DALESMANINI, Manfredo
Figlio illegittimo di Guecellone di Manfredo, nacque probabilmente a Padova nella seconda metà del sec. XIII, da influente famiglia magnatizia. Appartenne alla generazione con la quale si iniziò il declino delle fortune della sua casa, del resto già percossa da Ezzelino da Romano.
Tra le confuse vicende politiche della Marca Trevigiana nel primo Trecento i Dalesmanini - come rileva il cronista contemporaneo Da Nono - subirono infatti un indebolimento sia nella stirpe, per l'assenza di maschi legittimi e di una certa autorevolezza, sia nella potenza economica, per le divisioni e le alienazioni cui fu sottoposto il loro patrimonio. Il padre del D. era morto non prima del 1296, lasciandolo - sembra - erede principale oltre che dei suo patrimonio anche di un notevole prestigio politico. Altri Dalesmanini, che erano cugini del D., praticarono, tra la fine del Duecento e gli inizi dei Trecento, nella Marca Trevigiana, il prestito usuraio su scala tale da porli accanto ai danteschi Lemici e Scrovegni.
Dalla documentazione a noi nota non risulta che il D. abbia partecipato a tale attività finanziaria, anche se la possibilità che egli abbia ricorso a prestanomi per svolgerlà non ci consente di respingere con sicurezza una simile eventualità. Il patrimonio del D. era costituito da proprietà urbane e da possessi fondiari siti intomo a San Bruson, vicino alla laguna veneziana. Anche volendo prescindere dall'iperbolica descrizione che ne fa il Da Nono - tutto il quartiere urbano di Ponte Altinate e possessi ininterrotti fino alla laguna -, le fonti coeve testimoniano la consistenza originaria delle proprietà dei Dalesinanini e, tra la fine dei sec. XIII e gli inizi del secolo successivo, la loro graduale erosione: dalla demolizione, avvenuta nel 1287, del palazzo merlato di Guecellone che dominava le mura di Padova, alla alienazione, compiuta nel 1300, dell'Arena, l'antico anfiteatro romano, venduta per lire 4.000 ad Enrico Scrovegni (lì sarebbe più tardi sorta la cappella che Giotto avrebbe reso famosa con i suoi affreschi). Al D. restavano comunque, in città, proprietà nella contrada di San Bartolomeo. Quanto ai suoi possedimenti extraurbani, essi si intrecciavano con quelli del monastero veneziano di S. Gregorio ed erano motivo perenne di liti. A Venezia, nel marzo del 1305, il D. fu confermato nel suo livello dall'abate di quel cenobio, presente Enrico Scrovegni. Sebbene le fonti attestino alienazioni forse posteriori a questa data - lettere diplomatiche del 1307 ricordano molini da grano e da follatura ceduti a due patrizi veneziani -, il D. lasciò in ogni caso ai propri eredi beni cospicui.
Nonostante l'avarizia con cui ci parlano di lui gli scarsi documenti pubblici padovani dell'epoca sino a noi pervenuti, possiamo affermare che il ruolo politico svolto dal D. dovette essere comunque importante. Nel primo semestre del 1310 resse la podesteria di Vicenza (forse in questa occasione fu creato cavaliere, titolo che era tra i requisiti per l'incarico). A parte notizie di minore rilievo riguardanti la sua attività a Vicenza, il momento saliente della sua podesteria coincise con la sentenza che egli pronunziò nel marzo, concludendo un'annosa questione tra il Comune ed il vescovo: questa sentenza venne ritenuta di tale rilievo, da essere incisa su una lapide, che venne poi murata nella torre del palazzo del Comune, dove si trova tuttora. Nell'iscrizione egli viene definito "origine clarus, mente senex, iuvenis corpore". La vertenza riguardava boschi intorno alla città, ma era anche l'espressione di tensioni giurisdizionali più ampie, sicché la sede giudiziaria - il Comune di Padova - era importante quanto la sentenza favorevole alla città. Non risultano nessi palesi, nell'espisodio della podesteria vicentina, tra ruolo pubblico del D. ed interesse privato, sebbene la famiglia cui egli apparteneva sia spesso detta vicentina. I Dalesmanini non furono infatti signori di Angarano nella prima metà del Duecento, come invece si dice nella letteratura; che essi possedessero una casa in Vicenza è documentato solo per il primo Duecento, mentre nella seconda metà di quello stesso secolo sembrano venir meno - passando in parte agli Scrovegni - i loro interessi terrieri nelle zone ad ovest di Padova. L'attività finanziaria svolta dai suoi cugini - è del 1308 un prestito di lire 30.000 da loro fatto al Comune di Vicenza - e il complesso di interessi politici ed economici fra cui si muoveva il D. non ci consentono tuttavia di escludere l'ipotesi di una doppia funzione della magistratura da lui esercitata a Vicenza.
