisione sul dar seguito o meno alla consegna è subordinata, comunque, ad un controllo sufficiente – avente ad oggetto la verifica del rispetto delle condizioni poste dalla decisione quadro – rimesso esclusivamente all’autorità giudiziaria dello Stato richiesto (considerando n. 8).
La disciplina congegnata a livello europeo non ha tardato ad “accendere” il dibattito politico e giuridico nel nostro Paese sulla compatibilità di tale meccanismo con i principi costituzionali (cfr. Caianello, V.-Vassalli, G., Parere sulla proposta di decisione quadro sul mandato di arresto europeo, in Cass. pen., 2002, 462 ss.), tanto che l’Italia ha “rischiato” di non aderire, sin dall’inizio, all’accordo siglato dagli altri Stati membri. Il voto favorevole del Governo italiano alla decisione quadro è stato, alla fine, subordinato all’avvio delle procedure di adeguamento di diritto interno per rendere la decisione «compatibile con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali» e per «avvicinare il sistema giudiziario e ordinamentale italiano ai modelli europei, nel rispetto dei principi costituzionali».
Travagliato è stato, di conseguenza, l’iter legislativo per conformare il diritto interno alla decisione quadro (Kalb, L., a cura di, Mandato di arresto europeo e procedure di consegna, Milano, 2005, 536 ss.) e il risultato – trasposto nella l. 29.4.2005, n. 69 – mostra sensibili deviazioni rispetto alle linee portanti della normativa sovranazionale (che la Commissione europea non ha mancato di stigmatizzare; cfr. le relazioni n. 407/2007 e n. 175/2011).
La preoccupazione di salvaguardare le garanzie costituzionali a presidio della libertà personale ha indotto il legislatore nazionale a mettere in “discussione” lo stesso principio del mutuo riconoscimento. È stata, innanzitutto, bandita – salvo, come si dirà, nell’ipotesi di arresto ad iniziativa della polizia giudiziaria a seguito di segnalazione nel Sistema di informazione Schengen (SIS) – la regola dell’automaticità dell’arresto della persona ricercata, prevedendosi, al contrario, che sia la corte di appello a dover disporre, ove necessario, una misura cautelare. Quanto alla decisione sulla consegna, è stato introdotto l’obbligo della corte di appello di valutare la sussistenza dei «gravi indizi di colpevolezza» allorquando il mandato di arresto europeo non sia finalizzato alla esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna (infra, § 4). È stato, inoltre, stabilito che al mandato debba essere allegata (o prodotta su specifica richiesta) copia della sentenza di condanna a pena detentiva o del provvedimento cautelare (art. 6), prescrivendosi, altresì, che la sentenza abbia il carattere dell’irrevocabilità ed il provvedimento cautelare sia motivato e sottoscritto da un giudice (art. 1, co. 3).
La legge di attuazione, infine, non solo ha limitato – sfruttando la facoltà concessa dalla decisione quadro (art. 32) – l’operatività del nuovo istituto ai reati commessi a partire dal 7 agosto 2002, ma, andando oltre le statuizioni europee e manifestando, ancora una volta, diffidenza per il meccanismo del mutuo riconoscimento, ha differito l’obbligo di consegna senza accertamento della «doppia incriminazione» (infra, § 2.2) ai soli reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore della legge (vale a dire il 14 maggio 2005).
Tra gli aspetti qualificanti dell’istituto risalta, innanzitutto, la mancata previsione del filtro politico-amministrativo tipico del procedimento di estradizione (additato come una delle principali ragioni dell’inefficienza del meccanismo estradizionale tra i Paesi UE), chiaramente inconciliabile con la “fiducia reciproca” tra gli Stati membri alla base del principio del reciproco riconoscimento.
Ai sensi della decisione quadro, il mandato di arresto deve essere trasmesso direttamente dall’autorità giudiziaria emittente all’autorità giudiziaria dell’esecuzione (art. 9), salvo che lo Stato membro – qualora l’organizzazione del proprio sistema giudiziario lo renda necessario – non abbia affidato ad una autorità centrale la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati (art. 7). Tale autorità centrale è chiamata a svolgere unicamente compiti di assistenza amministrativa alle autorità giudiziarie competenti, sicché alcun ruolo decisionale residua in capo agli organi politici dello Stato.
