Vico, Manfredi da
, Personaggio contemporaneo di D., ricordato nel Convivio come tipico esempio di uomo che, sebbene una nullità, si crede nobile ed esige dalla società onori e rispetto, se non altro per i meriti acquistati dai propri antenati, dei quali meriti si stima erede: Potrebbe dire ser Manfredi da Vico, che ora Pretore si chiama e Prefetto: ‛ Come che io mi sia, io reduco a memoria e rappresento li miei maggiori, che per loro nobilitade meritaro l'officio de la Prefettura, e meritaro di porre mano a lo coronamento de lo Imperio, meritaro di ricevere la rosa dal romano Pastore: onore deggio ricevere e reverenza da la gente ' (Cv IV XXIX 2).
M. discendeva da una potente famiglia romana che dominò per circa quattro secoli il patrimonio di San Pietro in Tuscia ed esercitò per eredità la prefettura di Roma. Grazie a quest'ufficio la famiglia possedeva i principali castelli che dominavano le strade per Roma, fra cui Vico che, dopo il secolo X, fu in particolare il feudo dei prefetti: da qui il nome della famiglia.
Lacunosa la documentazione su M. per gli anni precedenti alla prefettura. Figlio di Pietro IV, e fratello di Pietro V, M. possedeva il castello di Montalto già dal 1269 e nel 1301 è ricordato in un atto notarile come podestà di Corneto.
Poiché Pietro V, morendo, non aveva lasciato discendenza maschile, M. nel 1304 gli succedeva nella carica di prefetto di Roma.
Nel 1306 il Vico sposò una certa Metalona, a lui congiunta di terzo grado di parentela, nonostante la mancanza di dispensa che fu concessa con l'assoluzione nel 1316.
Nel 1307 M., ghibellino dichiarato, sconvolse lo stato della Chiesa invadendo il contado aldobrandesco nella Maremma e continuò a guerreggiare finché, venuto in Italia Enrico VII di Lussemburgo, si pose tra i suoi più fedeli sostenitori e seguaci. A seguito di Enrico nel 1313 entrò in Orvieto con un grosso esercito e s'impossessò del governo, ma dopo poco fu ricacciato e a stento si salvò.
Negli anni successivi M. tornò di nuovo a guerreggiare nel patrimonio e nel 1316, mentre ovunque regnava il disordine, riuscì a governare insieme al magistrato degli Otto la città di Viterbo, assumendo il titolo di Difensore.
L'anno successivo Guglielmo, rettore del patrimonio, gli moveva guerra, scomunicando lui, suo figlio Bonifacio e i suoi partigiani e sottraendogli lo stesso castello di Montalto, mai più restituito ai Vico.
Nel 1327, il 19 gennaio, M. fu presente, in qualità di prefetto, a Roma per l'incoronazione di Lodovico il Bavaro, ma non sembra che gli abbia imposto la corona personalmente.
M. morì nel 1337 e suo figlio Giovanni gli succedeva nella prefettura romana.
D. certamente fu felice nello scegliere come esempio di nobiltà ereditaria quella dei prefetti di Roma, ma forse non ugualmente nella scelta dell'individuo degenerato. Probabilmente, come suppone l'Armstrong, D. stette all'opinione corrente, poiché la casa dei Vico fu popolarmente riguardata come tipica per nobiltà, antica ricchezza e dignità, mentre i suoi individui godevano dal punto di vista fiorentino e guelfo triste fama, come spauracchi del governo papale e dei municipi del patrimonio, sostenitori di scismi e di antipapi e dichiarati nemici della democrazia.
La menzione di M., inoltre, se è di aiuto per stabilire il tempo di composizione del Convivio, non serve però per una data definitiva dell'opera, poiché M. sopravvisse a Dante.
Bibl. - C. Corentini, Brevi notizie della città di Viterbo e degli uomini illustri, Roma 1774, 142-143; C. Calisse, I prefetti di V., in " Arch. Società Romana Storia Patria " X (1887) 461; F. Cristofori, Memorie storiche dei Signori di V., prefetti di Roma e tiranni di Viterbo, Siena 1888; E. Armstrong, Ser Manfredi da V., in " Modern Language Quarterly " I (1897) 60-62 (recens. di E. Pistelli, in " Bull. " VI [1898-99] 53); G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Viterbo 1907; R. Morghen, Prefetti di V., in Enc. Ital. XXXV (1937) 306-307.