MANDATO (lat. mandatum; fr. mandat; sp. mandado; ted. Auftrag; ingl. mandate)
Diritto privato. - Diritto romano. - Nel diritto romano giustinianeo il mandato è la fusione di due istituti classici: il mandato vero e proprio e la procura. Mandatario era nel diritto classico l'incaricato di un servigio, di una missione giuridica o non giuridica, ma isolata e definita. Procuratore era anticamente l'amministratore di un patrimonio, che non ripeteva dal mandato le sue funzioni. Egli era il dominus di fatto, in assenza e per l'assenza del dominus di diritto. Anche quando, entro l'età classica, a questa originaria figura di procurator si collocò accanto quella del procurator preposto dal dominus all'amministrazione della sua azienda, questa seconda figura sembra che non implicasse un mandato in senso tecnico, ma un'investitura unilaterale. Anche questo rapporto sembra configurarsi come rapporto di gestione d'affari, non di mandato; e l'azione nascente dal rapporto è appunto, verosimilmente, entro l'età classica, l'actio negotiorum gestorum, non l'actio mandati. Il procurator, per solito un liberto legato alla casa del suo patrono, aveva le più ampie facoltà di disporre del patrimonio del dominus, derivanti dall'administratio che si era assunta o che il dominus con atto unilaterale gli aveva concessa.
Gravi mutamenti maturarono nell'età postclassica e si rivelano attraverso la disciplina del mandato nella legislazione giustinianea. I due istituti del mandato e della procura si andarono accostando e confondendo in un solo istituto. Non si chiamò più procurator il semplice negotiorum gestor, amministrante senza l'assenso del dominus: la negotiorum gestio s'isolò come rapporto inconfondibile con la procura: d'altra parte, il procurator, amministrante per investitura del dominus, si considerò come un mandatario. E quello che, nella dottrina classica, era il mandato, divenne il mandato speciale o la procura speciale (cioè unius rei, unius negociationis); quella che, era la procura per la concessione dell'admmistratio da parte del dominus divenne il mandato generale o la procura generale (cioè omnium bonorum). Inoltre, il procurator incaricato dell'amministrazione si chiamò verus procurator; quegli che si assume l'amministrazione senza incarico si chiamò falsus procurator.
Nel tempo stesso, svuotatasi nell'età postclassica l'administratio romana del suo ricco contenuto, il mandatario omnium bonorum, cioè ad res administrandas datus, non poteva compiere atti dispositivi senza uno speciale mandato. Questi gravi mutamenti hanno cagionata l'interpolazione di molti testi romani accolti nel Corpus iuris civilis, come la recente critica ha dimostrato.
Diritto moderno. - Nel moderno diritto privato il mandato è un contratto in forza del quale una persona, il mandatario, si obbliga gratuitamente o mediante un compenso a compiere un affare per conto di un'altra, il mandante, da cui ne ha avuto incarico. Il mandato civile non importa necessariamente che il mandatario agisca in nome del mandante, abbia, cioè, la rappresentanza. Invece, il mandato commerciale implica necessariamente la rappresentanza e questo elemento lo distingue dalla commissione.
Perché sussista un mandato, occorre: anzitutto un incarico, ossia la manifestazione della volontà di una persona che altri compia un affare per conto di lei. Questa manifestazione può essere tanto espressa, quanto tacita, ossia può bastare la scienza o la tolleranza. Perciò il criterio distintivo fra il mandato tacito e la negotiorum gestio sta in ciò che in quello, a differenza di ciò che avviene in questa, il gestore esplica la sua attività con l'assentimento, sia pure passivo, dell'interessato. È necessaria poi l'accettazione dell'incarico, da parte del mandatario, la quale può essere espressa o tacita. Ma qui tacita vuol dire: mediante fatti concludenti.
Se un commerciante non vuole accettare un incarico che gli sia pervenuto, deve far conoscere al proponente il suo rifiuto nel più breve termine possibile e spiegare, intanto, la sua attività per la conservazione delle cose, che per avventura gli fossero state spedite, o del loro valore. Da non confondere con il mandato tacitamente conferito è il mandato presunto. Mentre quello presuppone la patientia del mandante, il mandato presunto si fonda esclusivamente su determinati rapporti personali, intercedenti tra il gestore e l'interessato. Mentre l'esistenza del mandato tacito dev'essere provata e in tanto se ne può parlare in quanto essa risulti da circostanze concrete, l'esistenza del mandato presunto, dati quei determinati rapporti, è affermata in modo generale dalla legge e, per conseguenza, non occorre la sua prova.