Pur non essendovi specifiche necessità connesse all’organizzazione giudiziaria interna, la legge di attuazione ha demandato al ministro della giustizia – nella qualità di autorità centrale – il compito di provvedere alla trasmissione ed alla ricezione amministrativa dei mandati e della documentazione ufficiale ad essi relativa, subordinando la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie alla condizione di reciprocità nei limiti e con le modalità previsti da specifici accordi internazionali, fermo restando, in tale eventualità, l’obbligo dell’autorità giudiziaria italiana di informare «immediatamente il ministro della giustizia della ricezione e dell’emissione di un mandato di arresto europeo» (art. 4).
Oltre a quelle di mero tramite tra le autorità giudiziarie interessate, altre competenze del ministro della giustizia sono previste in tema di richiesta allo Stato di emissione di integrazione documentale (art. 6, co. 5), di contatti con lo Stato di emissione finalizzati all’esecuzione dell’interrogatorio o del trasferimento temporaneo della persona (art. 15), di esecuzione della decisione di consegna (art. 23), di transito (art. 27) e di traduzione degli atti e dei documenti allegati al mandato di arresto nella procedura attiva (art. 28, co. 2).
Altra rilevante novità è la deroga al requisito della doppia incriminazione, elemento cardine del sistema estradizionale, in forza del quale l’estradizione non può essere concessa se il fatto che costituisce oggetto della domanda non sia previsto dalla legge come reato da entrambi gli ordinamenti degli Stati coinvolti nella procedura (cfr. art. 13 c.p.).
La decisione quadro stabilisce, infatti, per talune figure di reato (elencate nell’art. 2, par. 2), punite dalla legislazione dello Stato emittente con una pena pari o superiore a tre anni, l’obbligo di consegna del ricercato indipendentemente dalla doppia incriminazione. Per tutti gli altri reati, invece, la consegna può essere subordinata alla condizione che i fatti, per i quali il mandato sia emesso, costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, a prescindere dagli elementi costitutivi o dalla qualificazione giuridica (art. 2, par. 4).
Data l’elevata portata garantistica del presupposto della doppia incriminazione – derivazione del principio di legalità in materia penale (art. 25 Cost.) e riflesso del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) – il legislatore interno ha fissato la regola per cui «l’Italia darà esecuzione al mandato d’arresto europeo solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale» (art. 7, co. 1).
A tale regola è posta una prima eccezione in materia di tasse e imposte, di dogana e di cambio (art. 7, co. 2). La deroga più corposa riguarda, comunque, le fattispecie di reato per le quali la consegna, qualificata «obbligatoria», debba avvenire anche in assenza di doppia incriminazione (sempre che si tratti di fatti puniti con una pena massima, escluse le aggravanti, pari o superiore a tre anni) (art. 8, co. 1).
La legge ha, però, “riempito” le generiche categorie delittuose elencate dalla decisione quadro con l’analitica descrizione di specifiche fattispecie di reato, rimettendo al giudice nazionale il compito di accertare quale sia la definizione (secondo la legge dello Stato di emissione) dei reati oggetto del mandato di arresto e di verificare se essa corrisponda, ai fini dell’inoperatività del requisito della doppia incriminazione, ad una delle tipologie dettagliatamente previste dal legislatore interno (art. 8, co. 2).
In ogni caso, se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, sebbene rientri nella lista delle fattispecie di «consegna obbligatoria», non si può dare esecuzione alla consegna del cittadino italiano qualora risulti «che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato d’arresto europeo» (art. 8, co. 3). Essendo, tuttavia, ipotesi di difficile configurabilità che un fatto, ricompreso nell’elenco, non corrisponda a fattispecie incriminatrici “interne”, la clausola appare di modesta rilevanza pratica.
Ulteriore tratto caratteristico è la previsione tassativa dei casi di rifiuto della consegna, che la decisione quadro distingue in «motivi di non esecuzione obbligatoria» (art. 3) e di «non esecuzione facoltativa» (art. 4), a seconda che l’autorità giudiziaria richiesta abbia l’obbligo o la mera facoltà di non dare seguito all’esecuzione del mandato di arresto.
Il legislatore nazionale, con l’intento di evitare il rischio di irragionevoli disparità di trattamento sul piano applicativo, in sede di recepimento ha reso obbligatori tutti i casi di rifiuto previsti dalla decisione quadro. Sicché, nelle fattispecie riconducibili ai motivi di non esecuzione contemplati a livello europeo il rifiuto della consegna è da considerarsi atto dovuto (art. 18, lett. i-r) (cfr., anche, C. cost., 24.6.2010, n. 227, e C. giust., 5.9.2012, C‑42/11, Lopes Da Silva Jorge).
