manicare [con le forme rizotoniche in ù; manucar, nel Fiore, indic. pres. III plur.; manducare]
‛ Manicare ' è voce popolare toscana, che si registra una sola volta per " mangiare " (v.).
In VE I XIII 2 D. pone questo verbo fra i termini tipicamente municipali della parlata fiorentina (Locuntur Florentini et dicunt: Manichiamo introque che noi non facciamo altro), che, come tali, non dovrebbero essere assolutamente usati da chi ricerca il volgare ‛ illustre '; sicché alcuni interpreti, ad esempio il Porena, hanno trovato strano che D. l'abbia introdotto, e non in rima, in If XXXIII 60 voglia / di manicar. Ma la Commedia esorbita, nel suo linguaggio, dai limiti del volgare illustre (tragico) teorizzato nel De vulg. Eloquentia.
In senso proprio, ma in contesto metaforico, e con il ‛ si ' passivante, in Cv I I 7 quella mensa dove lo pane de li angeli [il sapere] si manuca. Ha valore proprio anche in Fiore CIII 12, dove però l'espressione tutti que' ch'oggi manucar pane indica " gli uomini " in generale. Si tratta invece di un ‛ mangiare ' metaforico, per " consumare ", detto delle limosine che si fanno a' vecchi... san possanza: colui che le manuca in lor gravanza [" in loro danno "] / elle gli fieno ancora ben comprate (CXI 12).
La forma latineggiante si registra solo due volte, in rima, sia in senso proprio (ancora il ‛ si ' passivante: If XXXII 127 come 'l pan per fame si manduca), sia in contesto figurato: Rime CIII 32 la morte, che ogni senso / co li denti d'Amor già mi manduca, cioè " mi consuma ".