L'oggetto del mandato deve consistere in un affare, ossia in un atto giuridico, lecito, possibile per il mandatario, determinato, o, quanto meno, determinabile e, infine, deve presentare un interesse per il mandante, oppure per questo e un terzo, oppure, ancora per il mandante e il mandatario. Qualora l'affare sia nell'esclusivo interesse del mandatario, si ha non più un mandato, ma un consiglio. Del resto l'oggetto stesso può consistere in uno o più affari, oppure comprendere tutti gli affari del mandante; nell'un caso il mandato è speciale, nell'altro generale; quest'ultimo, poi, quando sia concepito in termini generici, comprende soltanto gli atti di amministrazione, e per conseguenza il mandato di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione deve essere specificamente espresso. Ciò vale relativamente al mandato civile; per il mandato commerciale, il quale comprende tutti gli atti necessari alla sua esecuzione, quel limite non può ammettersi.
Il mandato civile, a differenza di quello commerciale, è gratuito, ma solo per presunzione. Onde la gratuità non è più un requisito caratteristico neppure del mandato civile. La differenza tra questo contratto e la locazione di opere, quindi, anziché nella gratuità o meno del servigio, è da riscontrarsi: a) nella causa (mentre nella locazione di opere l'obbligo del locatore ha la sua causa nella mercede promessagli, l'obbligo del mandatario, invece, ha ancora oggi la sua causa nella benevolenza) e β) nell'oggetto (per il mandato questo è sempre un atto giuridico, laddove nella locazione è un atto materiale).
Una volta conchiuso il mandato, il mandatario è obbligato: 1. a eseguire, finché dura, l'incarico ricevuto con la diligenza del buon padre di famiglia. L'interpretazione della volontà del mandante, espressa nell'incarico, deve farsi secondo i principî della buona fede, ossia, il mandatario deve ricercare quella ch'è la volontà manifesta o presumibile del mandante e l'utilità di costui. Perciò deve mantenersi nei limiti delle facoltà che il mandante gli abbia date. Se li eccede, non può obbligare il mandante, ma obbliga solo sé stesso nei confronti dei terzi. In conseguenza del fondamento del mandato, il mandatario è responsabile dei danni derivanti al mandante dall'inadempimento dell'affare, se l'inadempimento è imputabile a dolo e anche a sua semplice colpa. 2. Deve rendere conto del proprio operato e corrispondere al mandante tutto quello che ha ricevuto in occasione del mandato. Inoltre, se ha impiegato a uso proprio somme ricevute per il mandante, deve corrisponderne gl'interessi e deve pure gl'interessi di quelle di cui sia rimasto comunque debitore. 3, Inoltre il mandatario, nel mandato commerciale, ha l'obbligo di dare notizia al mandante dell'esecuzione dell'affare.
D'altra parte, il mandatario ha la facoltà di affidare ad altri l'esecuzione del mandato, a meno che egli non sia stato scelto per le sue speciali qualità tecniche e personali. Ma egli è responsabile per il sostituto, quando non gli sia stata concessa la facoltà di sostituire alcuno e quando una tale facoltà gli sia stata concessa senza indicazione della persona ed egli abbia scelto una persona notoriamente incapace o non solvente. Il mandante può, in tutti i casi, agire anche direttamente contro il sostituto, in base al mandato da questo ricevuto.
Più mandatari, anche se nominati con un solo atto, non si presumono obbligati in solido. Il mandante, a sua volta, è obbligato: a) a eseguire le obbligazioni contratte dal mandatario entro i limiti del mandato; b) a rimborsarlo delle anticipazioni e delle spese occorse per l'esecuzione del mandato, con i relativi interessi sebbene l'affare non sia riuscito, purché senza colpa del mandatario; c) a pagargli il compenso se l'ha promesso; d) a tenerlo indenne delle perdite patrimoniali sofferte senza colpa.
Il mandante, nel mandato commerciale, è tenuto pure a somministrare i mezzi necessarî per l'esecuzione del mandato, se non vi è convenzione contraria. Per il rimborso delle anticipazioni o delle spese, nonché per il compenso pattuito, al mandatario spetta (sempre nel mandato commerciale) un privilegio speciale sulle cose del mandante, ch'egli detiene per l'esecuzione del mandato.
Per essere un rapporto fondato sulla reciproca personale fiducia delle parti il mandato si estingue: a) per la morte del mandante o del mandatario; b) per quelle cause che, modificando la capacità giuridica dell'uno o dell'altro, contraddicono all'indole e allo scopo del mandato (interdizione, fallimento del mandante o del mandatario, inabilitazione di questo o di quello, se il mandato riguarda atti in cui è richiesta l'assistenza del curatore); c) per revoca del mandante; d) per rinuncia del mandatario. L'effetto di tutte queste cause è regolato in modo da non pregiudicare gl'interessi dei terzi e dei contraenti stessi.
Per ciò che riguarda l'estinzione del mandato per morte del mandante, ciò vale anche quando il mandato sia stato conferito per essere eseguito dopo la morte del mandante, perché un mandatum post mortem, ammesso contro i principî classici dal diritto giustinianeo, non è più riconosciuto - checché taluno ne pensi - nel diritto italiano.
