Manifestazioni della cultura dell'Occidente greco. La pittura parietale
I rinvenimenti archeologici in Magna Grecia hanno portato alla luce resti consistenti di pittura parietale, un’espressione artistica fondamentale della Grecia propria, a giudicare dalle fonti le quali ricordano cicli pittorici che decoravano monumenti pubblici e santuari, opera di artisti famosi nel mondo antico. Uno di questi pittori, Zeusi, attivo nella seconda metà del V sec. a.C., era nato a Eraclea Minoa, in Sicilia, e gli scrittori antichi tramandano la novità del suo linguaggio espressivo, attento alle proporzioni e al gioco di luci al fine di realizzare composizioni il più possibile realistiche. Le nostre conoscenze, in realtà, si limitano quasi esclusivamente all’ambito della pittura funeraria. Si ipotizza che l’introduzione di decorazioni dipinte figurate all’interno delle tombe dell’Italia meridionale risalga al V sec. a.C., sul modello delle pitture tombali etrusche ed etrusco-campane, recepito dalle colonie greche dell’area tirrenica attraverso i centri di Capua e Nola.
Questo costume funerario, ampiamente diffusosi in ambito campano e lucano nel IV sec. a.C., nelle tombe del tipo a cassa, a camera o a semicamera, conosce isolati precedenti nel V sec. a.C.: la celebre Tomba del Tuffatore di Paestum e una tomba di Capua (Weege 15), ora perduta. La Tomba del Tuffatore, datata intorno al 480-470 a.C., è la più antica testimonianza di pittura parietale proveniente da una città di origine greca. Sulle lastre laterali della tomba, a cassa, è rappresentato un simposio con uomini distesi sulle klinai intenti a bere dalle coppe, a giocare al kottabos, a suonare e cantare o a giochi amorosi. La faccia interna della lastra di copertura reca la celebre scena che ha dato il nome alla tomba: un giovane si tuffa verso uno specchio d’acqua da un’alta struttura formata da blocchi, a simboleggiare il passaggio nell’Aldilà. L’affresco si rivela non particolarmente accurato e raffinato; l’esecuzione, attribuita ad almeno due mani, è rapida, ma la scena possiede un forte potere suggestivo per l’immediatezza della narrazione e la carica simbolica delle immagini. I contenuti rimandano a valori greci (il piacere del simposio, prerogativa del cittadino, e la metafora della morte); lo stile e la maniera compositiva trovano confronti nel linguaggio figurativo della ceramica attica a figure rosse, benché l’uso di dipingere le pareti interne della tomba sia estraneo alla cultura della Grecia propria.
Paestum ha restituito oltre 80 tombe databili al IV sec. a.C., ascrivibili a due diverse botteghe e destinate al ceto egemone di origine lucana, che alla fine del V sec. a.C. aveva preso il potere nella città greca. Le scene dipinte sulle lastre di queste tombe campane (a Paestum, Nola, Capua), inquadrate da fregi geometrici o vegetali, raffigurano temi iconografici che celebrano il valore militare del defunto, secondo l’ideologia guerriera tipica delle aristocrazie indigene, come il ritorno del guerriero vincitore, seguito da un corteo di scudieri e servi, con il bottino preso ai nemici, e donne che lo accolgono, ma anche banchetti, gare e giochi connessi ai rituali funebri. Le tombe destinate a sepolture femminili documentano l’elevato status sociale della defunta, riccamente abbigliata e intenta alle occupazioni di toilette o tessitura, e dalla seconda metà del IV sec. a.C. mostrano dettagliatamente le fasi del rituale funerario. Nelle tombe capuane e nolane si tratta generalmente di disegni colorati, in cui predominano la linea bruna di contorno e un uso parsimonioso dei colori, anche se non mancano composizioni dallo schema complesso e sapienti annotazioni plastiche e luministiche (ad es., la Tomba del Guerriero di Nola, la Tomba del Sacerdote Sannita di Capua). Di recente è stata scoperta nella valle del Sarno, in un’area di confine lucano-sannita, fortemente influenzata da Paestum, una tomba a cassa di lastroni di tufo della fine del IV sec. a.C., che conteneva i resti di un cavaliere e di una donna, ornata con pitture che illustrano la tipica scena del ritorno del guerriero, proprio nel periodo in cui le genti italiche si scontravano con la nuova potenza romana nelle guerre sannitiche.
