MANDEI
. Setta gnostica mantenutasi fino a tempi recenti col favore di speciali circostanze d'isolamento, nella xona paludosa presso il luogo di congiunzione tra il Tigri e l'Eufrate, e che prima era diffusa anche a Basrah e nelle vicinanze di Shustar in Persia.
La prima notizia della loro esistenza fu data all'Europa da Pietro della Valle (Viaggi, p. 3ª, lettera 10ª par. 9, del 20 maggio 1625), che li conobbe a Baṣrah e rammenta, oltre al nome di mandei, quelli di sabei, con cui li designavano i musulmani (certo con allusione ai Ṣābi'ūn di cui è fatta menzione nel Corano) e di cristiani di S. Giovanni, dato loro dai cristiani, esprimendo l'opinione che essi fossero una setta di cristiani eretici i quali avessero dimenticato e confuso le dottrine e le pratiche della loro fede primitiva, oppure "reliquie di quegli Ebrei che S. Giovanni battezzava col battesimo di penitenza". Il favore che incontrò la prima ipotesi spiega l'interesse mostrato per i mandei dal missionario carmelitano Ignazio di Gesù, il quale mandò a Propaganda Fide i primi manoscritti mandei conosciuti in Europa (oggi nella Biblioteca Vaticana) e per primo diede notizia, peraltro alquanto erronea e confusa, delle loro credenze e dei loro riti. Più tardi studiosi francesi, inglesi e tedeschi vennero in contatto con essi, acquistarono manoscritti in gran copia (oggi specialmente a Parigi, Oxford, Londra, Berlino) e cercarono di farsene spiegare il contenuto, sia dal punto di vista linguistico sia da quello delle dottrine, dai sacerdoti mandei; questi peraltro si rivelarono straordinariamente decaduti culturalmente, tanto da non essere in grado di fornire informazioni utili. Soltanto dopo che Th. Nöldeke nel 1875 ebbe chiarito il carattere linguistico dei libri mandei e W. Brandt nel 1889 ebbe compiuto un primo tentativo di ricostruzione del loro contenuto religioso, l'indagine scientifica del mandeismo poté procedere su basi più sicure. Tuttavia lo stato di estremo disordine e di contaminazione di elementi eterogenei in cui si trova la tradizione mandea, nonché la mancanza di notizie sicure sull'origine e sulla storia della comunità religiosa, rende estremamente difficile lo sceverarne i tratti caratteristici e l'esporne sistematicamente le dottrine.
I mandei sono certamente i rappresentanti di una delle molteplici diramazioni della corrente di gnosi orientale (v. gnosticismo) nella quale, nonostante le divergenze regnanti tra gli studiosi circa la sua origine e il suo carattere, è lecito ravvisare il prodotto di una speculazione "razionalistica" sui dati forniti dal sincretismo tra la religione astrale babilonese nella sua fase seriore e il dualismo iranico, non senza, forse, l'intrusione o la conservazione di miti naturistici d'origine anche più antica. Un particolare interesse è conferito alla dottrina mandea dall'assenza completa di elementi greci nella sua sistemazione, mentre questi sono presenti in tutte, o quasi, le rimanenti dottrine gnostiche, compreso il manicheismo. Alla concezione religiosa mandea è estraneo il concetto di un Dio supremo personale; l'origine delle cose è ravvisata in una specie di forza impersonale, "il grande mānā" (lett. "strumento"), identificato talora con l'ayar ("etere"), dal quale emanano tre mondi successivi, l'ultimo dei quali è quello terreno, misto, come in tutti i sistemi gnostici, di un elemento materiale e di uno spirituale. A costituire questo mondo, come anche i due anteriori posti al difuori della realtà spaziale e temporale, hanno contribuito varie specie di esseri, emanazioni anch'essi dell'ente supremo, nei