Bibl.: P. Bonfante, Facoltà e decadenza del procuratore rom., in Studi in onore di F. Schupfer, Torino 1898; id., Mandato post mortem, in Scritti giur., III, Torino 1921, p. 262 segg.; id., Ist. di dir. rom., 9ª ed., Milano 1932; E. Albertario, Procurator unius rei, Pavia 1921; S. Solazzi, La defin. del procuratore, in Rend. Ist. Lomb., LVI (1923), p. 142 segg.; id., Procuratori senza mandato, ibid., LVI (1923), p. 735 segg.; G. Donatuti, Verus et falsus procur., in Annali Univ. Perugia, 1922; Mandato incerto, in Bull. ist. di dir. rom., 1923; id., Contributi alla dottrina del mandato in dir. rom., in Ann. Univ. Perugia, 1927; B. Frese, Prokur. u negot. gestio, in Mél. Cornil, I, Parigi 1926, p. 325 segg.; B. Windscheid-T. Kipp, Lehrbuch d. Pandektenrechts, 9ª ed., Francoforte sul M. 1906, paragrafi 409-11; B. Brugi, ist. di dir. civile, 4ª ed., Milano 1923; R. De Ruggiero, Ist. di diritto civile, 6ª ed., Messina 1932; B. Dusi, Ist. di dir. civile, Torino 1929, II, p. 155; A. Sraffa, Del mandato commerciale e della commissione, nel Commentario del codice di commercio, 2ª ed., Milano 1933.
Mandato di cattura.
È un decreto giurisdizionale, emesso nel corso dell'istruzione penale, per mezzo del quale il giudice istruttore o il pretore - organi, rispettivamente, dell'istruzione formale e dell'istruzione sommaria nell'ambito della propria competenza - ordinano che l'imputato sia condotto in carcere a disposizione dell'autorità giudiziaria che ha emesso il decreto. Per delineare la natura giuridica del mandato di cattura, giova distinguerlo con precisione dal mandato di arresto e dal mandato di comparizione e di accompagnamento.
Il mandato di arresto, nel concetto del legislatore, ha carattere provvisorio ed è, pertanto, un provvedimento di cui si dà facoltà al magistrato; solo sotto questo aspetto esso può essere spiccato dal pretore, per delitti non di sua competenza quando di essi venga a conoscenza o quando siano emersi alla pubblica udienza, durante il dibattimento per altro reato; dal giudice di udienza (e quindi anche dal pretore), per quei nuovi reati risultati nel corso di causa penale e per cui non possa procedersi immediatamente al giudizio e sempre che si tratti di reati per cui sia obbligatorio o facoltativo l'arresto in flagranza (tale facoltà può esercitarsi contro i testimoni che rifiutano di deporre, siano falsi o reticenti, e che, richiamati e ammoniti, persistano nel loro atteggiamento); infine dal giudice istruttore che compie atti fuori della propria residenza giudiziaria e senza intervento del pubblico ministero. Come per il mandato di arresto emesso dal pretore, deve, anche in quest'ultimo caso, trattarsi di reato in cui il mandato di cattura sia autorizzato. La provvisorietà del mandato di arresto impone che esso, entro venti giorni da quello in cui venne eseguito, sia sostituito da quello di cattura ovvero che intervenga, nei riguardi dell'arrestato, sentenza di condanna a una pena detentiva.
Con il mandato di comparizione, non si dispone una restrizione della libertà personale della persona imputata, ma si ordina soltanto che essa si presenti al magistrato; il mandato di accompagnamento è poi una misura coercitiva ammessa quando l'imputato, senza legittimo impedimento, non ottemperi al mandato di comparizione; esso può essere tradotto anche con la pubblica forza.
Secondo il codice di procedura penale vigente, quando il pubblico ministero o il pretore, negli atti di sommaria istruzione per cui sono competenti, debbano adottare provvedimenti della natura di quelli ora elencati, questi prendono il nome di ordini (art. 251 e 393 cod. proc. pen.), i quali hanno quindi - a parte la differenza tecnologica - valore giuridico perfettamente conforme ai mandati.
Il mandato di cattura - così come gli altri mandati - non può essere spedito se non col verificarsi di condizioni di carattere generale che sono garanzia di giustizia. Anzitutto, contro l'imputato debbono sussistere indizî sufficienti di colpevolezza, inoltre il giudice istruttore non può emettere (o revocare) il mandato se non sulle conclusioni del Pubblico Ministero. Il pretore - che in sé riunisce qualità requirenti e decidenti nell'ambito dei reati di sua competenza - provvede d'ufficio. Ma, così per le ordinanze del pretore come per quelle del giudice istruttore, si ammette l'appello del procuratore del re e del procuratore generale; e decidono, rispettivamente, il giudice istruttore (se l'ordinanza fu emessa dal pretore) e la sezione istruttoria. L'appello ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato. Al contrario, nessun controllo di carattere giurisdizionale si ammette per l'emissione di un ordine di cattura disposto dal Pubblico Ministero (o cui il pretore fu delegato dal Pubblico Ministero). Ciò risponde al carattere informativo dell'istruzione penale, secondo il recente codice di procedura penale: non vi è interferenza fra istruzione formale e sommaria e, nel corso e per le esigenze di quest'ultima, il Pubblico Ministero ha facoltà di compiere tutti gli atti che il giudice istruttore può compiere nell'istruzione formale (si veda, per un'eccezione, l'art. 400 cod. proc. pen.).
