Manifestazioni della cultura dell'Occidente greco. La plastica e la coroplastica
I più antichi documenti della plastica dell’Occidente greco risalgono già alla seconda metà dell’VIII sec. a.C.: dalla necropoli del Fusco di Siracusa proviene un cavalluccio bronzeo di stile tardogeometrico; si tratta con tutta probabilità di un’importazione dalla Grecia (piuttosto che di un lavoro locale eseguito da un artigiano immigrato), databile subito dopo la fondazione della colonia.
Le correnti stilistiche elaborate nella madrepatria influenzarono le produzioni artistiche in Magna Grecia e Sicilia sin dall’età arcaica. Gli artisti occidentali mostrano di essere specializzati nella lavorazione della terracotta o della pietra locale, mentre meno frequente si rivela la scultura in marmo, necessariamente importato. Il legame con la città di provenienza dei coloni rimase privilegiato per tutto il VII sec. a.C., anche se con interpretazioni locali e mescolanze. Così le numerose statuette in stile dedalico rinvenute a Gela appaiono direttamente ispirate alle creazioni rodie e cretesi, mentre i legami con l’ambiente artistico corinzio prevalgono nelle colonie doriche di Siracusa e Megara Hyblaea. Caratteri ancora dedalici mostrano le tre statuette lignee rinvenute in una fonte sulfurea presso Palma Montechiaro, offerte alla divinità delle acque salutari, che si avvicinano stilisticamente a prodotti corinzi dell’inizio del VI sec. a.C. Dal santuario selinuntino della Malophoros proviene un gruppo di lampade votive di marmo cicladico, tra cui il celebre esemplare ornato da una protome umana, caratterizzata dai tipici tratti dedalici (volto allungato, grandi occhi amigdaloidi, polos decorato e acconciatura a trecce), datato nell’ultimo quarto del VII sec. a.C.
Lo stile dedalico impronta anche numerose statuette e rilievi fittili rinvenuti in Magna Grecia, ricavati da matrici (Cuma, Metaponto, Siris, Corigliano Calabro, Sibari, Taranto). Si può ricordare il perirrantherion proveniente dall’Incoronata presso Metaponto, decorato a rilievo a stampo su tre registri, con scene mitologiche e di combattimento, della seconda metà del VII sec. a.C. Nella plastica di età arcaica del VI sec. a.C. divengono predominanti gli influssi greco-orientali, già riscontrabili alla fine del secolo precedente. Tale linguaggio figurativo si diffonde dalla seconda metà del VI sec. a.C. non solo nelle colonie di origine ionica, ma in tutto il mondo greco-occidentale, parallelamente all’accresciuta presenza ionica in Magna Grecia e Sicilia, in seguito alla pressione persiana in Asia Minore, esemplificata dall’arrivo dei Sami a Zankle nel 493 a.C. circa. In terracotta policroma erano eseguite le vivaci decorazioni architettoniche degli edifici templari di età arcaica, come testimoniano i rinvenimenti di Siracusa, Camarina, Gela in Sicilia e di Paestum, Metaponto, Taranto in Italia meridionale: antefisse conformate a testa di Gorgone o di Sileno, grondaie a protome leonina, acroteri raffiguranti Sfingi o Nikai in volo e coppi terminali.
Alla decorazione frontonale o metopale dell’Athenaion arcaico di Siracusa poteva appartenere la celebre lastra fittile che raffigura la Gorgone nel tipico schema della corsa in ginocchio. L’iconografia, che si ritrova nel frontone dell’Artemision di Corfù, è senza dubbio riconducibile all’ambito corinzio. Caratteristica dell’area di Metaponto e Siris nella prima metà del VI sec. a.C. è la produzione di fregi figurati in terracotta, eseguiti a rilievo molto basso, che dovevano decorare naiskoi. La produzione di terrecotte figurate dell’età arcaica è strettamente connessa alle esigenze di culto e alle offerte votive. Oltre alle statuette, stanti o sedute, che rappresentavano offerenti o la divinità venerata nel santuario, e alle protomi femminili, una categoria particolare molto diffusa nel VI sec. a.C. è quella delle arule, che fungevano da offerte funerarie o ex voto. La decorazione dipinta o a rilievo, sulla faccia principale, reca ricorrenti scene di animali in lotta, ma anche episodi tratti dal mito. Esemplari celebri sono stati rinvenuti sia in Sicilia (Naxos, Siracusa, Megara), che in Magna Grecia, dove Locri si segnala per la fiorente attività coroplastica. Il recente scavo a Gela, presso Bosco Littorio, ha portato in luce, in una struttura interpretata come emporica, tre are fittili, con la rappresentazione della Gorgone Medusa, di una triade divina e di Eos che rapisce Kephalos, databili tra il 500 e il 480 a.C.