La legge interna, tuttavia, non ha limitato le ipotesi di rifiuto obbligatorio a quelle tipizzate dalla decisione quadro, ma ne ha previsto ulteriori.
Alcune, pur non espressamente elencate negli artt. 3 e 4 della decisione sovranazionale, sono riconducibili ai principi fondamentali enunciati nei considerando 12 e 13, che il legislatore interno ha inteso recepire come altrettanti motivi di rifiuto obbligatorio (art. 18, lett. a, d e h). Trae ispirazione da tali considerando anche la fattispecie di rifiuto concernente l’ipotesi che la sentenza irrevocabile, oggetto del mandato di arresto, sia stata resa in violazione dei diritti minimi del giusto processo previsti dall’art. 6 CEDU, compreso il diritto al doppio grado di giurisdizione, o contenga disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento interno (artt. 2, co. 1, e 18, lett. g e v). Al riguardo, la giurisprudenza nazionale ha, comunque, precisato che «non è richiesto, ai fini della decisione sulla consegna, che l’ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie dell’ordinamento italiano in tema di “giusto processo”, ma è necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare dall’art. 6 CEDU» (Cass. pen., 27.1.2012, n. 4528). Riproduce, infine, con alcuni adattamenti, il considerando n. 10, l’obbligo di rifiutare la consegna in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei principi sanciti dalla CEDU, constatata dal Consiglio dell’Unione (art. 2, co. 3).
Altre, invece, non trovano analogo riscontro nelle indicazioni fornite dal testo europeo, a dimostrazione dell’intento di non recepirne acriticamente il contenuto, ma di adeguarlo ai principi costituzionali (cfr. artt. 2, co. 3, e 18, lett. b, c, e, f, s, t e u).
La prassi giurisprudenziale ha, però, suggerito una loro interpretazione quanto più fedele possibile alle finalità del nuovo istituto. E così, per quanto concerne l’omessa previsione, da parte della legislazione dello Stato di emissione, di termini massimi di carcerazione preventiva (art. 18, lett. e), si è esclusa la possibilità di rifiutare la consegna qualora tali termini siano impliciti in altri meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia (Cass., S.U., 30.1.2007, n. 4614). L’obbligo di motivazione del provvedimento cautelare oggetto del mandato di arresto (artt. 2, co. 3, e 18, lett. t) è stato inteso in senso lato, ritenendosi sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia dato “ragione” del provvedimento adottato (ex multis, Cass. pen., 4.9.2012, n. 33898). Allo stesso modo, il requisito della “irrevocabilità” della sentenza (art. 2, co. 3) è stato “sostituito”, conformemente alla decisione quadro, con quello della “esecutività”, considerandosi legittima la consegna sulla base di un mandato di arresto concernente una sentenza esecutiva, pur ancora soggetta a gravame (Cass. pen., 19.1.2012, n. 2745).
Inserito tra i casi di rifiuto è, altresì, il divieto di consegna per reati politici (art. 18, lett. f), divieto tipico della normativa estradizionale (previsto, peraltro, agli artt. 10 e 26 Cost.), ma non riproposto dalla decisione quadro sulla base della consapevolezza – su cui si fonda il principio del mutuo riconoscimento – di un elevato livello di rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo nell’ambito dell’Unione. Fanno eccezione al divieto i reati previsti dalle convenzioni internazionali sul terrorismo e i delitti di genocidio.
Osta all’esecuzione del mandato di arresto anche il concorso di plurime richieste di consegna, dovendo, in tale ipotesi, la corte di appello decidere a quale richiesta dare seguito, rifiutando, conseguentemente, di eseguire le altre (art. 20).
Ulteriore motivo di rifiuto – introdotto dalla decisione quadro 2009/299/GAI del 26.2.2009, attraverso l’aggiunta dell’art. 4 bis alla decisione istitutiva – concerne il caso in cui l’interessato non sia comparso personalmente al processo conclusosi con la sentenza di condanna, per la cui esecuzione si è fatto ricorso al mandato di arresto europeo. In tale evenienza, l’autorità giudiziaria richiesta ha la facoltà di rifiutare l’esecuzione, a meno che non ricorrano le eccezioni tassativamente codificate, che tipizzano altrettante fattispecie in cui, pur non essendo l’imputato comparso al processo, le garanzie minime del giusto processo ed il diritto di difesa devono ritenersi rispettati. In presenza di una di queste eccezioni, la consegna non può essere rifiutata, né può essere più subordinata alla condizione che la sentenza di condanna pronunciata in absentia possa essere oggetto di revisione nello Stato membro emittente, essendo stata abrogata la norma dettata dall’art. 5, n. 1, della decisone quadro (C. giust., 26.2.2013, C-399/11, Melloni c. Ministerio Fiscal).