Il mandato di cattura è obbligatorio o facoltativo. Il codice, per operare la distinzione, tiene conto, in coerenza con i generali criteri che portano a classificare pene, reati e delinquenti, della natura del delitto, della gravità della sanzione punitiva e della penonalità del reo. Il mandato è obbligatorio: a) per omicidio volontario, anche se tentato; lesioni personali gravi e gravissime; rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; b) per i delitti contro la personalità dello stato (libro II, tit. I c. p.) punibili con la reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a dieci anni o con pena più grave; c) per ogni delitto che importi una pena alla reclusione in misura non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a dieci anni o una pena più grave; d) per qualsiasi delitto non colposo punibile con la reclusione, se commesso da una persona già dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o nelle condizioni per essere (art. 102 cod. pen.) dichiarata abituale nel delitto ovvero da chi si trovi sottoposto a libertà vigilata o assegnato a una colonia agricola o ad una casa di lavoro. La spedizione del mandato di cattura è facoltativa: a) per ogni delitto non colposo punibile con la reclusione da un minimo di due anni a un massimo di cinque; b) per ogni delitto non colposo punibile con la reclusione, quando l'imputato sia stato condannato più di due volte per altro delitto non colposo o altra volta per un reato della stessa indole; ovvero quando l'imputato risulti essersi dato o stia per darsi alla fuga o non abbia fissa dimora nel territorio dello stato italiano; c) per le contravvenzioni punibili con arresto, quando l'imputato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero contravventore abituale o professionale. Per determinare la pena, ai fini di stabilire l'applicabilità delle regole anzidette, si ha riguardo all'ammontare astratto preveduto nel codice delle aggravanti comuni (art. 61 cod. pen.) e della recidiva (art. 99 cod. pen.). Non si tiene conto dell'aumento di pena in dipendenza della continuazione. Come attenuante, si considera solo l'età.
Importante e particolare disposizione è quella per cui il mandato (o l'ordine) di cattura non può emettersi quando dalle circostanze del fatto apparisca che esso si commise nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima. Analogamente si vieta, in tali ipotesi, l'arresto in flagranza. Con le quali regole si va più in là del disposto disciplinante le autorizzazioni a procedere, poiché ogni restrizione di libertà personale si esclude anche in flagranza di reato. Si tratta di norme che tutelano il libero esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria.
Il mandato di cattura può essere sospeso o revocato.
Per la sospensione, si prevedono i casi seguenti: 1. Come un giusto riguardo alla maternità, per la donna incinta o che allatta la prole, in flagranza di reato, gli agenti possono astenersi dal procedere al suo arresto e il mandato di cattura, con decreto motivato, può essere sospeso, e si può consentire che la donna rimanga nella propria abitazione in stato di arresto. Non deve però trattarsi di donna socialmente pericolosa, né il reato commesso dev'essere di quelli per cui l'emissione del mandato di cattura è obbligatorio. La sospensione del mandato di cattura è poi sempre ammessa, oltre che per la donna che versi nelle condizioni anzidette, quando il mandato è soltanto facoltativo, in considerazione delle condizioni morali e sociali dell'imputato e delle circostanze del fatto di cui egli deve rispondere. 2. Per le condizioni psicologiche in cui può versare il delinquente, se è provato che, quando egli commise il fatto, non era in condizioni di intendere e di volere, se ne può disporre l'internamento provvisorio in un manicomio 3. Per l'età del delinquente, se egli aveva compiuto i quattordici anni ma non ancora i diciotto, sospeso il mandato, se ne può ordinare il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Nel corso dell'istruzione penale possono sopravvenire delle circostanze per cui il provvedimento di gravità, che si sostanzia nella spedizione del mandato di cattura, venga ad apparire o non più legittimo, o, per lo meno, non più necessario e opportuno. In tali ipotesi, provvede l'istituto della revoca del mandato di cattura. L'art. 260 cod. proc. pen. dispone che il mandato deve essere revocato sempre che vengano meno le condizioni che lo resero legittimo (almeno come facoltativo); può essere revocato (se emesso nell'ipotesi facoltativa) quando - a parere discrezionale del magistrato - i presupposti di opportunità, in base ai quali si emise, siano venuti a mancare.
Tuttavia, ed è un temperamento a tale revoca, si prevede che il mandato di cattura possa, di nuovo, venire emesso.