Alla fine del VI sec. a.C. a Gela viene creato il tipo della statuetta femminile con porcellino, che si diffonde in seguito in tutti i santuari di Demetra e Kore della Sicilia. Caratteristica di Locri è la classe dei pinakes, le tavolette fittili di forma rettangolare decorate con scene figurate a bassorilievo e vivacemente colorate, ottenute da matrici, che furono dedicate come ex voto dai devoti nel santuario di Persefone alla Mannella in età tardoarcaica e classica. Destinati a essere appesi alle pareti dei sacelli o, all’aperto, agli alberi entro il recinto del santuario, sono stati trovati in un’enorme stipe votiva, dove furono evidentemente radunati in occasione di una ristrutturazione dell’area sacra. I pinakes sono stati distinti in gruppi a seconda dei soggetti, costituiti da episodi della vita della dea e da temi connessi al culto: i tipi senza figure umane, con animali sacri (toro e mucca, ariete, galli e galline), mobili e arredi del culto; il ratto di Persefone; i sacrifici; la raccolta della frutta; la preparazione, il trasporto e la consegna del peplo nuziale alla dea; la vestizione e l’acconciatura della dea; la cerimonia nuziale; l’offerta di doni a Persefone e ad Ade da parte di altre divinità; l’apertura per mano della dea della cista, da cui esce un bambino. I dettagli tecnici e lo stile permettono di attribuire i pinakes a diverse botteghe attive a Locri dalla fine del VI e soprattutto nella prima metà del V sec. a.C., anche se la produzione si protrasse fino alla seconda metà del secolo.
Una fiorente fabbrica coroplastica si sviluppò anche a Medma, subcolonia di Locri. Due ricchi depositi rinvenuti nel santuario in contrada Calderazzo hanno restituito numerose terrecotte architettoniche e votive, databili dalla seconda metà del VI al V sec. a.C., costituite da arule, statuette di vario genere raffiguranti offerenti o divinità, busti femminili, modellini di naiskoi e di armi. Più tarda è la stipe cosiddetta dei Cavallucci, in località Sant’Anna, che ha fornito un’abbondante documentazione coroplastica di V-IV sec. a.C. Dall’area sacra al Mattatoio, frequentata dalla fine del VI sec. a.C. all’età ellenistica, provengono numerose statuette di recumbenti, personaggi prevalentemente maschili raffigurati a banchetto adagiati sulla kline, secondo una tipologia di origine tarantina, che trovò un’ampia diffusione in Magna Grecia come ex voto o come offerta funebre, con numerose varianti. Ai grandiosi programmi architettonici dei tiranni di Agrigento, Gela e Siracusa nel 480-470 a.C. è legato lo sviluppo di una scuola di scultura architettonica in pietra, cui sono attribuite le grondaie a protomi leonine dei grandi templi pervenutici. Proseguono, comunque, le attestazioni della decorazione fittile di tradizione arcaica, testimoniata dalle antefisse a testa di Sileno eseguite a Naxos e a Gela nella prima metà del V sec. a.C.
La coroplastica di destinazione votiva conosce dagli inizi del V sec. a.C. una nuova tipologia a forma di busto, sviluppatasi ad Agrigento, che ebbe notevole fortuna, come testimoniano le stipi votive di santuari della Sicilia (Selinunte, Grammichele), ma anche della Magna Grecia (Medma). Le attestazioni di ex voto conformati a busti fittili continuano fino all’età ellenistica in Sicilia (Siracusa, Centuripe, Morgantina). Per il IV sec. a.C. si segnala l’ingente ritrovamento a Lipari, per lo più in contesti tombali, di terrecotte connesse al mondo del teatro, la cui produzione fu avviata intorno al 370 a.C.: maschere tragiche e comiche e figure di personaggi della Commedia Nuova. All’inizio del III sec. a.C. si diffonde anche un’altra caratteristica serie coroplastica, quella delle statuette cosiddette “tanagrine”, di destinazione funeraria, che imitano modelli ateniesi. Le figure femminili, snelle e aggraziate, sono arricchite da una delicata policromia e raffigurate in pose varie: stanti, avvolte nei panneggi o con ampi cappelli e anche in atto di danzare.
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