Maniere
Il termine italiano 'maniere' ha dei corrispettivi in tutte le altre principali lingue europee: manners in inglese, moeurs in francese, Sitten in tedesco. Sebbene siano usati con diverse sfumature nelle varie lingue e all'interno di una stessa lingua, questi termini presentano una certa 'somiglianza di famiglia'. A un primo livello semantico essi si riferiscono alle forme esteriori che definiscono il comportamento socialmente accettabile in una cerchia sociale: il modo in cui vanno tenuti coltello e forchetta a tavola, l'obbligo per il gentiluomo di tener la porta aperta alle signore, le formule di cortesia con cui ci si rivolge alle persone, ecc. A un livello meno superficiale il concetto connota spesso standard di condotta, di sensibilità e di moralità profondamente radicati.
A partire dal Medioevo una serie di autori sia laici che religiosi scrissero dei trattati che indicavano quali fossero le maniere adeguate per le élites sociali dell'epoca - in particolare per i membri della nobiltà e dell'aristocrazia di corte, allora in espansione, cui un numero crescente di persone aspirava ad appartenere. Tra gli autori dei trattati di buone maniere figuravano alcuni personaggi illustri dell'epoca. Uno dei primi testi tedeschi, il componimento in versi Hofzucht ('etichetta di corte') del XIII secolo, è attribuito a Tannhäuser, oggi meglio noto come eroe dell'omonima opera wagneriana, ma che in vita fu uno dei più celebrati Minnesänger (poeti lirici cavallereschi). In Inghilterra il cortigiano del XV secolo John Russel scrisse un Book of nurture ('libro della creanza') che doveva fungere da guida a un giovane nobile al servizio di un grande signore, e William Caxton pubblicò un Book of courtesye. Particolarmente influenti nel XVI secolo furono due classici italiani, Il Cortegiano (1528) di Baldassarre Castiglione e il Galateo (1558) di Giovanni Della Casa. Ma il più famoso degli autori che si occuparono di questi argomenti fu Erasmo da Rotterdam, che nel 1526 pubblicò il De civilitate morum puerilium; il testo venne tradotto in varie lingue e fu ampiamente imitato. Già il titolo dell'opera è significativo, in quanto segna il trapasso dalla vecchia nozione di courtoisie a quella di civilité. Nei secoli successivi i testi sull'argomento furono ancora più numerosi, ma i loro autori nel complesso meno illustri. Possiamo citare tra questi il Nouveau traité de civilité (1672) di Antoine de Courtin, e Les règles de la bienséance et de la civilité chrétienne (1729) di La Salle. Dal termine 'civiltà', usato dai cortigiani per descrivere le proprie maniere, derivò il vocabolo 'civilizzazione', che alla fine del XVIII secolo sarà impiegato dai filosofi in una accezione più generale (v. Febvre, 1930). Nel XIX secolo il termine 'civilizzazione' venne adoperato dagli occidentali per sottolineare la propria superiorità, data per scontata, in un primo tempo rispetto ai ceti inferiori della società, e in seguito rispetto agli indigeni dei paesi colonizzati. Sussiste quindi un importante legame tra la tradizione dei trattati europei di buone maniere e l'egemonia politica e ideologica che l'Europa acquisì nel mondo nel XIX secolo. Nel frattempo, tale tradizione era proseguita nella forma dei 'manuali di etichetta' che continuarono a essere pubblicati in molti paesi. Alcuni di questi manuali, come quelli famosi di Emily Post (v., 1922), hanno avuto molte edizioni, e ciò che via via viene tralasciato nelle edizioni successive, in quanto ormai non ha più bisogno di essere esplicitato, è spesso più significativo di ciò che viene detto.
