LANDI, Manfredo
Nacque da Manfredo e da Elisabetta Bossi di Milano; fu detto anche Manfredo Postumo perché alla sua nascita il padre, che risulta vivente in un documento dell'8 ag. 1429 e defunto in un documento dell'8 ottobre seguente, era già morto. Crebbe sotto la tutela della madre, che subito dopo la morte del marito fu costretta a dare in custodia le rocche di Bardi e di Compiano ad armigeri fedeli al duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Questi incamerò il feudo landese di Compiano, ritenuto di pertinenza della Camera ducale, e lo conservò fino al 1438, quando lo cedette a Niccolò Piccinino. Elisabetta si impegnò nella faticosa opera di conservazione del patrimonio familiare, che tentò di difendere da ogni usurpazione. Testimonianza di tale contesto di persistenti difficoltà familiari è un precoce testamento del L., redatto l'11 nov. 1446, in favore della madre e della nonna Margherita Malaspina.
Nel 1447 il L. appare ancora impegnato a ricostituire il complesso dei diritti e dei possedimenti già confermati al padre da Filippo Maria Visconti; in particolare gli sforzi del L. si concentrarono subito nel recupero del feudo avito compianese. Venuto meno il controllo milanese con la morte di Filippo Maria Visconti (13 ag. 1447) e con la nascita della Repubblica ambrosiana, già il 22 agosto Giovanni Granello si impadronì di Compiano con il favore della Repubblica di Genova; ma nel settembre il L. a sua volta recuperò il castello a seguito di un tradimento. Lo scontro tra Granello e il L. si situava all'interno del conflitto tra Genova e Milano: la prima prese di nuovo Compiano prima del 18 ott. 1447, ma il L. riuscì ad avere la meglio inserendo le proprie aspettative personali nel più ampio scacchiere politico dell'Italia settentrionale e optando per l'appoggio a Francesco Sforza: l'inizio della presenza del L. nella vita pubblica fu contestuale al faticoso processo con cui Francesco Sforza cercò di impadronirsi dei territori che avevano già composto lo Stato visconteo e di ripristinare per sé il titolo di duca di Milano. A questo fine lo Sforza, oltre che all'uso della forza, faceva ricorso alla fine tessitura di una rete di rapporti con città e feudatari. Così Piacenza, dopo un breve intermezzo di governo veneziano, divenne il punto di partenza del progetto signorile dello Sforza, diretto a prendere Milano; in particolare gli atti con cui i magistrati della Repubblica ambrosiana pretesero che i nobili piacentini restituissero a Giacomo e Francesco Piccinino i castelli a loro sottratti costituirono un punto di svolta: lo stesso L. fu colpito da bando il 26 giugno 1448 per il suo rifiuto di sottostare a un simile ordine per i castelli di Compiano, Bardi e Rivalta, e così l'accorta diplomazia sforzesca poté attirare al meglio il consenso dei maggiorenti piacentini. Proprio mentre la città si trovava stretta tra gli sforzeschi schierati a Pavia e Giacomo Piccinino, stanziato a Fiorenzuola, il L. - esplicitamente citato come il princeps della sua casa - fu tra coloro che più contribuirono a far pendere la bilancia a favore della dedizione di Piacenza a Francesco Sforza.
La chiave dell'obbedienza piacentina allo Sforza, che entrò in città il 27 ott. 1448, fu nell'iniziale condiscendenza del nuovo signore alle richieste di riduzione del prelievo fiscale, nella disponibilità alla conservazione dei possedimenti degli aristocratici piacentini e alla loro integrazione nel costituendo sistema di potere sforzesco, non senza ambiguità e reticenze. Non per caso già il 22 novembre successivo il L. sottoponeva allo Sforza una serie di capitoli per legittimare il recupero del possesso dei beni di Bardi, Compiano, Rivalta e Rivergaro, a suo tempo passati sotto il controllo di Niccolò Piccinino e che il L. stava proprio allora riconquistando e ampliando con la forza. A questi capitoli furono fornite risposte interlocutorie; nello stesso tempo anche la Comunità di Piacenza iniziava a rivolgersi al governo sforzesco per riottenere la facoltà di imporre la fiscalità urbana su centri rurali del Piacentino i cui signori consideravano invece esenti e privilegiati: anche il L., individuato dal Comune piacentino come possessore di Compiano e di Rivalta in situazione di privilegio, fu annoverato tra questi "usurpatori" insieme con i Piccinino, i Dal Verme, gli Anguissola e gli Scotti. La rottura di ogni intesa temporanea tra Francesco Sforza e i Piccinino e la sconfitta di questi ultimi, nel 1449, consentirono comunque allo Sforza di esaudire le pretese della nobiltà piacentina, schieratasi compattamente con lui, avvalendosi del cospicuo bottino così ricavato; e infatti anche il L. fu tra i numerosi milites investiti di titoli cavallereschi e feudali in occasione dell'innalzamento di Francesco al titolo ducale milanese nel marzo del 1450; a completa sanzione di questa fedeltà, il 20 maggio 1452 il signore di Milano confermò al L. tutti i diritti e privilegi della famiglia Landi dai tempi dell'avo Ubertino e, il 23 dic. 1454, restituì i beni concessi a Niccolò Piccinino nel 1429 alla morte del padre del Landi.