quali (anche questo in armonia col resto della gnosi, p. es. quella di Valentino e il manicheismo) concezioni astratte rivestono figura di esseri mitologici (o, più esattamente, antiche personalità mitiche sono volte a significare concetti ingenuamente filosofici). Nel mandeismo questi esseri intermediarî, detti Uthrā, tentano di costituire il terzo mondo, ma alla loro opera si associa quella degli spiriti malvagi, provenienti dal mondo delle tenebre o, secondo la terminologia mandea, delle "acque oscure"; tra questi spiriti, chiamati col consueto termine pansemitico rūhā, figurano gli spiriti dei pianeti e delle costellazioni dello zodiaco, ossia precisamente coloro i quali, nell'astralismo babilonese e nei sistemi che si riallacciano a esso, costituiscono le divinità maggiori che, subordinate all'ente supremo inconoscibile e trascendente, presiedono ai destini umani. Tratto anche più singolare, tra questi spiriti malvagi uno è chiamato rūḥā d qudshā "Spirito santo" e un altro Isū mshīḥā "Gesù Cristo"! L'opera nefasta di questi spiriti rovinerebbe irrimediabilmente la creazione, se non fosse per l'intervento di una creatura del "grande mānā", il mandā d ḥayyē "sapienza vitale", che interviene in varie fasi successive a combattere l'influsso degli elementi del male; da lui origina tutto quanto vi ha di spirituale e di divino nel mondo della materia e a lui, sia per la sua azione diretta, sia per quella di varie sue emanazioni (le principali sono chiamate Hibil Zīwā, Shitil, Enosh, con probabile influenza del giudaismo, come si dirà più oltre), è dovuta la possibilità di salvezza per l'anima umana, che egli stesso ha ispirata nel primo uomo (Adamo) e da lui si trasmette ai suoi discendenti. Mandā d hayyē, come risulta evidente dal nome, corrispondenza letterale di γνῶσις τῆς ζωῆς, non è dunque altro che la personificazione della gnosi redentrice, e costituisce il centro della teologia dei Mandei, che appunto da lui hanno preso il nome col quale essi stessi si designano.
Queste le linee fondamentali del sistema, che tuttavia non sono mai disegnate con chiarezza né con ordine; a esse si accompagna poi un inestricabile groviglio di spunti teologici e mitologici, non mai interamente sviluppati, i quali rappresentano sia parti secondarie del sistema, sia aggiunte (spesso doppioni, con terminologia mutata) e contaminazioni di varia origine, delle quali purtroppo ci sfugge sempre la vera origine e quasi sempre il significato. Tra queste, una delle più notevoli è un altro mito cosmogonico, nel quale il mondo sensibile è creato dal "re della luce" attraverso il suo uthrā Gabriele: in esso si è voluta ravvisare, non senza fondamento, un'evoluzione (rimasta probabilmente nello stadio embrionale) verso il monoteismo, con forti influssi giudaici e cristiani.
Come tutte le religioni di redenzione, il mandeismo pone come condizione necessaria, e sufficiente, per la liberazione dal male e per la congiunzione col principio vivificatore una cerimonia d'iniziazione, consistente in un battesimo per immersione, il quale deve essere sempre compiuto in acque correnti, alle quali è dato il nome simbolico di "Giordano". Oltre al battesimo, il mandeismo conosce anche una comunione, sotto le specie del pane e dell'acqua (talvolta con l'aggiunta di un po' di vino, il quale nell'uso quotidiano è peraltro vietato) e molteplici unzioni con l'olio. La cerimonia religiosa centrale, nell'abitazione del sacerdote (forse avanzo di un antico costume orientale), ha il nome di masseqtā "elevazione"; durante la preghiera i fedeli si rivolgono a settentrione.