I manuali di buone maniere hanno attratto l'attenzione di alcuni storici, come ad esempio Alfred Franklin (v., 1887-1902) e Arthur Schlesinger senior (v., 1947). Tuttavia la prima, più importante intuizione del significato sociologico delle maniere si ritrova negli scritti di Alexis de Tocqueville. Nella Démocratie en Amérique (v. Tocqueville, 1835-1840) egli si propose di mostrare gli effetti dell'eguaglianza sulla società civile, sulla cultura e sulle maniere nel mondo americano. "Userò il termine moeurs - scrive Tocqueville - nel significato che la parola mores aveva nell'antichità; lo riferirò non solo alle maniere in senso stretto, ma anche alle varie nozioni e opinioni comuni tra gli uomini, e all'insieme di idee che formano la loro mentalità". Ciò non significa che Tocqueville non si interessasse delle maniere in senso stretto. Al contrario, egli si rivela un osservatore assai acuto del comportamento quotidiano, ma a differenza di certi sociologi moderni - quali ad esempio Erving Goffman e Harold Garfinkel, o gli esponenti dell'etnometodologia - non si accontenta di descrivere il comportamento sociale o di darne una spiegazione astorica. Tocqueville era interessato al modo in cui le più ampie tendenze storiche e sociali hanno determinato lo sviluppo delle attuali forme di comportamento quotidiano: così egli si chiede perché, quando la società diventa più eguale, l'atteggiamento nei confronti delle sofferenze dei propri simili si faccia più compassionevole; perché le interazioni sociali diventino meno rigide e formali; perché ciononostante aumenti la ricerca di odiose distinzioni di status; quali effetti abbia l'eguaglianza sui rapporti sociali tra servi e padroni, tra i sessi e all'interno dell'esercito. L'accezione ampia in cui Tocqueville usa il termine moeurs è abbastanza vicina al significato in cui sociologi contemporanei quali Pierre Bourdieu e Norbert Elias impiegano il termine 'habitus'; questo viene definito succintamente da Elias come 'seconda natura': si tratta di tutti quegli elementi del comportamento e del sentimento che vengono appresi a partire dall'infanzia, ma che vengono assorbiti così profondamente da apparire innati, intrinseci. Essi appaiono tanto naturali che riesce difficile concepire di comportarsi o di sentire in qualsiasi altro modo. E tuttavia generazioni successive di bambini non sono state socializzate sulla base dello stesso corpus statico e immutabile di 'norme e valori'; gli standard sociali del comportamento e della sensibilità cambiano nel corso del tempo. Il fatto che essi cambino in modo strutturato e non casuale rappresenta una delle intuizioni centrali dello studio sociologico sulle maniere più significativo e approfondito sul piano teorico, quello di Norbert Elias (v., 1939).
Nel ricostruire i mutamenti intercorsi nelle maniere a partire dal Medioevo, Elias si basa su testimonianze desunte da diverse fonti: opere letterarie, dipinti e disegni, documenti storici che descrivono il modo in cui gli individui si comportavano effettivamente, ma soprattutto i 'trattati di buone maniere' scritti in Germania, in Francia, in Inghilterra e in Italia dal XIII al XIX secolo. Tali testi trattano problemi relativi al 'decoro esteriore del corpo'. In essi viene detto ai lettori come maneggiare il cibo e come comportarsi a tavola; in che modo e in quali circostanze sia lecito oppure sconveniente emettere flatulenze, ruttare e sputare; come soffiarsi il naso; in che modo comportarsi quando per strada si incontra qualcuno sorpreso nell'atto di urinare o defecare; quale atteggiamento tenere allorché si condivide la stanza da letto, o il letto stesso, con estranei in una locanda, e così via. Nel passato tali argomenti - la cui menzione oggi causa imbarazzo o perlomeno la maliziosa sensazione di infrangere un tabù - erano trattati in modo franco e aperto, senza alcuna vergogna. In seguito gradualmente, a partire dal Rinascimento, comincia a emergere una tendenza di lungo periodo verso un maggior controllo emotivo e verso codici di comportamento più differenziati, e si ha un innalzamento della soglia della vergogna e dell'imbarazzo.I mutamenti che intercorrono in vari aspetti del comportamento - le maniere a tavola, il comportamento in camera da letto, l'espletamento delle 'funzioni naturali', atti quali soffiarsi il naso, sputare, ecc. - mostrano tendenze comuni.
Le maniere a tavola. Rispetto a epoche successive, nel Medioevo le proibizioni relative al comportamento da tenere a tavola sono relativamente poche. Viene raccomandato di non sorbire rumorosamente la minestra dal cucchiaio e di non schioccare le labbra. Il cibo, attinto da un vassoio comune e posto su una fetta di pane, viene mangiato con le mani; tuttavia è cattiva creanza rimettere nel vassoio comune un pezzo di cibo già masticato (se non lo si può inghiottire, meglio gettarlo per terra), oppure offrire a un amico un boccone prelibato togliendoselo dalla bocca. È sconveniente soffiarsi il naso con la tovaglia (che serve per pulirsi le dita unte), o con la mano che si adopera per prendere il cibo dal vassoio comune (per soffiarsi il naso va usata l'altra mano). Le posate di solito si limitano a un cucchiaio comune col quale si attinge dalla zuppiera. Oltre a questo, si adopera il proprio pugnale o stiletto di uso universale. All'epoca di Caxton, tuttavia, vi sono alcuni divieti relativi all'uso del coltello: non lo si deve porgere dalla parte della lama, né lo si deve puntare al volto delle persone.