Anche la Puglia ha restituito esempi di tombe dipinte. Nel 1833 è stata scoperta a Ruvo la Tomba delle Danzatrici, generalmente datata al IV sec. a.C. (anche se non mancano proposte di datazione alla seconda metà del V sec. a.C.). Sulle lastre parietali della tomba, a semicamera, oggi conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è dipinta una teoria di 27 donne in atto di compiere una danza funebre in cerchio intorno al morto, che era deposto al centro della tomba; si tratta sicuramente di un esponente dell’aristocrazia locale, imbevuta di apporti della cultura greca sin dall’età arcaica. L’articolata catena delle danzatrici è formata da due file di donne, ciascuna guidata da un giovane conduttore, mentre altre due figure maschili suonano la lira. La raffigurazione è caratterizzata dal ritmo della danza e dalla sapiente ed esuberante policromia delle vesti e dei bordi dei mantelli, portati sulla testa dalle donne, che contrastano con le tuniche bianche delle figure maschili. Il simbolismo della scena è stato messo in relazione con le dottrine orfico-pitagoriche, in quel tempo ampiamente circolanti in ambito magno-greco. La danza intrecciata di tipo labirintico, accompagnata dal suono rasserenante della lira, potrebbe essere stata riprodotta nella tomba come simbolo della salvezza dalla prigione degli Inferi.
Sullo scorcio del IV sec. a.C., la qualità delle pitture mostra la ricezione delle conquiste spaziali e chiaroscurali della grande pittura ellenistica di area macedone e lo sviluppo autonomo di questa forma artistica nell’Italia meridionale. In questo periodo si affermarono nella pittura parietale dell’area tirrenica magno-greca la narrazione di vicende storiche e di episodi esemplari e la forte individualizzazione dei tipi umani, che avrebbero avuto una grande influenza a Roma, ma anche la moda di riprodurre per mezzo della pittura elementi e partizioni architettoniche con effetti illusionistici. Interessanti testimonianze della megalografia di destinazione funeraria e abitativa di età ellenistica (tardo IV-III sec. a.C.) sono state scoperte nei principali centri della Daunia, in particolare ad Arpi e Canosa, e a Egnatia in Messapia. Le aristocrazie locali assimilarono modelli greci e in particolare macedoni, grazie alla mediazione di Taranto e alla presenza nella regione dei contingenti dei re epiroti Alessandro il Molosso e Pirro, al tempo delle loro spedizioni militari in Italia.
Con pitture era decorato l’Ipogeo della Medusa di Arpi, una monumentale tomba a camera il cui vestibolo era dipinto con un fregio, di cui rimane una scena con Cerbero. Un grande Cerbero compare anche nella decorazione dipinta dell’omonimo ipogeo di Canosa, dove il cane a tre teste è affiancato da Hermes Psicopompo, dal defunto ammantato e altre figure. La comunanza dei soggetti pittorici, che trovano confronti anche a Paestum, ha fatto ipotizzare la circolazione di cartoni con temi relativi al viaggio del defunto agli Inferi. Le abitazioni (Casa del Mosaico dei Grifi e delle Pantere ad Arpi) e gli ipogei funerari dei centri apuli (ipogei Barbarossa e Lagrasta a Canosa; Ipogeo della Medusa ad Arpi; Tomba del Melograno di Egnatia) hanno restituito, inoltre, testimonianze di pittura decorativa, che riproducono partizioni parietali e particolari architettonici nello stile cosiddetto “strutturale”, anche con l’impiego di stucco.
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