Benché i libri sacri mandei, anche negli elementi più antichi che è dato rintracciarvi, presentino già uno stato di decadimento e di oblio del significato primitivo della dottrina, è evidente che in questa si contiene una voluta contrapposizione all'astralismo babilonese nonché al giudaismo e al cristianesimo. D'altra parte l'influsso di queste tre religioni, e segnatamente delle ultime due, è innegabile; i mandei poi, oltre a questo loro nome, si dànno quello di "nasorei", il quale ha dato luogo a vivacissime discussioni e oggi può ritenersi sicuramente distinto nel significato originario da quello di "cristiani", ma, a ogni modo, rivela una connessione con le origini cristiane. E certamente a influsso cristiano è dovuta l'intrusione della figura di Yuḥannā (o, in altre fonti, Yaḥyā, la stessa forma usata dagli Arabi) come istitutore del battesimo. Alla possibilità che i mandei rappresentino una derivazione da sette battistiche giudaiche, e più precisamente da quella che fece capo a Giovanni Battista (la quale, come oggi nessuno più dubita, continuò per qualche tempo a sussistere indipendente anche dopo il sorgere dell'apostolato cristiano), aveva già pensato, come si è visto, il primo europeo che conobbe l'esistenza dei mandei, Pietro della Valle. Recentemente tale ipotesi è stata ripresa da M. Lidzbarski, il quale portò in sostegno di essa alcuni argomenti linguistici incontestabili, i quali dimostrano la presenza di elementi occidentali nel mandeo. La rapida fortuna di questa ipotesi, mediante la quale da alcuni si pensò di poter ricostruire, attraverso l'analisi del mandeismo, le concezioni religiose che starebbero alla radice immediata del cristianesimo, accenna tuttavia a scemare, e si ritiene oggi dai più che gli elementi giudaici e cristiani che il mandeismo contiene siano soltanto infiltrazioni posteriori: come spesso avviene nello svolgimento delle religioni, specialmente orientali, all'irresistibile forza di attrazione esercitata da alcuni elementi delle religioni rivali si cerca di togliere efficacia insistendo con enfasi sempre maggiore, nell'atto stesso in cui si accolgono quegli elementi, sull'insanabile contrasto tra la propria e l'altrui credenza. Ciò spiegherebbe l'atteggiamento aspramente ostile del mandeismo verso il giudaismo e il cristianesimo. Tuttavia questi elementi giudaici e cristiani non costituiscono il nucleo originario del mandeismo, e gli stessi riti d'iniziazione (battesimo, comunione, unzione), se debbono forse alcuni particolari a imitazione di quelle religioni, non furono probabilmente in origine se non forme rituali parallele a quelle del giudaismo e del cristianesimo, sorte sul comune fondo religioso orientale.
Come i mandei, originarî, a quanto pare, dalla Siria, finirono in tempi storici a restringersi nelle regioni inospitali delle bassure mesopotamiche, così in progresso di tempo, sempre più esclusi dal mondo circostante, andarono diminuendo rapidamente. Già ai primi tempi dell'Islām sembrano essere stati poco numerosi, poiché rimasero ignoti agli scrittori musulmani che pure si sono occupati con abbondanza di particolari delle sette religiose sparse nel territorio islamico: è bensì vero che le fonti arabe parlano di alcune sette battiste stanziate nello stesso territorio in cui più tardi si sono riscontrati i mandei (Sābi'ūn, Mughtasilah), ma non sembra che, oltre al rito del battesimo, esse avessero altro di comune con questi. Verso la fine del sec. XIX la comunità mandea del villaggio di Huwaizah, la maggiore di quelle superstiti, contava poco più di un migliaio di adepti; oggi sembra che sopravvivano esigui gruppi nei villaggi di an-NāŞiriyyah e Sūq ash-Shuyūkh (‛Irāq).