Nel XVI secolo compare la forchetta, che dapprima viene usata solo per prendere le pietanze dal vassoio comune; cominciano a essere adoperati anche i tovaglioli, che sono però una raffinatezza facoltativa. Verso il 1560 è più comune che ogni commensale abbia il proprio cucchiaio. Alla fine del XVII secolo la minestra non viene più attinta direttamente dalla zuppiera comune, ma si adopera il cucchiaio per prenderne una porzione da mettere nel proprio piatto. Ora però, dice Courtin, vi sono gens si délicats che non vogliono servirsi dalla zuppiera dalla quale un altro commensale ha attinto una seconda porzione utilizzando il cucchiaio che ha già messo in bocca; in questi casi si dovrebbe perlomeno pulire la posata col tovagliolo oppure, meglio ancora, richiedere un altro cucchiaio per questo scopo. Solo poco prima della Rivoluzione tra la nobiltà di corte francese le maniere a tavola diventano per certi aspetti simili a quelle che caratterizzano i ricevimenti formali moderni, con una pletora di coltelli, forchette e cucchiai per ogni portata; ci vorrà ancora un altro secolo perché ciò diventi lo standard più o meno generale di tutta la società (v. Mennel, 1985).
Le 'funzioni naturali'. Per quanto riguarda la minzione e la defecazione, i testi medievali non dicono molto. "Prima di sedervi, accertatevi che il vostro sedile non sia stato lordato", è un significativo precetto. Tale reticenza non deriva dalla vergogna o dall'imbarazzo nei confronti di tali argomenti; da molte fonti risulta evidente che le funzioni naturali venivano espletate e menzionate liberamente in pubblico, in modo analogo a quanto accade oggi in Africa o nei paesi orientali. Erasmo parla ancora apertamente di queste funzioni, e 'chiama le cose col loro nome', sebbene avverta che non sta bene rivolgere la parola a una persona sorpresa nell'atto di defecare o urinare. Anche nelle cerchie più raffinate si continuava a essere meno che scrupolosi nell'espletare tali funzioni solo in luoghi separati adibiti specificamente a tale scopo. Dapprima le funzioni fisiche - e la loro vista - sono "azioni altrettanto naturali quanto quella di pettinarsi i capelli" (v. Elias, 1939; tr. it., vol. I, p. 266), ma a poco a poco a esse si associano sentimenti di vergogna e ripugnanza, sinché alla fine saranno espletate solo nella più rigorosa privacy e non se ne potrà nemmeno parlare senza provare un grave imbarazzo.
Soffiarsi il naso. Nel Medioevo ci si soffiava il naso con le dita. Erasmo prescrive che il muco caduto per terra debba essere immediatamente pulito col piede. I fazzoletti erano un genere di lusso, non di uso comune. Soffiarsi il naso con un lembo del proprio vestito era già considerato 'rozzo', ma a quanto sembra si trattava di un comportamento piuttosto diffuso. Verso la fine del XVII secolo i membri delle classi superiori avevano ampi assortimenti di fazzoletti, e il loro uso era obbligatorio. I testi del XVIII secolo insegnavano in quali modi fosse buona educazione adoperarli; osservare il contenuto del fazzoletto e mettersi le dita nel naso era considerato ripugnante.
Sputare. Nel Medioevo sputare con frequenza non era solo un'usanza diffusa, ma a quanto pare un bisogno fortemente sentito. Si sputava liberamente per terra, ma preferibilmente non sulla tavola e neppure nel catino comune. Nel XVI secolo si prescriveva di pulire lo sputo col piede, perlomeno se conteneva del catarro. Gradualmente si impose l'uso del fazzoletto per sputare, dapprima nelle case nobiliari, poi in altri luoghi di cui si curava la pulizia, come le chiese, e infine dappertutto. Nel XIX secolo sputare era considerato in ogni circostanza un'abitudine disgustosa, sebbene la sputacchiera continuasse a essere un oggetto d'arredamento comune in molti posti. Infine la sputacchiera scomparve, e con essa a quanto pare la necessità di sputare, dapprima tra le classi sociali superiori e in seguito più in generale. Lo sputare rappresenta un caso interessante: considerato un tempo una necessità fisiologica come ad esempio urinare, defecare e soffiarsi il naso, a differenza di queste ultime si è dimostrato del tutto dispensabile. I cambiamenti nella dieta potrebbero aver avuto un ruolo al riguardo; sicuramente l'hanno avuto le pressioni sociali.