La previsione, una volta recepita nell’ordinamento interno (l’Italia si è riservata di provvedere entro l’1.1.2014), andrà certamente ad arricchire il novero dei casi di rifiuto obbligatorio regolati dalla legge nazionale.
Garanzia tipica del procedimento di estradizione, il principio di specialità è stato recepito, dalla decisione quadro sul mandato di arresto europeo, in una versione attenuata rispetto alla disciplina dettata dall’art. 14 della Conv. europea in materia di estradizione (firmata a Parigi il 13.12.1957).
Se quest’ultima vieta di perseguire, giudicare e sottoporre a misure restrittive della libertà personale l’estradato per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello che ha motivato l’estradizione, ponendo una vera e propria condizione di procedibilità, la cui mancanza inibisce l’esercizio dell’azione penale (Cass., S.U., 28.2.2001, n. 8), la decisione quadro non impedisce di «incriminare e condannare» la persona consegnata per fatti commessi anteriormente alla consegna e diversi da quelli indicati nel mandato di arresto, purché quest’ultima non subisca restrizioni della libertà personale – né durante l’accertamento penale, né all’esito dello stesso – senza l’assenso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione (lo si ricava dai parr. 2 e 3, lett. c, dell’art. 27, come interpretati da C. giust., 1.12.2008, C-388/08, Leymann e Pustovarov).
Pur nella parziale diversità della formulazione adottata dalla l. n. 69/2005, la giurisprudenza interna ne ha fornito una interpretazione conforme alla normativa europea, pervenendo, così, a conclusioni analoghe a quelle previste dalla disciplina codicistica in materia di estradizione (artt. 699 e 721 c.p.p.), ma divergenti rispetto a quanto statuito dalla Conv. europea: per i fatti anteriori e diversi la persona può essere sottoposta a procedimento penale e condannata, purché non subisca, nel corso o all’esito del giudizio, limitazioni della libertà personale, siano esse inibite dal titolo del reato, dalla valutazione dell’autorità giudiziaria o dal divieto posto dal principio di specialità (Cass. pen., 23.9.2011, n. 39240). Insomma, per i fatti anteriori e diversi il principio di specialità non impedisce: l’esercizio dell’azione penale; l’esecuzione di pene o misure che non implichino la privazione della libertà; l’adozione di provvedimenti coercitivi o sentenze di condanna a pena detentiva, a condizione che rimangano ineseguiti (cfr. art. 26, co. 1 e 2, lett. b, c e d, e art. 32).
La preclusione all’attuazione di provvedimenti limitativi della libertà personale cessa solo con l’assenso (che non può essere accordato nei casi di rifiuto obbligatorio elencati dall’art. 18) dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, a cui va trasmessa una richiesta corredata delle informazioni prescritte dall’art. 8 della decisione quadro (art. 26, co. 3); oppure nelle fattispecie di caducazione tassativamente previste, vale a dire quando: l’interessato, con dichiarazione resa anche a seguito della consegna, abbia rinunciato espressamente alla garanzia o, avendone avuta la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato a cui è stato consegnato decorsi 45 giorni dalla definitiva liberazione o, ancora, avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno (art. 26, co. 2, lett. a, e ed f).
Alla ricorrenza di una di queste fattispecie o, in alternativa, all’assenso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione è subordinata, dopo l’esecuzione del mandato di arresto europeo, anche la consegna della persona ad altro Stato a seguito di un nuovo mandato di arresto (per un reato anteriore alla prima consegna) o di una richiesta di estradizione (artt. 28 decisione quadro e 25 l. n. 69/2005) (cfr., anche, C. giust., 28.6.2012, C‑192/12, Melvin West).
L’elaborazione di una procedura più snella di consegna, in ambito europeo, delle persone raggiunte da provvedimenti restrittivi della libertà personale, ispirata al canone del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e fondata su importanti deroghe a principi cardine della disciplina estradizionale (supra, § 2), ha reso necessario focalizzare l’attenzione sull’esigenza di assicurare adeguata tutela ai diritti individuali.