I libri sacri dei mandei. - Il maggiore dei testi mandei è il cosiddetto "Libro di Adamo" o Sidrā rabbā "il gran Libro" (propriamente Ginzā "tesoro", ed. H. Petermann, Lipsia 1867, trad. parziale di W. Brandt, Mandāische Schriften, Gottinga 1893, completa di M. Lidzbarski, Gottinga 1925), aggregato di materiali diversi, i più antichi dei quali risalgono alla fine del sec. VII d. C.; il Sidra d Yaḥyā "Libr0 di Giovanni" o Drāsāyē d malkāyē "discorsi dei re" (ed. e trad. M. Lidzbarski, Giessen 1915); contenuto liturgico ha il Qolastā (ed. J. Euting, Stoccarda 1867, trad. M. Lidzbarski, Berlino 1920 [Abh. Ges. Wiss. Göttingen, n. s. XVII, 1]); interessanti sono alcune tabelle plumbee e alcuni testi magici incisi nell'interno di coppe fittili (v. H. Pognon, Inscriptions mandaïtes des coupes de Khouabir, Parigi 1898); una collezione di inni religiosi il cosiddetto Divano, è stata riprodotta fototipicamente (dal codice Vaticano Borgiano) da J. Euting (Strasburgo 1904). I manoscritti nei quali ci sono giunti tutti questi testi sono assai tardi (dal sec. XVII al XIX) e i testi stessi presentano tracce redazionali che mostrano che il loro aspetto attuale si è fissato in età posteriore all'Islām.
Lingua e scrittura dei mandei. - I mandei hanno conservato nei loro libri sacri una varietà dell'aramaico orientale, strettamente affine al dialetto giudaico del Talmud di Babilonia; essa rappresenta il linguaggio della Babilonide meridionale, come il talmudico rappresenta quello della Babilonide settentrionale. L'elemento persiano vi ha parte più larga che negli altri dialetti aramaici, e forte è anche l'invasione dell'elemento arabo. La scrittura si è svolta in una forma particolare, che tende al corsivo e ha stretta affinità con la cosiddetta scrittura manichea, più remota con la scrittura siriaca estrangēlā. Il mandeo ha un segno particolare per rendere la d del pronome relativo, senza che la pronuncia di esso, probabilmente, fosse differente da quella ordinaria della d. Caratteristica è la rappresentazione delle vocali, nella quale il processo, già iniziatosi da tempo antico presso le altre scritture semitiche, di usare in funzione di vocali le consonanti laringali, è giunto al suo pieno sviluppo (anche maggiore che nel talmudico babilonese), tanto che tutte le vocali sono regolarmente indicate nella scrittura; questo processo fu naturalmente favorito dalla scomparsa delle laringali nella pronuncia, la quale si manifesta anche nell'abbbandono delle grafie etimologiche; dal che l'intelligenza dei testi mandei, già difficile per la natura del loro contenuto, è resa anche più ardua.
Bibl.: Oltre alle introduzioni alle edizioni e traduzioni dei testi, v. A. J. H. W. Brandt, Die mandäische Religion, Lipsia 1889; id., Die Mandäer, ihre Religion und ihre Geschichte, Amsterdam 1915 (Verhand. Ak. Wetensch., n. s., XVI, p. 3), ampliamento dell'articolo uscito nell'Encycl. of Religion and Ethics del Hastings. V. anche R. Reitzenstein, Das iranische Erlösungmysterium, Bonn 1921, passim, e, tra le confutazioni delle tesi estremiste di questo scrittore, Burkitt, in Journ. of theol. Studies, XXIX (1928), pp. 225-35; E. Pederson, in Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft, XXV (1926), p. 236 segg.; XXVII (1928), p. 55 segg.; id., in Theologische Blätter, VII (1928), p. 317 segg.; U. Fracassini, La religione dei Mandei, in Giorn. soc. asiat. it., XXIX; L. Tondelli, Il mandeismo e le origini cristiane, in Orientalia, Roma 1928; H. Lietzmann, Ein Beitrag zur Mandäerfrage, in Sitzungsber. Akad. Berlin, 1930, pp. 596-608. Per la lingua e la scrittura: Th. Nöldeke, Mandäische Grammatik, Halle 1875; G. Bergsträsser, Einführung in die semit. Sprachen, Lipsia 1928, pp. 78-80.