In camera da letto. La camera da letto è diventata uno dei luoghi più 'privati' e 'intimi' della vita umana. Nella società medievale questa 'privatizzazione' non si era ancora verificata: si ricevevano visite in camera da letto, persino stando a letto. Accadeva spesso che molte persone trascorressero la notte in una stessa stanza; fatta eccezione per le classi superiori, non di rado si trattava di una compagnia promiscua di uomini e donne. Di solito si dormiva nudi. La vista di un corpo nudo era probabilmente un'esperienza ordinaria - e non solo nella camera da letto. Alcune incisioni mostrano giovani di entrambi i sessi che condividono con noncuranza la stanza da bagno; in alcune città era usanza comune tra le famiglie quella di spogliarsi in casa e di recarsi al bagno nudi o vestiti in modo alquanto succinto.
I primi trattati di buone maniere spesso si occupano del comportamento da tenere quando si divide il letto con un'altra persona (dello stesso sesso), ad esempio in una locanda. In questi casi viene raccomandato di giacere immobili e col corpo disteso, e di tenersi sul proprio lato del letto. Lentamente nel corso del Rinascimento, assieme alla forchetta e al fazzoletto da naso, si affermò l'uso di un abbigliamento particolare per la notte; Erasmo raccomanda ai suoi lettori: "Quando vi svestite e quando vi alzate, badate al pudore". Nella sensibilità delle persone si andava verificando una trasformazione analoga a quella descritta dalla Bibbia a proposito di Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden: "ed essi videro di essere nudi e provarono vergogna". Nel XVIII secolo dividere il letto con un estraneo era un evento piuttosto eccezionale (per le classi superiori), e di conseguenza i trattati di buone maniere non precisano come ci si debba comportare in tale evenienza; La Salle afferma in proposito che "non ci si dovrebbe svestire né andare a letto in presenza altrui". Nell'Ottocento, come è noto, questi sentimenti di imbarazzo nei confronti del corpo e della camera da letto si acuirono ancor di più.
Un ordine sequenziale di sviluppo. Questi brevi cenni sono sufficienti a evidenziare in vari aspetti dell'evoluzione del costume una sorta di struttura o modello comune. Ma quali sono le caratteristiche salienti di questa struttura comune, di questa curva di sviluppo?
In generale gli standard di condotta medievali, al confronto con quelli di epoche successive, si possono definire semplici, ingenui e indifferenziati. Impulsi e inclinazioni sono meno controllati, gli imperativi sono diretti: non mangiare o bere rumorosamente; non rimettere nel piatto comune gli ossi rosicchiati; non soffiarsi il naso nella tovaglia; non urinare sui tappeti. Vi sono, afferma Elias (v., 1939), meno sfumature e minori complessità psicologiche, e nello stesso tempo maggiori variazioni all'interno dello standard comune. Ma il Medioevo non è affatto un 'inizio assoluto'. Elias sottolinea ripetutamente che l'epoca medievale non rappresenta un primo gradino, e ancor meno un punto zero nel processo di civilizzazione; il processo di civilizzazione è un processo che non ha un inizio. È vero, tuttavia, che gli standard di comportamento medievali rappresentano un utile punto di partenza per studiare il processo di civilizzazione in quanto nel Medioevo le maniere, sebbene mai assolutamente statiche, sono cambiate molto lentamente. Nel corso dei secoli vengono menzionate sempre le stesse buone e cattive maniere; e tuttavia, sostiene Elias, solo in misura limitata il codice sociale si cristallizzò in abitudini durevoli negli individui stessi.
In seguito, in epoca rinascimentale, si comincia ad avvertire un cambiamento. "Ora, con la riorganizzazione della società, con una nuova impostazione dei rapporti umani, anche in questo campo si afferma lentamente un cambiamento: cresce l'obbligo di esercitare il controllo sul proprio comportamento. Di conseguenza comincia a modificarsi anche lo standard del comportamento" (v. Elias, 1939; tr. it., vol. I, p. 186). Questo mutamento comincia a essere avvertito alla fine del XV secolo - e tale consapevolezza è espressa nel Book of courtesye di Caxton in cui si legge: "Cose un tempo in uso sono oggi dimenticate; cose un tempo lecite sono oggi proibite" - e ancora di più nel XVI secolo. Erasmo è una figura chiave in un'epoca di transizione; in certi momenti la sua mentalità appare schiettamente medievale, in altri quasi moderna. Egli dimostra tutta l'antica spregiudicatezza medievale nel parlare senza ambagi di argomenti che in seguito sarà considerato troppo ripugnante menzionare e tuttavia, nello stesso tempo, le sue raccomandazioni sono costantemente arricchite e sfumate da considerazioni relative a ciò che gli altri potrebbero pensare. Per citare un esempio assai vivido: egli raccomanda ai fanciulli di star seduti composti e di non dimenarsi in continuazione, perché ciò dà l'impressione che essi stiano emettendo peti o siano continuamente in procinto di farlo. Questa tendenza verso una maggiore considerazione dell'opinione altrui diventa sempre più pronunciata. Nel 1672 De Courtin avvertiva i suoi lettori che non si devono adoperare le mani per mangiare cibi unti, in quanto dopo si è costretti a leccarsi le dita o a pulirle col tovagliolo o con la tovaglia, tutte cose "ripugnanti a vedersi". I trattati di buone maniere delle epoche successive tendono a non soffermarsi più su tali 'ovvi' argomenti; di molte cose è diventato superfluo parlare.