Dalle regole enunciate si può dire, in sintesi, che tale decreto, che impone la restrizione della libertà personale del giudicabile, non si considera obbligatorio se non nei casi in cui il reato commesso e le subiettive condizioni del reo facciano apparire necessario l'assicurarlo coercitivamente, prima del giudizio, in potere e a disposizione della giustizia, mentre si considera facoltativo in casi di gravità non ugualmente rilevante soltanto in vista del passato del delinquente. A tutela del cittadino, nell'istruzione formale, il potere del magistrato di emettere questi mandati è sottoposto al controllo del Pubblico Ministero. A temperamento dell'uniforme applicazione delle norme sull'emissione dei mandati di cattura, con riguardo alla pericolosità del reo, si ammette la sospensione del mandato di cattura, che può e deve, nelle condizioni sopra analizzate, anche venire revocato.
Bibl.: M. Pinto, Manuale di procedura penale, Milano 1921; F. Gabrieli, Codice di procedura penale illustrato con i lavori preparatori, Roma 1931; U. Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, Milano 1932.
Diritto pubblico romano.
Nel diritto pubblico romano si parla di mandato quando le facoltà inerenti all'imperium non sono esercitate dal magistrato, bensì per mezzo d'un intermediario da lui costituito. Tale mandato è in ogni tempo revocabile, e si estingue con la morte o l'uscita di carica del mandante; la competenza del mandatario è limitata dal mandato e pertanto egli esercita le sue funzioni secondo le istruzioni del mandante, il quale ne risponde; il mandante può annullare o rettificare l'atto del mandatario e anche vietargli l'esercizio di uno o più atti, e sospenderlo. Ne consegue che il mandatario non è rivestito di imperium proprio, e non può quindi delegarne ad altri l'esercizio. Tale è il principio della repubblica; ma con l'avvento del principato le cose cambiano, poiché l'imperatore può nominare suoi ufficiali muniti di proprio imperium, quali (sulla base di precedenti repubblicani) i legati Augusti pro praetore (v. legato) e il sistema nell'ultima epoca diviene generale. Il campo proprio del mandato è - specie durante la repubblica, quando non esiste una stabile burocrazia - nella nomina degli ausiliari del magistrato: ma si parla di mandato pure nel campo del processo, poiché il titolare della giurisdizione poteva delegare ad altri l'esercizio di tutte o di parte delle sue attribuzioni (iurisdictio mandata: v. giurisdizione).
Col nome di mandata s'intendono poi le istruzioni inviate ai funzionarî da parte di coloro che li hanno costituiti, e in primo luogo dall'imperatore ai governatori delle provincie imperiali, dal senato e poi dall'imperatore ai governatori delle provincie senatorie. I mandata dapprima avevano valore per la durata della vita dell'imperatore che li aveva emanati, ma poi si ritennero confermati dal successore quelli da lui non espressamente revocati e così, con un nucleo tralatizio, divennero una delle forme della legislazione imperiale. I mandata, in linea di principio, erano istruzioni di carattere amministrativo, ma in realtà contenevano anche norme di diritto privato: il testamento militare, ad esempio, fu introdotto da mandata.
I mandata erano registrati nei commentarii e conservati nel tabularium Caesaris. Sotto Alessandro Severo la custodia fu affidata a un liberto, chiamato procurator a mandatis. Essi formavano una raccolta speciale: il liber mandatorum.
Bibl.: Th. Mommsen, Röm. Staatsrecht, III, pp. 221 segg., 646 segg.; id., Disegno del diritto pubblico romano (trad. P. Bonfante), Milano 1924, p. 168 segg.; E. Cuq, in Daremberg e Saglio, Dict. d. ant. gr. et rom., III, ii, col. 1570; H. Kreller, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, i, col. 1022.
Mandato internazionale.
Il mandato è un istituto nuovo nel campo del diritto internazionale, il quale attua una specie di tutela internazionale, limitatamente alle antiche colonie tedesche e ai territorî già appartenenti alla Turchia prima della guerra mondiale. Tale istituto trova la sua origine e il suo testo nell'art. 22 del patto della Società delle nazioni. Secondo le disposizioni di questo articolo, le colonie e i territorî che, in seguito all'ultima guerra, hanno cessato di trovarsi sotto la sovranità degli stati che prima li governavano (Germania e Turchia) e sono abitati da popoli non ancora in grado di reggersi da se, devono affidarsi alla tutela di nazioni progredite, le quali eserciteranno la tutela stessa come mandatarie della Società delle nazioni e in suo nome (par. 1 e 2). Il carattere del mandato (par. 3) dovrà variare secondo il grado di sviluppo del popolo, la posizione geografica del territorio, le sue condizioni economiche e altre circostanze simili. L'articolo precisa quindi tre tipi di mandati i cosiddetti mandati A, mandati B, mandati C, in riferimento a tre distinte categorie di soggetti, rispetto ai quali deve essere svolta l'azione di tutela, vale a dire le comunità, i popoli, i territori.