Il D. deve in ogni caso venir considerato, per i suoi legami di parentela e di patrimonio, uno dei protagonisti sia pure minori della vita pubblica non solo della Marca Trevigiana, ma anche di quella veneziana del primo Trecento. Oltre ai rapporti con gli Scrovegni, egli era infatti imparentato con i da Carrara e i Badoer da Peraga, patrizi veneziani eredi di un vecchio ceppo padovano ed importanti sostenitori dell'emergente signoria carrarese: suo padre aveva sposato Anna di Bonifacio da Carrara, la cui sorella Sofia aveva sposato Marino di Marco Badoer. Considerando le affinità ed i rapporti esistenti anche tra gli Scrovegni ed i Carraresi e derivanti sia da unioni matrimoniali, sia da attività di prestito, il D. appare legato e come subordinato ad un giuoco di interessi assai vasti, ramificati e potenti. La complessità di tali connessioni è bene messa in luce dalla sollecitudine con cui il D. reagì, contemporaneamente a Marsilio ed a Bonifacio da Carrara-Papafava, alla notizia del complotto Querini-Tiepolo-Badoer, ordito a Venezia nel giugno del 1310: come loro, egli si affrettò infatti a far pervenire espressioni di simpatia e di solidarietà al governo legittimo, che gli rispose grato. Ciò conferma quanto già noto sull'importanza che avevano anche nella vita pubblica della città lagunare le partes della Marca.
Il D. morì, sembra, nel settembre del 1311. Con la sua morte si accelerò il declino della famiglia, la cui guida politica passò a Giacomo detto Traverso. altro bastardo di Guecellone di Manfredo, che in seguito alle lotte tra le fazioni padovane sarebbe poi stato condannato all'esilio, perché ghibellino.
Il D. aveva lasciato due figlie, ancora nubili quand'egli era morto: Dalesmanina e Tommasina, che ereditarono tutti i suoi beni e che furono perciò oggetto di attenzioni soprattutto da parte dei Badoer, i quali avevano proprietà terriere nella stessa zona di quelle dei Dalesmanini. Dalesmanina sposo Gerardo, il primogenito di Rambaldo (VIII) conte di Collalto, il quasi signore di Treviso, anch'egli prestatore; Tommasina, Guecellone da Monfumo - forse un cugino, forse un nobile trevigiano -, dal quale ebbe alcuni figli (resta incerta, ma non è affatto improbabile, l'ipotesi di una sua precedente unione con un Badoer). La vedova del D., Egidia, si risposò con un patrizio veneziano, Zanino di Marco Contarini, da SS. Apostoli. Verso la fine del quarto decennio del secolo accolse a Venezia Dalesmanina, la quale affidò ai procuratori di S. Marco la successione per i suoi restanti diritti fondiari, in parte contesi dai Collalto, e l'esecuzione di clausole fin allora mai rispettate del testamento paterno.
Fonti e Bibl.: Padova, Bibl. del Seminario, ms. n. 11: G. Da Nono, De generatione ... ; Ibid., ms. n. 581: G. Brunacci, Codice dipl. padovano, III, p. 1863; Arch. di Stato di Venezia, Collegio, Lettere di Collegio (1308-10); Ibid., Proc. di S. Marco, de ultra, b. 108; Ibid., S. Gregorio, bb. 6, 7, 8; Vicenza, Bibl. civica, Arch. Torre, bb. 33, 34, 35, 42; Ibid., ms. Gonz. 7.8.15: G. Maccà, Codice dipl. vicentino, sub anno 1310; B. Pagliarino, Croniche di Vicenza, Vicenza 1663, pp. 54, 8 1, 149, 158; ILibricommemoriali della Repubblica di Venezia..., a cura di R. Predelli, I, Venezia 1876, pp. 73, 108; F. Lampertico, Scritti stor. e letterarii, II, Firenze 1883, p. 371; Statuti del Comune diVicenza..., a cura di F. Lampertico, Venezia 1886, pp. 3 s., 169; Lettere di Collegio..., a cura di G. Giomo, Venezia 1910, p. 354, 374; Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, in RerumItalic. Script., 2 ed., VIII, 3, a cura di L. Botteghi, p. 8; Nicolai Smeregli Vincentini Annales civitatis Vicentiae..., ibid., VIII, 5, a cura di G. Soranzo, p. 19; Consiglio dei Dieci. Deliberazioni... I-II, a cura di F. Zago, Venezia 1962, p. 21; Ss. Ilario e Benedetto e s. Gregorio, a cura di F. Lanfranchi e B. Strina, Venezia 1965, ad Indicem; G. Fabris, Cronache e cronisti padovani, Padova 1977, pp. 99, 132, 143, 233, 246; P. Ceoldo, Albero della fam. Papafava..., Venezia 1801, pp. 40-43; G. Gennari, Annali della città di Padova, III, Bassano 1804, pp. 89, 128 ; V. Bortolaso, Iprestatori di denaro padovani..., estr. da Atti della R. Accad... diPadova, XXVIII (1912), p. 7; A. Tolomei, Scritti vari, Padova 1919, pp. 42, 53 ss.; G. Mantese, Un processo a Roma..., in Riv. di st. della Chiesa in Italia, III (1949), p. 253; J. K. Hyde, Paduainthe age of Dante, Manchester 1966, pp. 71, 85 ss.; 185 ss.; 244, 258.