Questa tendenza per cui molte cose non hanno più bisogno di essere dette va di pari passo con la tendenza a spostare molte di queste stesse cose dietro le quinte della vita sociale. Gli esempi più evidenti in proposito sono il rigoroso confinamento della minzione e della defecazione in luoghi separati adibiti specificamente allo scopo, e la crescente privatezza delle camere da letto. Ma la stessa tendenza è visibile anche nelle norme che impongono di usare maggior attenzione e discrezione nello sputare o nel soffiarsi il naso in presenza altrui. Lo spostamento dietro le quinte di ciò che ora viene considerato ripugnante costituisce uno degli aspetti più caratteristici del processo di civilizzazione in Europa. Oggi tendiamo a considerare questo fenomeno tipicamente vittoriano, ma in realtà si tratta di una tendenza affermatasi assai prima del XIX secolo.
Chiaramente l'evoluzione descritta da Elias non comporta solo un cambiamento nelle maniere esteriori, ma anche un mutamento di sensibilità, un mutamento di ordine psicologico. A proposito degli uomini medievali, che mangiavano assieme nel modo tradizionale, prendendo la carne dal medesimo piatto, mescendosi il vino dalla medesima coppa e così via, Elias afferma che essi avevano un rapporto reciproco assai diverso da quello che caratterizza gli uomini moderni; tale differenza riguardava non solo la coscienza razionale, ma anche il carattere e la struttura della sfera emotiva. In particolare, "ciò che mancava in questo mondo cortese, o che perlomeno non si era affermato con la stessa intensità, era quell'invisibile muro di affetti che oggi sembra levarsi tra i corpi degli uomini, respingendoli e separandoli, quel muro che oggi si avverte già soltanto avvicinandosi a qualcosa che è entrato in contatto con la bocca o con le mani di qualcun altro, e che si manifesta come un sentimento di disgusto alla mera vista di molte funzioni fisiche altrui, e spesso anche alla loro semplice menzione, oppure come un senso di vergogna quando le nostre funzioni fisiche vengono esposte alla vista altrui, e non soltanto allora" (v. Elias, 1939; tr. it., vol. I, p. 170).
A partire dal Rinascimento, come abbiamo visto, negli standard del comportamento intervenne un cambiamento; il codice di 'civiltà' imponeva in misura crescente di 'guardarsi intorno', di 'controllare il proprio comportamento'. Si verificò, si potrebbe dire, un 'innalzamento' degli standard allorché modelli di comportamento sempre più 'raffinati' imposero un autocontrollo sempre più capillare e sottile. Il dinamismo sociale, secondo Elias, andò di pari passo con un dinamismo psicologico dotato di leggi proprie, che può essere definito come innalzamento della soglia dell'imbarazzo, della vergogna e della ripugnanza.
Dapprima, al momento del loro costituirsi, molte delle nuove norme di comportamento non erano assolute né inequivoche, ma variavano a seconda delle circostanze e, soprattutto, della compagnia in cui ci si trovava. Così, in ogni particolare momento, la conformità a ciò che era considerato all'epoca l'ultimo grido in fatto di buone maniere poteva richiedere uno sforzo cosciente persino per gli adulti. In seguito però i bambini saranno educati dagli adulti non solo a conformarsi alle norme di buona condotta, ma anche a provare vergogna, imbarazzo e disgusto - sentimenti che insorgono automaticamente e inconsciamente in circostanze in cui sino a qualche generazione prima non sarebbero stati affatto provati, nemmeno dagli adulti.
