BECCARIA, Manfredi (Manfredino)
Nato verso la metà del sec. XIII da nobile famiglia di Pavia, come già il padre Giovannone, alias Zannone, e prima il nonno Musso, guidò, negli ultimi due decenni del secolo, il "popolo" e i "militi" ghibellini della sua città nella lotta contro i più numerosi e potenti "militi" guelfi mostrando una chiara tendenza a instaurare di fatto, se non di diritto, un regime signorile in Pavia. Era già stato podestà di Casale di Sant'Evasio (ora Casale Monferrato) nel 1272, di Vercelli nel 1275, di Novara nel 1278. Morto il padre fra il 1279 e il 1282, lo sostituì quale podestà del popolo e dei mercanti di Pavia, e resse tale carica, con ogni verosimiglianza, ininterrottamente dal 1282 (se non da prima) fino al 1289; certo egli la teneva nel 1282, nel 1285, nel 1287 e nei primi mesi del 1289.
La sua forza poggiava, oltre che sulla costante fedeltà della borghesia e sull'amicizia di alcune poche casate ghibelline, anche su un assai rilevante patrimonio familiare; attraverso gli accenni dei cronisti e gli scarsi atti superstiti si intravvede una vasta rete di possessi e di diritti signorili, senza che sia possibile, tuttavia, concretamente delimitarla: centro ne era il Vogherese. Indizio chiaro di questa potenza e del grande prestigio personale del B. si ha nel fatto che, quando nel 1287 fu stipulata una lega difensiva e offensiva fra alcuni Comuni lombardi e il conte Amedeo V di Savoia contro Guglielmo VII di Monferrato, oltre al Comune di Pavia vi fu compreso, a titolo personale, accanto all'arcivescovo di Milano Ottone Visconti, anche il B. che col Visconti era in questi anni in ottimi rapporti.
Il suo monopolio dell'importantissima carica di podestà del popolo e dei mercanti, a cui talvolta era unita anche quella di podestà del collegio dei notai, e la sua tendenza a comportarsi da signore irritavano i nobili guelfi, i quali chiedevano che le cariche non fossero perpetue, che quella di podestà del popolo fosse affidata a forestieri e che le altre venissero sorteggiate. Nel maggio del 1289 scoppiarono disordini in città; per il momento il B. poté costringere i capi dell'opposizione, tra cui il conte Filippone di Langosco e il vescovo Guido Zazzi, ad abbandonare Pavia. Rifugiatisi con i loro seguaci a Bassignana, essistrinsero accordi con il marchese di Monferrato che ne assunse il comando. Il B., uscito con l'esercito pavese per affrontare gli avversari in campo aperto, fu costretto dagli infidi "militi", che erano nelle sue schiere, ad acconsentire a trattative di pace. Entrato il marchese in Pavia il 17 giugno ed eletto il 18 capitano generale e signore della città per dieci anni, il B. finse di acconciarsi alla nuova condizione e il 19 propose e ottenne che Guglielmo di Monferrato fosse nominato signore a vita. L'astuzia non gli valse, ché il marchese, allontanandosi il 22 da Pavia, lo volle con sé, obbligandolo ad assistere al proprio ingresso in Novara il 28 giugno. Il B. fu più fortunato nel mese di luglio, quando, forse con il pretesto di un tentativo di mediazione tra il Monferrino e i Visconti, poté sfuggire a Guglielmo e trovare rifugio in Milano, raggiunto presto da molti seguaci, con i quali nell'agosto dal suo castello di Monteacuto (ora Montù Beccaria) riprese a combattere a fianco dei Milanesi contro il marchese e i guelfi pavesi.
Dopo la cattura di Guglielmo VII per opera degli Alessandrini, nel settembre del 1290, il B. poté riavere Voghera e, forse nell'ottobre, rientrare in patria, dove fu rieletto podestà del popolo, dei mercanti e del Collegio dei notai per dieci anni, ottenendo la restituzione di tutti i beni e procurandosene altri ancora. Nel maggio del 1292 i "militi" suoi avversari, che dal castello di Bassignana avevano tentato invano di contrastargli il potere, si rappacificarono con lui per la mediazione del Comune di Bergamo e furono riammessi in città.