Al ricercato è riconosciuto, dalla decisione quadro, il diritto ad essere informato del mandato di arresto e del suo contenuto, nonché della facoltà di acconsentire alla propria consegna (art. 11, par. 1); il diritto ad essere assistito da un difensore e da un interprete (art. 11, par. 2); il diritto ad ottenere, dopo l’arresto, la libertà provvisoria, in conformità alla normativa dello Stato d’esecuzione, qualora altre misure siano idonee ad evitare il pericolo di fuga (art. 12); il diritto di esprimere volontariamente, con l’assistenza di un legale e con piena consapevolezza delle conseguenze, il consenso alla consegna e la rinuncia al principio di specialità (art. 13); il diritto di essere ascoltato dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione (art. 14).
Tali diritti sono stati pienamente trasfusi nella legge di attuazione (artt. 10-14) che, peraltro, non ha recepito la regola dell’automaticità dell’arresto della persona ricercata, salva l’ipotesi dell’arresto ad iniziativa della polizia giudiziaria in caso di segnalazione nel SIS (infra, § 4).
Ulteriori garanzie – fedelmente riprodotte dal testo della decisione quadro – consentono all’autorità giudiziaria italiana di sottoporre a specifiche condizioni la consegna qualora si proceda per reato punibile con l’ergastolo o nel caso in cui destinatario del mandato di arresto sia un cittadino o un residente in Italia oppure, ancora, allorché il mandato abbia ad oggetto l’esecuzione di una condanna pronunciata in absentia (art. 19 l. n. 69/2005). Quest’ultima fattispecie, per effetto dell’introduzione nella decisione quadro dell’art. 4 bis (cui il legislatore interno dovrà adeguarsi), è stata, comunque, “trasformata” in uno specifico motivo di rifiuto della consegna, accompagnato da tassative ipotesi di deroga (supra, § 2.3).
Nel novero delle garanzie individuali è riconducibile anche il diritto del ricercato di ottenere il computo del periodo di restrizione sofferta all’estero in esecuzione del mandato di arresto, ai fini del calcolo dei termini di durata della custodia cautelare (C. cost., 21.7.2004, n. 253) e della determinazione della pena da espiare (art. 33).
Allorché il mandato di arresto europeo sia adottato nei confronti di persona che si trova in Italia, la consegna non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello competente (individuata ai sensi dell’art. 5 l. n. 69/2005).
Due sono le modalità di avvio del procedimento, a seconda che il mandato di arresto sia trasmesso per il tramite del ministro della giustizia (o direttamente dall’autorità richiedente) o che le generalità del ricercato siano segnalate nel SIS.
Nella prima eventualità, il presidente della corte di appello, verificata la competenza territoriale della corte e compiuti gli accertamenti urgenti, riunisce la corte d’appello che, sentito il procuratore generale, dispone, con ordinanza motivata a pena di nullità (e ricorribile per cassazione), l’applicazione di una misura coercitiva, ove necessaria per garantire che la persona non si sottragga alla consegna e sempre che non ricorrano cause ostative all’esecuzione del mandato di arresto. Il procedimento cautelare segue le norme del codice di rito, anche se è inibita la verifica dei limiti di pena fissati dall’art. 280 c.p.p. e la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e del pericolo di inquinamento probatorio o di commissione di gravi delitti (art. 9).
Entro 5 giorni dall’esecuzione della misura, il presidente provvede ad ascoltare la persona alla presenza del difensore di fiducia o di ufficio (previamente avvisato), informandola, in una lingua conosciuta, del contenuto del mandato e della procedura di esecuzione, nonché della facoltà di acconsentire alla consegna e di rinunciare al principio di specialità (art. 10).
Nella seconda evenienza, individuato il segnalato, gli organi di polizia giudiziaria procedono al suo arresto e lo pongono non oltre le 24 ore a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto è stato eseguito (art. 11). All’arresto seguono una serie di adempimenti di competenza dell’ufficiale di polizia giudiziaria, volti ad assicurare l’effettività del diritto di difesa dell’arrestato, del cui compimento va dato atto, a pena di nullità, nel verbale da trasmettere all’autorità giurisdizionale (art. 12). Entro le 48 ore dalla ricezione del verbale, il presidente della corte di appello (o un magistrato da lui delegato) provvede a sentire la persona arrestata, alla presenza del difensore, e a convalidare l’arresto (salvo che risulti evidente che sia stato eseguito per errore di persona, fuori dei casi previsti dalla legge o in violazione dei termini prescritti). Può disporre, inoltre, ove necessario, una misura cautelare ai sensi dell’art. 9. L’ordinanza perde, tuttavia, efficacia se, nel termine di 10 giorni, non perviene il mandato di arresto europeo o la segnalazione nel SIS munita di tutte le indicazioni di cui all’art. 6 (art. 13).