Elias adduce una serie di testimonianze per dimostrare che questo processo di civilizzazione di lungo periodo non può essere spiegato solo con l'accresciuto livello di benessere materiale, o con il progresso delle conoscenze scientifiche in materia di sanità e igiene. Un'evoluzione analoga è visibile anche nello sviluppo di standard sociali di autoinibizione relativamente al ricorso all'uso della violenza. La spiegazione del processo di civilizzazione va ricercata piuttosto nella dinamica delle interdipendenze sociali. Nel corso di parecchi secoli in Europa le catene di interdipendenze sociali si sono andate estendendo, e gli individui sono maggiormente soggetti a una più vasta gamma di vincoli sociali multipolari. In altre parole, "un numero maggiore di persone è costretto più spesso a prestare più attenzione a un maggior numero di altre persone" (v. Goudsblom, 1989, p. 722). Nel corso di questo processo si è verificato un mutamento nell'equilibrio dei controlli mediante i quali gli individui orientano la propria condotta: le costrizioni esterne (Fremdzwänge, coercizioni da parte di altri) non hanno più la preponderanza, ma lasciano il posto a meccanismi di autocontrollo più interiorizzati (Selbstzwänge). È evidente qui l'influenza di Freud sul pensiero di Elias. L'esito di tale processo non è solo un maggior autocontrollo: il fatto essenziale è che questo diventa più automatico, più uniforme (rispetto all'epoca medievale diminuisce la volubilità degli atteggiamenti) e più onnicomprensivo (le norme di condotta si applicano allo stesso modo in pubblico e in privato, e a tutti gli individui, indipendentemente dallo status sociale, ecc.).
Elias mette in relazione questi cambiamenti di habitus col processo di formazione dello Stato in Europa. Prendendo implicitamente le mosse dalla definizione weberiana dello Stato come organizzazione che rivendica con successo il monopolio dell'uso legittimo della violenza, Elias analizza il processo attraverso il quale viene instaurato ed esteso un monopolio degli strumenti di coercizione fisica, nonché delle imposizioni fiscali. La formazione dello Stato, inoltre, è solo uno dei processi attraverso i quali l'individuo viene inserito in una rete di interdipendenza sempre più complessa. La formazione dello Stato si intreccia alla divisione del lavoro, allo sviluppo del commercio, all'urbanizzazione, all'uso della moneta e di apparati amministrativi, alla crescita demografica in un processo a spirale. La pacificazione interna del territorio facilita il commercio, che favorisce l'espansione delle città e la divisione del lavoro, generando imposizioni fiscali che supportano più ampie organizzazioni amministrative e militari, e ciò a sua volta facilita la pacificazione interna di territori più vasti, e così via; si tratta di un processo cumulativo che viene percepito come una forza cogente e irresistibile dagli individui che ne sono coinvolti. Ciò determina effetti a lungo termine sui costumi: "Quando in questo o quel territorio un potere centrale si consolida, quando in un territorio più o meno esteso gli uomini sono costretti a vivere in pace tra loro, allora a poco a poco muta anche la struttura degli affetti e muta altresì lo standard dell'economia pulsionale" (v. Elias, 1939; tr. it., vol. I, p. 359, corsivo nostro).
Negli anni sessanta e settanta sono emerse in molti paesi varie tendenze che hanno indotto a parlare dell'avvento di una 'società permissiva'. C'è stato un evidente allentamento dei meccanismi di controllo - persino un 'rilassamento della morale' a parere di molti - nonché una pervasiva informalizzazione del comportamento sociale. Ciò significa forse che il processo di civilizzazione ha invertito direzione? E poiché la rete di interdipendenze sociali in cui è coinvolto l'individuo diventa palesemente sempre più complessa anziché mostrare la tendenza inversa, sembra legittimo chiedersi se l'avvento della 'società permissiva' non contraddica la teoria di Elias. Questi problemi sono stati oggetto di un serio dibattito tra alcuni sociologi fortemente influenzati da Elias, in particolare Wouters, Brinkgreve, Kapteyn, De Swaan e Krumrey. Lo stesso Elias, in uno dei suoi ultimi saggi (v. Elias, 1989), ha dato un contributo a tale discussione.
L'ondata di informalizzazione che si è avuta negli anni sessanta e settanta non è stata la prima. Sia il periodo del fin de siècle che gli anni venti - i cosiddetti 'anni ruggenti' - sono stati vissuti anch'essi come momenti di liberalizzazione dei costumi. In generale, nella maggior parte del mondo occidentale a tali periodi ha fatto seguito una fase di consolidamento e persino di recessione dell'informalità e della 'permissività', sino alla nuova clamorosa ondata degli anni sessanta. Un altro periodo di riformalizzazione sembra si sia instaurato negli anni ottanta. Al di là di questi flussi e riflussi, non si può negare che le maniere sono diventate meno 'rigide' e gli atteggiamenti nei confronti di parecchi aspetti delle relazioni sociali più 'permissivi' di quanto non accadesse nell'epoca vittoriana (a tale periodo risalgono gli ultimi manuali di buone maniere cui si rifà Elias nella sua analisi del processo di civilizzazione).