È probabile che il B. abbia tenuto il potere dall'autunno dell'anno 1290 al febbraio del 1300. La notizia riferita dal Robolini sulla fede del Bossi, autore di una Storia di Pavia tuttora inedita, secondo la quale il B. il 15 aprile 1296 sarebbe stato espulso dalla città con i suoi fautori, lascia dubbiosi, tanto più che il Bossi non ne ricorda la fonte; né è sufficiente a renderla credibile il fatto che dal gennaio dello stesso anno fosse vescovo di Pavia Guido di Langosco, fratello di Filippone. Non consta infatti che dopo la pacificazione del maggio 1292 vi siano state aspre lotte interne prima degli ultimi mesi del 1299. Dai documenti. superstiti risulta che nell'ottobre del 1295 il B. era podestà del popolo e che lo era pure nel giugno del 1297. In un atto del 7 giugno 1298 appare insignito di tale carica il figlio del B., Mussetto; dovette però trattarsi di un breve lasso di tempo, in cui, per ragioni ignote il B. governò forse per l'interposta persona del figlio, giacché nel 1299 egli riappare come il capo effettivo della città.
Da parecchio tempo il B., allarmato per il progressivo estendersi della potenza dei Visconti, si era andato scostando da loro. Già nel 1295 con il concorso del genovese Corrado Spinola, che dominava l'alta valle della Scrivia, aveva sottratto alla loro influenza Tortona. L'urto frontale con Matteo avvenne però nel 1299.
Accordatosi con i marchesi di Monferrato e di Saluzzo, con il pieno appoggio di Filippone di Langosco, il B. nel marzo diede inizio alle ostilità, occupando dapprima Mortara e quindi, con il Monferrino, Vercelli e Novara; le due città entrarono nella coalizione antiviscontea e nell'aprile ne seguì l'esempio Casale. Il 3 maggio aderirono in Pavia all'alleanza anche le città di Bergamo e di Cremona e il marchese Azzo VIII d'Este, con le città dipendenti e il fratello Francesco. Il B., che sembra fosse l'anima della lega, giurò, oltre che per Pavia, anche per i Comuni di Casale e di Valenza, i quali, dunque, almeno di fatto, lo avevano in questo tempo come signore. Il maggio, il giugno e parte del luglio trascorsero in azioni di guerra.
Finalmente il 31 luglio, per la mediazione dei Veneziani, il B. e il Visconti stipularono la pace; le condizioni sono ignote, ma certo Mortara rimase ai Pavesi. Si riaccesero però le lotte intestine. Nel settembre del 1299 Filippone di Langosco e i suoi aderenti erano già fuori della citta. Accostatisi a Matteo Visconti, ne favorirono nello stesso mese i piani di riconquista di Vercelli e di Novara, donde fu cacciato il podestà Mussetto Beccaria. Da varie località della Lomellina il Langosco e i suoi seguaci continuarono poi la lotta contro il B., finché nel febbraio del 1300 Matteo Visconti, quale arbitro, riuscì a rappacificare apparentemente le due fazioni; tuttavia lo stesso giorno in cui gli avversari rientrarono in patria (20 febbraio) il B. e i suoi fautori, rimasti soccombenti in un cruento conflitto, dovettero prendere a loro volta la via dell'esilio, cercando rifugio a Milano.
Le notizie trasmesseci dai cronisti si fanno da questa data più scarse e confuse. Forse sono nel vero l'anonimo autore degli Annales Mediolanenses e Tristano Calco, i quali affermano che il B. si trasferì a Verona al soldo degli Scaligeri. È probabile, però, che, appena rotta la temporanea anucizia tra il Visconti eFilippone, iniziatesi nella seconda metà del 1301 le ostilità militari, il B. sia tornato a combattere con i Visconti contro il Langosco. Pare che nel maggio del 1303 egli, con Matteo, anch'egli espulso da Milano, fosse a Piacenza, presso Alberto Scotti, e che nell'agosto appoggiasse e, forse, guidasse i Tortonesi "intrinseci" nella guerra contro i loro fuorusciti, alleati del Langosco e dei Torriani. Da un atto del 6 ag. 1304, malamente riassunto dal Boselli, risulta che il B. era allora a Tortona, propenso a fare la pace con i propri concittadini alle condizioni stabilite, da Alberto Scotti. Poi fino al novembre, o dicembre, del 1310 non abbiamo più notizie di lui. Forse proprio in quel frattempo deve porsi il lungo confino a Busalla di cui parla il cronista Guglielmo Ventura.
