MANIERA e MANIERISMO
. Arte. - Il termine "maniera" indicò lungamente il ricorrere di elementi tipici nelle opere d'arte d'uno stesso maestro o scuola: in questo senso, si aggiungevano al termine qualificazioni ora determinate storicamente (maniera antica, vecchia, moderna, francese, tedesca, ecc.), ora rettoricamente (maniera gretta, secca, svelta, forte, ecc.). Il Vasari, riprendendo l'ideale raffaellesco e in accordo con la cultura neo-platonica fiorentina, definisce la "maniera" come idealizzamento della natura, cioè come "il ritrarre le cose più belle e di quel più bello o mani o teste o corpi o gambe aggiungerle insieme e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva"; per il Vasari la "maniera" s'identifica dunque con il concetto classico dell'arte. Nel Bellori il concetto classico del Vasari perde ogni riferimento naturalistico e diventa "fantastica idea appoggiata alla pratica e non all'imitazione": donde il concetto negativo della "maniera", come "far di pratica", cioè come volgare esercizio manuale: concetto ripreso dal Baldinucci, cui spetta la classificazione rettorica delle "maniere". Il passaggio dalla valutazione positiva a quella negativa della "maniera" è facilmente spiegabile, poiché la "maniera" come "modo di fare" si identifica, nelle grandi personalità artistiche, con lo stile, cioè con l'arte loro; mentre è resa pratico e tecnicistico imparaticcio negli imitatori. Sebbene "maniera" e "manierismo" siano, com'è ovvio, di ogni tempo, col termine "manierismo" s'indicano gli orientamenti dell'arte nella seconda metà del sec. XVI: cioè le correnti pittoriche che continuano in corsivi "manierismi" la grande arte di Raffaello e Michelangelo: come, ad es., Daniele da Volterra, il Salviati, il Vasari, gli Zuccari, ecc. Ma accanto a questi più superficiali divulgatori della tradizione pittorica romana, e con essi confuso fino a pochi anni or sono, la critica recente ha isolato un gruppo di artisti, nei quali l'elaborazione dei motivi classici è più tormentata e profonda, fino a concludersi in netta antitesi con le premesse classicheggianti e ad accogliere elementi stilistici stranieri, specialmente fiamminghi e tedeschi. Appartengono a questo gruppo (che muove dal contrasto di monumentalità raffaellesca e leonardesca intimità nell'arte di fra Bartolomeo e Andrea del Sarto) il Pontormo, il Bronzino, il Rosso e altri minori. A Siena il manierismo è rappresentato dal Beccafumi, a Urbino dal Baroccio, a Parma dal Parmigianino, il cui linearismo, per la fluidità derivatagli dalle influenze pittoriche correggesche, più di ogni altra tradizione disegnativa poté agire sull'arte, intensamente pittorica, veneziana. Il carattere di riflessione critica, più o meno profondamente implicito nel manierismo, è dimostrato dal contemporaneo fiorire dei trattati e delle storie (basti ricordare il Vasari, il Borghini, il Danti, il Doni; per l'architettura, il Serlio, il Vignola, il Palladio, lo Scamozzi), come pure dal sorgere delle accademie, tra cui l'Accademia del disegno a Firenze e quella vitruviana a Roma.
Bibl.: F. Goldschmidt, Pontormo, Rosso und Bronzino, Lipsia 1911; W. Weisbach, Der Manierismus, in Zeitschr. f. bild. Kunst, XXX (1919), pp. 161-83; H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlino 1920; M. Dvořák, Kunstgeschichte als Geistesgeschichte, Monaco 1924; W. Friedländer, Die Entstehung d. antiklassischen Stiles i. d. ital. Malerei um 1520, in Rep. f. Kunstwiss., XLVI (1925), pp. 49-86; N. Pevsner, Gegenreformation und Manierismus, XLVI (1925), pp. 243-62; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, i-vii, Milano 1925-34.