Già Elias (v., 1939) aveva osservato l'evidente "rilassamento della morale" verificatosi a partire dalla prima guerra mondiale, affermando che alcuni sintomi di un palese allentamento dei vincoli imposti dalla vita sociale all'individuo si manifestano in un contesto caratterizzato da un livello di autocontrollo assai elevato, forse ancora più elevato che nel passato. Elias cita in proposito il caso dei costumi da bagno e l'esposizione relativamente maggiore del corpo, specialmente femminile, in molti sport moderni. Nel XIX secolo, per una donna, mostrarsi pubblicamente con un costume da bagno anche moderatamente succinto come quelli in uso tra le due guerre avrebbe significato l'ostracismo sociale. Questa evoluzione, secondo Elias, poteva aver luogo solamente in una società in cui è normale un alto grado di inibizione, e in cui le donne, al pari degli uomini, hanno l'assoluta certezza che ogni individuo è tenuto a freno dall'autocontrollo e da un rigido codice di etichetta. Molti anni più tardi Elias (v. Elias e Dunning, 1986, p. 44) sintetizzerà l'evoluzione osservata anni prima a proposito dei costumi da bagno con la seguente formula: "allentamento altamente controllato dei controlli emozionali".
La prima indagine sistematica dei processi di informalizzazione tuttavia è rappresentata dallo studio condotto da Brinkgreve e Korzec (v., 1978) sui mutamenti intercorsi tra il 1938 e il 1978 nei contenuti delle rubriche di consigli ai lettori della più diffusa rivista femminile olandese, "Margriet". Alcune tendenze, come ad esempio quella a discutere in modo assai più aperto dei problemi della sessualità, erano state rilevate spesso in precedenza. Brinkgreve e Korzec, tuttavia, concentrarono la loro attenzione su ciò che i mutamenti delle forme dei consigli ai lettori rivelavano sulle trasformazioni nelle relazioni sociali, in particolare negli equilibri di potere tra genitori e figli e tra mariti e mogli. Essi rilevarono che tra gli anni cinquanta e gli anni settanta era vistosamente diminuita l'aspettativa che gli adolescenti e le mogli si sottomettano senza protestare ai desideri rispettivamente dei genitori e dei mariti, in conseguenza dell'instaurarsi di rapporti di potere più paritari. Ad esempio, quando le donne non avevano un lavoro fuori casa, la mancanza di autonomia finanziaria le rendeva totalmente dipendenti dai mariti e limitava le loro opportunità. Allorché tale dipendenza diminuì, il rapporto matrimoniale ideale non venne più concepito in termini di completa unità e armonia, quanto piuttosto in termini di interessi in competizione, in cui la negoziazione ha un ruolo assai più decisivo dei ruoli fissi. Non si davano più regole generali su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Secondo Brinkgreve e Korzec questa trasformazione può essere sintetizzata come passaggio da una attitudine 'moraleggiante' a una 'psicologizzante'. La tendenza a giudicare e a censurare ha lasciato il posto al tentativo di considerare la situazione da tutti i punti di vista. Vengono poste questioni psicologiche di ogni genere affinché gli individui possano rendersi conto dei loro ruoli nei problematici rapporti interpersonali. Nel passato si riteneva che esistessero inclinazioni buone e cattive, e che queste ultime dovessero essere energicamente represse. Negli anni settanta, per contro, si affermò l'idea secondo cui gli impulsi vanno controllati non perché malvagi in se stessi, ma piuttosto perché cedere a essi può causare numerosi problemi.Wouters (v., 1977) catalogò una serie di fenomeni che attestano la pervasività dei processi di informalizzazione. Egli cita tra gli altri il diffondersi dell'uso del 'tu' familiare, l'impiego crescente del nome di battesimo (da parte dei figli nei confronti dei genitori, e dei subordinati nei confronti dei superiori negli uffici), la minore insistenza sui titoli, l'informalizzazione del linguaggio scritto e parlato, dell'abbigliamento, del taglio dei capelli, della musica e della danza. Anche il lutto e l'atteggiamento nei confronti della morte sono definiti in modo meno formale che in passato (v. Wouters e ten Kroode, 1980). A tutto ciò si sono aggiunte le trasformazioni negli ambiti decisivi del matrimonio, del divorzio e della sessualità, nonché i movimenti di protesta - orientati sia alla ribellione che alla restaurazione - fioriti negli anni sessanta e settanta.
