LANCIA (Lanza), Manfredi
Di nobile famiglia, originaria del Piemonte, spostatasi nell'Italia meridionale al seguito degli Svevi, la sua nascita è da collocare poco dopo la metà del XIII secolo. Era figlio di uno dei fratelli (o, secondo altri, nipoti) di Bianca Lancia, madre di Manfredi di Svevia. L'ipotesi più accreditata è che il padre fosse Federico, conte di Squillace e vicario generale di Sicilia e Calabria, e non Galvano, condannato a morte nel 1268 insieme con Corradino di Svevia. In ogni caso, era certamente fratello minore di Corrado Lancia senior e di Margherita, che andò sposa a Ruggero di Lauria. Quando era ancora molto piccolo, il L. si trasferì in Catalogna con il fratello Corrado e con il seguito che accompagnava Costanza di Svevia, figlia di re Manfredi, sposatasi con l'infante Pietro d'Aragona, divenuto re d'Aragona nel 1276, alla morte di Giacomo I il Conquistatore. Il L. fu educato presso la corte catalana, di cui seguì gli spostamenti, e studiò in una sorta di scuola di paggi, dove imparò il catalano parlato e scritto.
Il 30 marzo 1282 la Sicilia si ribellò agli Angioini e in agosto Pietro III d'Aragona sbarcò nell'isola, dove il 4 settembre fu incoronato re, in virtù dell'avvenuto matrimonio con Costanza, giunta in Sicilia nell'estate 1283. La regina affidò al L. il compito di accerchiare, con alcune compagnie di almogaveri catalani e di soldati siciliani, il castello di Malta in mano agli Angioini nella speranza di una facile resa per mancanza di soccorsi. L'ammiraglio Ruggero di Lauria, che si trovava a Messina, ordinò al L. di imbarcare sulle galee 100 cavalieri, 1000 almogaveri, 100 marinai provvisti di una tenda e quattro piccoli trabocchi a testa, e di partire alla volta di Malta, per assediare il castello.
Sbarcati a Malta, i soldati iniziarono a predisporre i trabocchi. Dopo aver chiesto ai Maltesi di rifornire gli assedianti di generi di prima necessità e demandato al L., "que era molt bo i savi cavaller" (Muntaner, p. 192), il compito di presiedere le operazioni belliche, il Lauria ripartì lasciando due navi e due barche armate con l'ordine di comunicare eventuali novità. Per evitare che il castello cedesse per fame, l'ammiraglio provenzale Guglielmo Cornut giunse a Malta con la sua flotta con i rifornimenti di vettovaglie e munizioni; le navi dell'ammiraglio Ruggero di Lauria, che aveva ricevuto dalla regina Costanza l'ordine di tornare a Malta, non poterono impedirlo. Tuttavia il Lauria giunse nell'isola navigando di notte e mandò in avanscoperta alcuni esploratori con il compito di contattare il Lancia. Prima dell'alba la tromba lanciò ai nemici il segnale di guerra e, quando il Lauria chiese loro di scegliere tra la resa incondizionata e la battaglia, i Provenzali decisero di combattere.
L'8 giugno 1283 scoppiò un sanguinoso scontro navale, nel quale fu ferito anche Ruggero di Lauria; secondo Muntaner, morirono 300 soldati della fazione catalano-aragonese e 200 furono feriti. Poco dopo il castello di Malta si arrese al Lancia. Saputa la notizia, la regina manifestò grande soddisfazione, data l'importanza strategica del castello.
Oltre che dalle fonti narrative, la presenza del L. a Malta è attestata anche da quelle documentarie: dal rendiconto delle spese effettuate da Ruggero di Lauria risulta che tra aprile e luglio 1283 il L. ricevette dal cognato 16 onze e 20 tarì come capitano e giustiziere delle isole di Malta e Gozo.
Nel 1291 morì Alfonso III, succeduto al padre Pietro III nel 1285, e fu incoronato re d'Aragona il fratello Giacomo II, mentre la Sicilia fu affidata all'infante Federico, in qualità di luogotenente. Il L. instaurò un ottimo rapporto di collaborazione con Federico, che il 13 febbr. 1292 gli concesse il casale Bumfala nel tenimento di Noto, i casali Mangini e Burgio, contigui e situati nella marina della terra di Noto in contrada Respensa, e i beni immobili appartenuti ai ribelli netini Benedetto Barquerio e David Cassarino, situati a Noto e nel suo territorio.