Nella seconda metà del novembre, o ai primi del dicembre del 1310, il B. si presentò in Asti ad Enrico VII e, se Niccolò di Butrinto dice il vero, fu incluso, con Matteo Visconti, nel regio Consiglio. Accompagnò quindi il re dei Romani a Milano, dove il 9 genn. 1311 i procuratori suoi e della sua parte prestarono giuramento di fedeltà ad Enrico, dandogli pieni poteri per la rappacificazione con gli avversari. Due giorni dopo, insieme con Gualtiero di Corte, il B. promise di dare entro sei settimane dal ritorno in patria 2.000 fiorini al re e 500 alla regina. Ignoriamo i particolari della sentenza regia pronunziata il 12 e ratificata il 17 dalle due parti, ma senza dubbio essa comportava il ritorno degli esuli. Tuttavia il B. non doveva fermarsi nella sua città. Benché il suo nome non compaia negli atti della curia regia durante l'assedio di Brescia, è probabile che, come afferma il Ventura, egli abbia dovuto seguirvi il re. Mentre egli era lontano, nel giugno scoppiarono in Pavia nuovi disordini; la sua parte fu espulsa e, pochi giorni dopo coloro che da Enrico VII avevano avuto l'incarico di ristabilire la pace ordinarono che, ad evitare sommovimenti, i Beccaria e i Corte risiedessero nei loro feudi e non mettessero piede in città. Invano nell'ottobre, durante il breve soggiorno di Enrico in Pavia, il B. si gettò ai suoi piedi, invocandone l'appoggio. Sullo scorcio del 1311 o al principio del 1312, come vendetta, pare, dell'imprigionamento di Antonio da Fissiraga a opera dei partigiani del B. e della sua consegna a Matteo Visconti, il B. fu, a sua volta, catturato dal Langosco con la connivenza di Filippo di Savoia Acaia, vicario di Enrico VII, e tenuto prigioniero in Pavia.
Non sappiamo quale esito abbia avuto nella primavera del 1313 la sua supplica all'imperatore di essere scambiato con Corrado di Brayda, ragguardevole guelfo albese caduto nelle mani degli imperiali. Secondo il Ventura, il B. rimase in carcere quattro anni; da un passo del cronista piacentino Guerino parrebbe invece doversi arguire che nel giugno del 1315 fosse libero e partecipasse, benché vecchio, alla lotta contro i guelfi pavesi.
Dopo che, nell'ottobre dello stesso anno, i ghibellini, con il concorso dei Milanesi, ebbero occupato la città, il B. riebbe i suoi beni e tornò ad essere il più autorevole cittadino, ma ormai sotto la pesante protezione viscontea. Morì il 22 marzo 1322.
Fonti e Bibl.: Non esiste una monografia sul Beccaria. Scarsa fede si deve prestare a G. A. Boni, Beccariae gentis monumenta, Papiae 1580, pp. 13-14, e a S. Marini, Beccariae gentis imagines, Ticini 1585, pp. 13-15; la seconda opera è evidente plagio della prima. Notizie di importanza e attendibilità varie si trovano in fonti narrative sincrone o di poco posteriori: De Romano, Annales Veronenses, in Antiche cronache veronesi, a cura di C. e F. Cipolla, Venezia 1890, pp. 435 s., 438, 441, 455 s., 457 s., 468; Guerino, Chronicon Placentinum abanno MCCLXXXIX ad annum MCCCXXII, in Chronica tria Placentina, a cura di B. Pallastrelli, Parmae 1859, pp. 351, 395; G. Ventura, Memoriale de gestis civium Astensium et plurium aliorum, in Historiae Patriae Monumenta, Scriptores, III, Augustae Taurinorum 1848, coll. 717, 719, 780, 791; Giovanni da Cermenate, Historia, a cura di L. A. Ferrai, Roma 1889, in Fonti per la storia d'Italia, II, p. 98; Ferreto de' Ferreti, Le opere, a cura di C. Cipolla, I, Roma 1908, p. 294; II, ibid. 1914, pp. 6-8 (nn. 42-43); Niccolò vescovo di Butrinto, Relatio de itinere Italico Henrici VII imperatoris, in S. Baluzius, Vitae paparum Avenionensium, a cura di G. Mollat, III, Paris 1921, pp. 496, 521; Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII ad annum MCCCXXXVIII, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. 