I moderni manuali di etichetta forniscono utili testimonianze in merito a molte di queste tendenze, presentandosi come diretti successori dei 'trattati di buone maniere' utilizzati da Elias per la sua analisi. Assai significativa è l'interruzione rilevata da Wouters (v., 1987) nella pubblicazione di tali manuali in Olanda tra il 1966 e il 1979; il loro posto è stato preso da un proliferare di quelli che Wouters definisce trattati "sulla liberazione personale e sull'autorealizzazione", che pongono l'accento sul diritto-dovere di realizzare la propria personalità, piuttosto che sulla conformità a determinati standard sociali.
Tuttavia le apparenze - persino l'esperienza del proprio sé - possono ingannare. Di fatto, come fa notare Brinkgreve (v., 1982) sviluppando la tesi di Wouters, i "comandamenti della nuova libertà" sono piuttosto ardui. Il nuovo modello di 'matrimonio aperto' è molto impegnativo sul piano emotivo, e in effetti Brinkgreve dubita che siano molte le persone in grado di assumere un atteggiamento sereno, aperto e incoraggiante nei confronti di eventuali relazioni del partner con terzi. Il 'nuovo divorzio', in cui gli ex partners restano amici e continuano a frequentare tranquillamente le stesse cerchie sociali, richiede anch'esso un notevole sforzo da parte delle persone. È aumentato il grado di 'autocontrollo reciprocamente atteso'. L'informalizzazione non implica solo l''individualizzazione', bensì qualcosa di molto più sottile. La tesi centrale di Wouters è che mentre una diminuzione nella diseguaglianza dei poteri dà luogo a una maggiore informalità, "contrariamente all'impressione superficiale, una maggiore informalità nei rapporti tra individui interdipendenti comporta e richiede meccanismi di autocontrollo più profondamente interiorizzati di quanto non accada per rapporti di natura più formale, che caratterizzano situazioni di maggiore e più palese ineguaglianza di status e di potere, nonché comportamenti più autoritari da parte dei superiori" (v. Wouters, 1977, p. 447).
I processi di informalizzazione sociale non creano solo un diverso modello di autocontrollo, ma anche un diverso livello, più cosciente, dei controlli. Nel XIX secolo, come attestano ad esempio i diari, anche quelli più intimi, molte fanciulle - specialmente delle classi medie - reprimevano ogni pensiero riguardante il sesso, eccetto che nel contesto incontrollato dei sogni. Attualmente i giovani imparano a esprimere la propria sessualità in forme controllate e socialmente accettabili, non in modo totalmente privo di inibizioni, ma nel quadro di uno standard sociale più indulgente e differenziato. Di conseguenza, sostiene Wouters (v., 1977, p. 448), l'autocontrollo dei giovani nell'ambito della sessualità è aumentato in misura tale che essi sono in grado di pensare di poter esprimere o reprimere gli impulsi o le emozioni sessuali. Questa maggiore consapevolezza consente ai giovani di oggi, in una misura sconosciuta alle generazioni dei genitori e dei nonni, di dar libero corso ai propri impulsi e alle proprie emozioni o di frenarle a seconda delle circostanze.
La conclusione generale che si può trarre dal dibattito sociologico sui processi di informalizzazione non è che essi costituiscono una inversione globale del processo di civilizzazione, né che essi contraddicono la teoria di Elias in generale. Piuttosto, tali processi sembrano rappresentare una precisa continuazione della tendenza verso una maggiore 'onnicomprensività' degli standard del comportamento sociale, nonché delle tendenze culturali verso ciò che Elias definiva "diminuzione dei contrasti, aumento della varietà". Più difficile risulta stabilire se questi processi segnino anche un'evoluzione in direzione di una maggiore uniformità e automaticità degli standard del comportamento. Poiché l'informalizzazione implica una formazione meno tirannica dell'autocoscienza e una scelta più consapevole, è facile non vedere in che misura i nuovi standard più liberali presuppongano una grande capacità di controllare i propri impulsi e un grado ancor più elevato di mutua identificazione. Il quadro è ulteriormente complicato dall'intrecciarsi di ondate di informalizzazione e di formalizzazione; riprendendo le tesi avanzate da Wouters (v., 1987, 1990, 1991) a proposito delle tendenze verso una nuova formalizzazione emerse negli anni ottanta, si può affermare che nel breve periodo si ha un succedersi di ondate di formalizzazione e di informalizzazione, in cui parte delle acquisizioni dei periodi di informalizzazione di questo secolo vengono incorporate successivamente in nuovi codici più formali. (V. anche Civiltà; Norme e sanzioni sociali).
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