Quale che sia la modalità di avvio, se nel corso dell’audizione (o successivamente) l’interessato acconsente alla consegna (nelle forme e con le garanzie previste dalla legge), il presidente decide non oltre 10 giorni, con ordinanza, sulla richiesta di esecuzione, dopo aver sentito il procuratore generale, il difensore e, se comparsa, la persona richiesta in consegna (art. 14).
Altrimenti, entro 20 giorni dall’esecuzione della misura cautelare, fissa l’udienza in camera di consiglio, dandone avviso alle parti e disponendo il deposito del mandato e della documentazione trasmessa (art. 10, co. 4).
Dopo aver sentito in udienza il procuratore generale, il difensore e, se comparsi, l’interessato e il rappresentante dello Stato estero, la corte di appello decide con sentenza, ordinando la consegna se non ricorrano condizioni ostative e, nel caso di mandato finalizzato all’esecuzione di un provvedimento cautelare, sussistano gravi indizi di colpevolezza. Tale requisito – non previsto dalla decisione quadro (supra, § 1) – è stato inteso dalla giurisprudenza in senso restrittivo, escludendo qualsiasi potere di autonomo accertamento della fondatezza dell’accusa da parte dell’autorità italiana, la quale deve limitarsi a verificare che il mandato sia fondato su un compendio indiziario ritenuto, dall’organo che l’ha adottato, seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (Cass. pen., 16.4.2008, n. 16362).
Quando la decisione è contraria alla consegna o non interviene nel termine di 60 giorni dall’esecuzione della misura cautelare (prorogabili di 30 giorni per cause di forza maggiore) o di 10 giorni dal consenso dell’interessato, la persona è rimessa immediatamente in libertà (artt. 17 e 21).
Contro i provvedimenti che decidono sulla consegna è ammesso ricorso per cassazione, anche nel merito, con effetto sospensivo, entro 10 giorni dalla comunicazione o dalla notifica (art. 22).
Alla consegna si provvede entro 10 giorni dalla sentenza irrevocabile (a pena di perenzione della misura cautelare), nei modi e secondo le intese intercorse tramite il ministro della giustizia. La legge regola i casi in cui la consegna può essere sospesa, rinviata o concessa temporaneamente (artt. 23 e 24).
Con decreto motivato, sentito il procuratore generale, la corte di appello dispone, altresì, su richiesta dell’autorità emittente, il sequestro dei beni necessari a fini di prova o suscettibili di confisca (artt. 35 e 36).
Qualora debba essere eseguito, all’interno del nostro ordinamento, un provvedimento cautelare o una sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di persona che si trovi nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea, il giudice che ha applicato la misura custodiale o il magistrato del pubblico ministero legittimato a promuovere l’esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza detentiva possono ricorrere al mandato di arresto europeo, trasmettendolo al ministro della giustizia, il quale, a sua volta, provvede alla traduzione e all’inoltro all’autorità estera competente per l’esecuzione (art. 28 l. n. 69/2005). Informato dell’emissione del mandato di arresto, il procuratore generale presso la corte di appello richiede, altresì, all’autorità dell’esecuzione la consegna dei beni oggetto di sequestro o confisca, trasmettendo, al contempo, copia dei relativi provvedimenti (art. 34).
Nel caso non si conosca in quale Stato membro la persona risieda o dimori, l’autorità giudiziaria dispone l’inserimento di una segnalazione nel SIS che, ove corredata delle informazioni prescritte dalla decisione quadro, equivale ad un mandato d’arresto europeo (artt. 29 e 30).
Il mandato adottato dall’autorità giudiziaria italiana – che non è impugnabile nell’ordinamento interno (Cass., S.U., 21.6.2012, n. 30769) – perde efficacia allorché il provvedimento restrittivo che ne è alla base sia stato revocato o dichiarato inefficace (art. 31).
Decisione quadro 2002/584/GAI; l. 22.4.2005, n. 69.
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