Il 9 sett. 1292 il L. donò in perpetuo inter vivos a Michele Campanerio e agli eredi il censo di due vigneti e mezzo nel territorio di Noto e nel tenimento di Bumfala. Il 1° ott. 1293 da Barcellona Giacomo II confermò al L., "consiliarium, familiarem et fidelem nostrum" e agli eredi in perpetuo i casali e i beni immobili nel Val di Noto largitigli da Federico, per i servizi prestati "erga illustres dominos parentes nostros et nos prompto zelo" (Acta Siculo-Aragonensia, I, 1, p. 206). Inoltre, Giacomo II affidò al L. l'incarico di svolgere in Sicilia un'inchiesta sulle terre demaniali insieme col giudice Pristiano de Caltagirone. Di segno contrario furono invece due mandati emanati da Giacomo II nel 1292: col primo il 28 marzo il re d'Aragona ordinava al L. di restituire al barcellonese Ramón Marquet la metà del casale Xibi e gli altri casali del defunto G. de Gagliano, occupati illecitamente; con il secondo, del 31 luglio, gli intimava di rendere al Marquet i casali "Margolli, Favacocta, Rachadeti, Semelli" (Codice diplomatico…, II, p. 228), le case e tutti i beni nella terra di Siracusa appartenuti al defunto Bartolomeo de Gagliano, usurpati dal L. e dal notaio Vito de Marsala. Ma i provvedimenti in favore del Marquet non sortirono l'effetto sperato e il 17 genn. 1293 Giacomo II dovette reiterare in modo perentorio l'ordine di restituirgli la metà del casale Xibi e gli altri casali un tempo di proprietà del Gagliano, inviando una lettera di uguale tenore all'infante Federico affinché costringesse il L. a eseguire il mandato.
Se tra Giacomo II e il L. iniziarono a emergere crepe e segnali di crisi, quelli con l'infante Federico divennero sempre più intensi e fecondi: il L. fu considerato un fidato e valido collaboratore in grado di portare avanti delicate missioni diplomatiche in linea con la tradizione familiare. Nel gennaio 1295, poco dopo la consacrazione, a Roma, di Bonifacio VIII - divenuto papa in seguito alla rinuncia di Celestino V - l'infante Federico mandò il L. e Ruggero de Geremia dal nuovo papa. I due ambasciatori si congratularono con il neoeletto, gli consegnarono una lettera, gli manifestarono il desiderio di Federico di essere considerato un obbediente figlio della Chiesa, e di rimanere sotto la protezione della Sede apostolica come il fratello Giacomo II; gli chiesero inoltre di rendere nota la sua volontà in merito alla questione siciliana. Bonifacio VIII riservò ai due ambasciatori un'accoglienza affettuosa, ricevendoli "benigne" e raccomandandoli all'infante Federico "de multae discretionis industria et sollicitudinis ac vigilationis studio" (Chronicon Siculum, p. 164). Gli ambasciatori fecero ritorno in Sicilia con molte promesse ma senza concreti risultati, poiché il pontefice affermò che preferiva discutere direttamente con l'infante Federico. La mossa risolutiva fu l'invio in Sicilia del cappellano papale Bernardo de Camerino, che giunse nell'isola nel marzo 1295 e convocò a Roma Federico con un breve papale del 27 febbr. 1295, raccomandandogli di portare con sé, oltre al L. e a Ruggero de Geremia, Giovanni da Procida, Ruggero di Lauria e altri probi viri siciliani. Il L. si recò dunque nuovamente dal papa accompagnando Federico, che a maggio fu calorosamente ricevuto da Bonifacio VIII presso Velletri. Dopo il colloquio con Federico, il papa parlò ai principali consiglieri di costui, affermando che la Sicilia apparteneva alla Chiesa e che Giacomo II gli aveva chiesto di provvedere al buono stato dell'isola. Poco dopo Federico ripartì, lasciando come suoi ambasciatori il L. e Giovanni da Procida, che seguirono il papa ad Anagni, per definire i dettagli dell'accordo. Il trattato concluso tra il papa e gli ambasciatori siciliani prevedeva che Federico rinunziasse al Regno di Sicilia e sposasse Caterina di Courtenay, figlia di Filippo e nipote di Baldovino II, ultimo titolare dell'Impero latino d'Oriente, deposto da Michele VIII Paleologo nel 1261. Inoltre, Bonifacio VIII e gli Angioini promisero a Federico un sussidio di 130.000 onze d'oro in quattro anni per aiutarlo a strappare l'Impero d'Oriente ai Paleologhi. L'8 giugno 1295, mentre si trovava ad Anagni, il L. inviò a Giacomo II un dettagliato resoconto in lingua catalana sulla missione compiuta presso Bonifacio VIII.
Quando Giovanni da Procida e il L. rientrarono in Sicilia e riferirono la proposta all'infante Federico e alla madre Costanza, che si trovavano a Milazzo, costoro l'accettarono di buon grado. Sebbene il trattato fosse stato firmato e giurato, il matrimonio non si celebrò mai, perché Caterina di Courtenay sposò Carlo di Valois e il Parlamento siciliano - contro la volontà di Giacomo II - il 15 genn. 1296 acclamò Federico re di Sicilia. Il L. rimase fedele a Federico III, come peraltro suo fratello Corrado; si consumò così la totale rottura tra la famiglia Lancia e Giacomo II, che il 30 luglio 1294 revocò a Corrado la carica di giustiziere del Regno di Sicilia assegnandola a Ramón Alamany, al quale poi, il 28 ott. 1295, ordinò di revocare al L. la tutela di Perrello de Mohac, figlio minore del defunto cavaliere Pietro e di Rossana de Sumana, affidatagli dal fratello Corrado quando era in carica.
