MANGBETU
. Detti anche, dai vecchi viaggiatori, Monbuttu (G. Schweinfurth) o Mambettu (G. Casati): in origine un clan di conquistatori negri dell'Africa centrale, probabilmente parte della tribù Makere, che fondò uno stato nella zona centrale del bacino dell'Uelle, diffondendo la propria lingua anche su molte delle tribù sottomesse. Al tempo dei viaggi di G. Miani e di G. Schweinfurth il dominio aveva raggiunto, sotto il reggimento di re Munza, la sua massima estensione. Tribù affini ai Mangbetu propriamente detti si estendono poi su varî territorî fra l'Uelle e l'Aruwimi e anche a sud di questo fiume: Makere, Malele, Popoi, Marumbi e Mabisanga (circa mezzo milione d'individui).
La cultura di tali tribù è quella tipica della regione forestale centroafricana: grande sviluppo dell'agricoltura, della metallurgia (ferro e rame), della ceramica e della scultura in legno; capanna a pianta quadrangolare con tetto a spioventi; vesti di corteccia d'albero battuta; antropofagia comune e diffusa; società segrete con riti iniziatici e uso di maschere e di mutilazioni somatiche (avulsione degl'incisivi, cicatrici ornamentali, deformazione cilindroide del cranio). Il clan Mangbetu ha imposto l'esogamia e la discendenza paterna: ma la posizione indipendente della donna e la sua grande libertà sessuale attestano di una probabile anteriore prevalenza della famiglia matriarcale. Le tribù erano governate da re dispotici, venerati come dei: ora tutte le gerarchie indigene si sono inserite nelle file dell'amministrazione coloniale belga.
Bibl.: G. Schweinfurth, Im Herzen von Afrika, Lipsia 1874; G. Casati, Dieci anni in Equatoria e ritorno con Emin Pascià, Milano 1891; C. van Overbergh e E. de Jonghe, Les Mangbetu, Bruxelles 1909; J. Czekanowski, Forschungen im Nil-Kongo-Zwischengebiet, II, Lipsia 1924.