Il mandato A si attua rispetto alle comunità già appartenenti all'impero turco, le quali hanno raggiunto un grado di sviluppo tale che la loro esistenza come nazioni indipendenti può essere provvisoriamente riconosciuta, salvo il consiglio e l'assistenza amministrativa di una potenza mandataria, finché non saranno in grado di reggersi da sé (par. 4). Il mandato B riguarda quei popoli, specie dell'Africa centrale, i quali sono in tale stato che l'amministrazione del territorio deve essere assunta da un mandatario, osservando condizioni per cui siano garantiti alle popolazioni indigene i diritti fondamentali dell'uomo, quali il diritto di libertà personale, di coscienza, di religione e siano assicurati agli altri membri della Società eguali vantaggi per il commercio e il traffico (par. 5). Il mandato C, infine, si applica ai territorî come quelli dell'Africa sud-occidentale e talune isole del Pacifico australe, i quali, per la scarsa densità della popolazione, per la lontananza dai centri di civiltà e per altre circostanze, non possono essere amministrati che secondo le leggi dello stato mandatario, come parti integranti del territorio di questo, salve le garanzie per i diritti fondamentali delle popolazioni indigene (par. 6).
Il grado di autorità, d'ingerenza e di amministrazione che dovrà essere esercitato dal mandatario, qualora non sia stato oggetto dl una precedente convenzione fra i membri della Società, sarà, per ciascun mandato, esplicitamente determinato dal consiglio della Società delle nazioni (par. 8).
Il nuovo istituto configurato nell'art. 22 del patto della Società delle nazioni cerca di realizzare la conciliazione tra due principi ritenuti per lungo tempo inconciliabili: il principio tradizionale dell'assoggettamento dei popoli di civiltà inferiore alla sovranità degli stati più progrediti, e il principio nuovo del riconoscimento dei diritti di tutti i popoli a governarsi da sé stessi. Quindi, non annessione alle potenze vincitrici delle antiche colonie tedesche e dei territorî staccati dagli stati vinti, ma neppure autogoverno in atto dei medesimi; riconoscimento, in astratto, del diritto di autogoverno di questi popoli, e frattanto dichiarazione della loro provvisoria minorità politica e avviamento di essi verso la piena indipendenza, mercé l'assistenza e l'aiuto di una potenza tutrice, che spiegherà la sua azione sotto il controllo della Società delle nazioni.
Presupposto per intendere la natura del nuovo istituto, nonché dei rapporti cui esso dà origine, è il problema dell'appartenenza della sovranità sui territorî sottoposti a mandato. Una prima opinione è quella che fa titolare della sovranità l'unione delle principali potenze alleate e associate. A sostegno si richiamano particolarmente talune disposizioni contenute nei vari trattati firmati a conclusione della guerra mondiale quali gli articoli 118 e 119 del trattato di Versailles, 95 del trattato di Saint-Germain, 79 del trattato del Trianon, secondo i quali i diritti e i titoli sui territorî di cui si tratta sono rinunciati a favore delle principali potenze alleate e associate. Un'altra teoria è quella che attribuisce la sovranità sui territorî suscettibili di mandato alla Società delle nazioni, e trae l'argomento più importante dai due principî contenuti nei paragrafi 1 e 2 dell'art. 22. Una terza opinione vorrebbe che titolare della sovranità sui territorî mandati fosse lo stato mandatario. Un'altra teoria è quella della cosiddetta sovranità divisa: e alcuni ripartiscono la sovranità fra stato mandatario e Società delle nazioni, altri fra Società delle nazioni e comunità soggette, altri ancora fra quest'ultima e lo stato mandatario.
La teoria, che riteniamo rispondente alla costruzione dell'art. 22 del patto, è quella che fa titolare della sovranità, nel sistema del mandato, la stessa comunità sottoposta a tale regime. A questa conclusione sembra doversi pervenire, non soltanto per un processo logico di esclusione, dato che nessuna delle altre teorie resiste a una critica obiettiva, ma anche per dirette e positive considerazioni. Primo fra tutte sta il principio di non annessione dei territorî sotto mandato a nessuna potenza; principio che i redattori del patto e i loro ispiratori proclamarono espressamente e che costituisce uno dei cardini fondamentali del sistema dell'art. 22. E se a nessuno stato o unione di stati i territorî sotto mandato sono stati annessi, tali territorî non possoqo appartenere che alle stesse popolazioni che l'abitano. Il fatto che l'art. 22 riconosca che queste comunità non sono ancora capaci di dirigersi da sé, nulla toglie che siano esse le destinatarie delle norme giuridiche dell'art. 22, e quindi i soggetti di diritto creati dall'articolo stesso.