Il L. morì prima del 14 giugno 1311, lasciando almeno un figlio, chiamato Pietruccio in onore di Pietro III d'Aragona.
Alla morte della zia Berengaria de Santa Fede, vedova di Corrado Lancia, Pietruccio, minorenne e sotto la tutela di Corrado Lancia de Castro Maynardo, ereditò il castello e la terra di Caltanissetta e i proventi della terra di Naro, dei quali Berengaria aveva avuto l'usufrutto vita natural durante. Nella recensio feudorum (in Descriptio feudorum sub rege Federico) - erroneamente datata da alcuni storici al 1296, anno dell'incoronazione di Federico III, ma compilata nei suoi ultimi anni di regno - il figlio del L. è chiamato dominus Pietro Lancia ed è ancora in possesso dei proventi della terra di Naro e di Caltanissetta, ereditati dallo zio Corrado, oltre che di Delia e del casale Sabuci, beni che rendevano complessivamente 1000 onze annue. L'errore di datazione della recensio feudorum, chiaramente deducibile dai nomi dei personaggi in essa inclusi, appare ancora una volta palese, poiché nel 1296 Corrado era ancora vivo e in pieno possesso dei proventi di Naro e di Caltanissetta, e il nipote, se era già nato, era ancora piccolissimo, quindi non poteva essere proprietario di quei beni, che avrebbe ereditato alla morte della zia Berengaria, vedova di Corrado, molti anni dopo. Altrettanto errato è confondere il L. con il Manfredi Lancia della recensio che possedeva il casale di Sinagra, posto in Val Demone, tra Ficarra e Raccuja, su una collina nei pressi dell'omonima fiumara, coltivato a orzo e frumento, il cui reddito ammontava a 20 onze annue, dato che il L. morì prima del 14 giugno 1311. Inoltre, in mancanza di documenti probanti, non si può verificare il rapporto di parentela fra i due, né appurare se Manfredi Lancia avesse ereditato il casale di Sinagra dal L., o lo avesse ottenuto direttamente da Federico.
Fonti e Bibl.: N. Speciale, Historia Sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum, qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, I, Panormi 1791, p. 323; Chronicon Siculum, ibid., II, ibid. 1792, pp. 161, 164; Descriptio feudorum sub rege Federico, ibid., p. 469; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, II, Berlin-Leipzig 1908, p. 28; Codice diplomatico dei re aragonesi di Sicilia…, I, a cura di G. La Mantia, Palermo 1917, pp. 558 s.; II, a cura di A. De Stefano - F. Giunta, ibid. 1956, pp. 125 s., 227 s., 229-231; Acta Siculo-Aragonensia, I, 1, Documenti sulla luogotenenza di Federico d'Aragona, a cura di F. Giunta et al., Palermo 1972, pp. 7 s., 203 s., 206; I, 2, Documenti sulla luogotenenza di Federico d'Aragona (1294-1295), a cura di M. Scarlata - L. Sciascia, ibid. 1978, pp. 12, 26, 156-158; II, Corrispondenza tra Federico III di Sicilia e Giacomo II d'Aragona, a cura di F. Giunta - A. Giuffrida, ibid. 1972, p. 121; R. Muntaner, Crónica, a cura di J.F. Vidal-Jové, Barcelona 1973, I, pp. 192, 207; De rebus Regni Siciliae (9 sett. 1282 - 26 ag. 1283). Documenti inediti estratti dall'Archivio della Corona d'Aragona, Palermo 1982, II, p. 611; G.L. Barberi, Il "Magnum capibrevium" dei feudi maggiori, a cura di G. Stalteri Ragusa, Palermo 1993, II, pp. 443, 451; A. Inveges, Annali della felice città di Palermo, III, Palermo nobile, Nobiliario viceregio, Palermo 1651, p. 88; O. Rinaldi, Annales ecclesiastici, XIV, Coloniae Agrippinae 1692, p. 480; [F. Lancia di Brolo], Dei Lancia di Brolo: albero genealogico e biografie, Palermo 1879, pp. 107-109; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia…, VII, Palermo 1931, p. 393; C. Sanllehy y Girona marqués de Caldas, El tratado de Caltabellota, Barcelona 1943, p. 110; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, II, La presenza catalana nel Levante dalle origini a Giacomo II, Palermo 1959, p. 153; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, I, pp. 305, 307, 474, 476; H. Wieruszowski, La corte di Pietro d'Aragona e i precedenti dell'impresa siciliana, in Id., Politics and culture in Medieval Spain and Italy, Roma 1971, pp. 192-195, 201 s., 209; J. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, a cura di A. Canellas López, II, Zaragoza 1977, pp. 159, 469-471; I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro, Bari 1982, p. 31; R. Zaffuto Rovello, Universitas Calatanixette 1086-1516, I, Caltanissetta-Roma 1991, p. 85; V. Amico, Diz. topografico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1855, p. 503; Gran Enciclopedia Catalana, IX, p. 60.