56 s., 61; A. Mussato, Historia Augusta, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., X, Mediolani 1727, coll. 397 s.; G. Fiamma, Manipulus florum, ibid., XI, Mediolgni 1727, col. 722; Annales Mediolanenses ab anno MCCXXX ad annum MCCCCII, ibid., XVI, Mediolani 1730, coll. 681 s., 686, 642. Fonti assai import. sono pure: B. Corio, Patria Historia, Mediolani 1503 (è l'editio princeps, la migliore, avendo le altre subito alterazioni), ff. 114-116, 119-121, 124, 128, 138, e T. Calco, Historiae Patriae libri XX, 2 ediz., Mediolani 1628, pp. 383, 389-392, 399, 401-404, 417, 435, 460, 463 s.; gli autori, sebbene scrivessero negli ultimi anni del sec. XV, ebbero modo di consultare la cronaca del notaio Antonio da Recenate, ricca di notizie ed ora perduta; però il Calco in qualche caso fraintese e male riassunse il cronista trecentesco. Le fonti non narrative pervenuteci sono edite in: L. A. Muratori, Delle Antichità Estensi, parte 2, Modena 1740, pp. 60-63; Historiae Patriae Monumenta, Chartae, I, Augustae Taurinorum 1836, docc. MXXXIV-MXXXVI; A. Casati, Milano ed i principi di Savoia, Torino 1859, pp. 331-335; Statuta Communitatis Novariae, a cura di A. Ceruti, Novara 1879, pp. 1, 175; C. Brambilla, Due documenti pavesi dell'anno 1289, in Arch. stor. lombardo, XVI(1889), pp. 910-922; Monumenta Germ. Hist., Constitutiones et Acta Publica, IV, 1, Hannoverae et Lipsiae 1904-1906, docc. 528-531; 2, ibid. 1909-1911, doc. 1021; E. Durando, Carte varie di Casale e del Monferrato, in Cartari minori, I, Pinerolo 1908, docc. XV-XVI, XXII; L. C. Bollea, Docum. degli arch. di Pavia relativi alla storia di Voghera, Pinerolo 1910, docc. CXCVI, CXCVIII, CCIV; A. Tallone, Le carte dell'arch. com. di Voghera fino al 1300, Pinerolo 1918, docc. CLX, CLXV, CXCIII, CCXXXIV, CCXXXVI, CCLX. Nella letteratura storiografica moderna l'opera più ricca di notizie è quella di G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, IV, 1, Pavia 1830, pp. 212-242, 250, 257-260, 266, 272-275, 277 s., 282; 2, ibid. 1832, pp. 49, 53, 97 s., 182 s., 202-205, 236, 301. Qualche cenno in: L. A. Muratori, Annali d'Italia, VII, Milano 1744, pp. 478 s., 481, 527; VIII, ibid. 1744, p. 96; G. V. Boselli, Delle storie piacentine libri XII, Piacenza 1793, p. 225; V. Mandelli, Il Comune di Vercelli nel Medio Evo, III, Vercelli 1858, p. 278; IV, ibid. 1861, pp. 73 s., 127-131; G. Romano, Delle relazioni tra Pavia e Milano nella formazione della signoria viscontea, in Arch. stor. lombardo, XIX(1892), pp. 565-569; G. C. Bascapè, I conti palatini del Regno Italico e lacittà di Pavia dal Comune alla Signoria, ibid., LXII (1935), pp. 357-376; P. Vaccari, Scritti storici, Pavia 1954, p. 38; Id., Pavia nell'alto Medioevo e nell'età comunale, Pavia 1956, pp. 81 s., 85, 97; G. L. Barni, Dalle lotte contro il Barbarossa al primo Signore (1152-1310), in Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 347-349, 358-361; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, ibid., V, Milano 1955, pp. 28, 72 s., 90; W. M. Bowsky, Henry VII in Italy. The conflict of Empire and City-State, Lincoln (U.S.A.) 1960, pp. 68, 70, 236 n. 116, 245 n. 97, 246 n. 107.