Conseguenza della non annessione e conferma dell'appartenenza dei territorî alle popolazioni interessate è la distinta individualità riconosciuta agli abitanti. Questi non sono cittadini dello stato mandatario, ma sono nazionali o indigeni del territorio sottoposto a mandato. Nessun vincolo di appartenenza si ha tra essi e altro soggetto che non sia il territorio abitato. Né è da farsi qui differenza tra le comunità di cui ai mandati A, e quelle di cui ai mandati B e C. Il carattere unitario del mandato si afferma anche a questo riguardo nella soluzione adottata nella seduta del 23 aprile 1923 dal consiglio della Società delle nazioni, il quale, nel contrasto tra la tesi belga, íavorevole all'estensione della nazionalità del mandatario agli abitanti dei territorî sotto mandato B e C, e la opposta e corretta tesi inglese del riconoscimento di una distinta nazionalità, ebbe a riconoscere che "lo statuto degli abitanti indigeni di un territorio sotto mandato è distinto da quello dei cittadini della potenza mandataria e non potrà essere assimilato a quest'ultimo da alcun provvedimento di carattere generale".
Altro argomento a favore della presente teoria è dato dall'art. 127 del trattato di Versailles, il quale stabilisce che gl'indigeni abitanti le antiche colonie tedesche avranno diritto alla protezione diplomatica del governo che eserciterà l'autorità su questi territorî. Questa norma non avrebbe avuto ragion d'essere, se si fosse inteso riconoscere un'appartenenza allo stato mandatario degl'indigeni dei territori sotto mandato. Vi è poi una conferma alla teoria stessa nel principio che vige in materia di applicazione dei trattati internazionali. stipulati dallo stato mandatario ai territorî sottoposti a mandato, principio secondo cui le convenzioni internazionali, nelle quali lo stato mandatario è parte contraente, non si applicano ai territorî sotto mandato se non nel caso in cui il mandatario abbia espressamente stipulato in questa sua qualità e quindi agito in rappresentanza dei territorî stessi. Nella pratica anzi è potuto avvenire che tra lo stato mandatario e lo stesso territorio sotto mandato intervenisse già qualche accordo di carattere internazionale, riconfermandosi per tal modo, oltre che la distinta personalità giuridica dei due soggetti, il carattere dell'istituto creato dall'art. 22, il quale viene a precisarsi sempre più attorno al principio fondamentale della sovranità delle comunità indigene.
Tre sono gli elementi che devono considerarsi nel rapporto di mandato: a) la scelta del mandatario; b) la determinazione dei termini del mandato; c) il controllo della Società delle nazioni.
a) Circa la scelta del mandatario occorre distinguere il soggetto competente ad attribuire il mandato dal soggetto che possa essere considerato come mandatario. In ordine al primo punto, il diritto di attribuzione deve ritenersi di spettanza delle principali potenze nel periodo iniziale della formazione dei mandati, e ciò conformemente alla figura giuridica da esse assunta di cessionarie provvisorie dei territorî sottoposti al regime del mandato e insieme di esecutrici delle norme dettate dai trattati internazionali per l'attuazione del regime disposto. Questo diritto non può ritenersi comunque limitato dal successivo intervento della Società delle nazioni a mezzo del suo consiglio, giacché questo non fa che prendere atto di una manifestazione dì volontà delle principali potenze, già per sé stessa definitiva e perfetta. Dal periodo iniziale di formazione dei mandati deve tenersi distinto quello successivo. Poiché le principali potenze esauriscono il loro compito con l'originaria attribuzione dei mandati, il soggetto cui spetta procedere, in via permanente, alla scelta del mandatario, in caso di vacanza di mandato per qualsiasi causa, dovrebbe essere la Società delle nazioni, almeno da un punto di vista strettamente giuridico, anche come corollario della funzione di controllo a essa attribuita nell'esercizio del mandato. Ma sotto l'aspetto pratico sarebbe forse prefeeibile una soluzione diversa.
Sul secondo punto, concernente il soggetto che può essere designato come mandatario, non si hanno in massima limitazioni alla facoltà di designazione. Tutti gli stati progrediti possono essere designati. Si può discutere solo se lo stato mandatario debba almeno appartenere alla Società delle nazioni. La soluzione affermativa del quesito sembra rispondere, oltre che all'interpretazione dei paragrafi 5 e 8 dell'art. 22, alla stessa organizzazione dell'istituto e al migliore e più facile raggiungimento dei suoi fini.
In pratica, gli stati scelti originariamente come mandatarî, nelle sedute 7 maggio e 21 agosto 1919 del consiglio supremo risultano dal seguente elenco: Mandati C: 1. Africa del Sud-Ovest, sotto mandato dell'Unione Sudafricana; 2. Isole Samoa, sotto mandato della Nuova Zelanda; 3. altri possedimenti tedeschi al sud dell'Equatore, sotto mandato dell'Australia; 4. Nauru, sotto mandato dell'Impero Britannico; 5. Isole del Pacifico a nord dell'Equatore, sotto mandato del Giappone. Mandati B: 1. Territorio del Togo, parte orientale, sotto mandato della Francia; 2. Territorio del Camerun (meno una striscia a confine con la Nigeria), sotto mandato della Francia; 3. Territorio del Togo, parte occidentale, sotto mandato dell'Impero Britannico; 4. Parte più occidentale del territorio del Camerun, sotto mandato dell'Impero Britannico; 5. Territorio del Ruanda e Urundi, sotto mandato del Belgio. Mandati A: 1. Siria e Libano, sotto mandato della Francia; 2. Palestina, sotto mandato della Gran Bretagna; 3. ‛Irāq (Mesopotamia), sotto mandato della Gran Bretagna (questo mandato ha avuto termine nel 1932: v. ‛iraq).