In seguito la vita del L. si sviluppò nella continuità della politica di gestione del patrimonio familiare e di fedeltà agli Sforza: se ancora nel 1459 verteva con il Comune di Piacenza la questione dell'esenzione fiscale dei feudi landesi, nel gennaio del 1462 furono proprio uomini del L. a prelevare il capitano sforzesco di Rivergaro, dove era sorta una rivolta contadina, e a portarlo in salvo a Rivalta; nel 1466, approfittando della massiccia alienazione di entrate fiscali decisa dall'amministrazione sforzesca per impellenti necessità di cassa, il L. cercò di acquisire numerosi dazi in località oggetto di controversie con gli Scotti (San Nazzaro e Zoanengo) e con gli Anguissola (Rivergaro). In particolare verso il 1480 il L. fece iniziare la costruzione del raffinato palazzo Landi di Piacenza, affidato a un architetto di rilievo come il lodigiano Giovanni Battaggio, decorato dal genero di questo, Agostino Fonduli e con il portale di Giovanni Pietro da Rho. Il L., sempre più frequentemente residente a Milano e vicinissimo anche ai successori di Francesco Sforza, Galeazzo Maria e Gian Galeazzo, vide sancita questa contiguità con l'accesso alle più alte cariche pubbliche: il 2 genn. 1481 fu chiamato a far parte del Consiglio segreto, il più alto organo con attribuzioni di tribunale civile e criminale, ma anche di organo politico su delega del signore, e il 16 dic. 1487 ricevette la cittadinanza milanese. Il L. morì il 16 maggio 1488 nel castello di Rivalta.
Il L. ebbe due mogli: Margherita Anguissola - sposata nel 1447, morì nel 1467 - e Antonia Maria Fieschi, sposata il 20 maggio 1468; un matrimonio, questo, che doveva almeno temporaneamente sopire le controversie con Genova: il L. ricevette in dote Varese Ligure che, dopo la morte della moglie Margherita, fu ripreso con la forza da Gian Luigi Fieschi nel marzo 1478. Dalla prima moglie il L. ebbe almeno nove figli, tra cui cinque maschi, e tra essi i capostipiti dei principali rami in cui si dividerà la famiglia: Federico, erede diretto e primo dei Landi di Bardi; Corrado, primo dei Landi di Rivalta; Pompeo, primo dei Landi delle Caselle di Compiano; Alessandro (morto in giovane età); Giulio; le quattro figlie furono: Caterina, andata sposa a Orlando Pallavicini; Cornelia; Giulia, andata sposa a Giovanni Antonio Maini; Giovanna.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Registri ducali, 116, c. 208; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 2, p. 254; Fondo Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj. Carteggio, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1974, ad ind.; Fondo Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj. Regesti delle pergamene. 865-1625, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1984, ad ind.; G.A. Mariani, Dichiaratione dell'arbore e discendenza di casa Landi, Milano 1603; C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, Piacenza 1757-66, VII, pp. 124, 283, 287, 290, 303; G. Granello di Casaleto, Il castello di Compiano e un episodio inedito di storia genovese, Genova 1912, pp. 39-71; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Milano 1947, p. 19; P. Castignoli, La dedizione di Piacenza a Francesco Sforza (27 ott. 1448), in Boll. stor. piacentino, LVII (1962), pp. 135-152; G. Alpi - E. Rulli, Storia di Compiano in Valtaro, Milano 1978, pp. 23-25; D. Andreozzi, Il periodo sforzesco (1448-1499), in Storia di Piacenza, III, Dalla signoria viscontea al principato farnesiano (1313-1545), Piacenza 1997, pp. 137 s., 140-142, 148 s., 156 s.