b) La determinazione dei termini del mandato è regolata dal par. 8 dell'art. 22 del patto, secondo il quale tale determinazione spetta al consiglio della Società delle nazioni, se non è stata "oggetto di una convenzione anteriore fra i membri della società". Questa limitazione ha riferimento soltanto all'originaria attuazione dell'istituto, avvenuta per opera delle priricipali potenze, che effettivamente stabilirono, in appositi progetti di mandato, "il grado di autorità, di controllo e di amministrazione da esercitarsi dal mandatario". Quanto al contenuto dei poteri e dei doveri dello stato mandatario, essi si rapportano alla finalità ultima dell'istituto, che è quella di assicurare lo sviluppo e il progressivo miglioramento dei popoli soggetti al mandato. In particolare si deve garantire agl'indigeni i diritti fondamentali dell'uomo, provvedere alla sicurezza del territorio e impedire la tratta degli schiavi, ecc. Per i mandati B, si hanno speciali norme restrittive della potestà del mandatario, come quelle concernenti il divieto di stabilire fortificazioni o basi militari e navali, il divieto di servirsi degl'indigeni per la difesa di territorî diversi da quello sottoposto a mandato, l'obbligo di assicurare condizioni di uguaglianza per il commercio e il traffico a tutti gli stati membri della Società, ecc.
c) il controllo della Società delle nazioni sul modo d'esercizio del mandato si esplica a mezzo del consiglio, coadiuvato da uno speciale organo costituzionale di carattere consultivo, che è la commissione permanente dei mandati, composta di nove membri, scelti in maggioranza fra cittadini di stati non mandatarî. In relazione alla potestà di controllo della Società, sta, da una parte, l'obbligo dello stato mandatario di mandare alla Società un rapporto annuale intorno alla gestione del mandato e, dall'altra parte, il diritto di petizione delle popolazioni soggette. Tanto i rapporti quanto le petizioni sono esaminati e discussi, alla presenza del rappresentante dello stato mandatario, dalla commissione permanente dei mandati, la quale redige alla fine le sue osservazioni e le trasmette al consiglio.
Tutta l'attività dello stato mandatario deve ritenersi giuridicamente sottoposta al controllo della Società delle nazioni, in relazione alle condizioni stabilite nell'atto di mandato. Il par. 9 dell'art. 22 del patto, parlando di pareri da darsi al consiglio della Società dalla commissione permanente dei mandati intorno "ad ogni materia relativa all'osservanza dei medesimi", riconosce infatti nel consiglio un'ampia e generica potestà di controllo: i pareri non si spiegano, se non in riferimento all'esplicazione di una funzione attiva. Come conseguenza della potestà di controllo, deve riconoscersi anche al consiglio il diritto di applicare sanzioni in caso di inadempienze del mandatario agli obblighi relativi al mandato. La dottrina, pur nel silenzio del patto, è ormai ferma su questo punto. Quali possano essere queste sanzioni, è rimesso alla scelta del consiglio.
Rimane da accennare alla fine dei mandati e alla loro revisione. L'una e l'altra sono, dal punto di vista giuridico, insiti nelle stesse finalità dell'istituto. La revisione può estendersi al mutamento del tipo di mandato e può limitarsi, invece, alla modificazione più o meno ampia dei termini e condizioni dell'atto costitutivo. Questa ultima è prevista negli stessi statuti dei singoli mandati. In ogni caso la revisione deve essere, o deliberata direttamente dal consiglio della Società, ovvero da questo approvata, se l'iniziativa è presa dallo stato mandatario. Quanto alla fine del mandato, essa può avvenire, o per rinuncia dello stato mandatario, o per revoca del mandato da parte del consiglio della Società delle nazioni, ovvero per emancipazione pronunciata dal consiglio stesso. Sembra debba ammettersi la fine del mandato anche per la perdita delle qualità di membro della Società delle nazioni da parte dello stato mandatario. Come conseguenza della cessazione è stato espressamente stabilito dal consiglio della Società delle nazioni, con una risoluzione del 7 ottobre 1925, che "la cessazione o il trasferimento di un mandato, non potranno aver luogo senza che il consiglio si sia assicurato preventivamente che le obbligazioni finanziarie regolarmente assunte dall'antica potenza mandataria saranno eseguite e che tutti i diritti regolarmente acquistati sotto l'amministrazione di questa potenza saranno rispettati e, una volta il cambiamento operato, il consiglio continuera ad usare di tutta la sua influenza per assicurare l'esecuzione di queste obbligazioni.
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