Curio Dentato, Manio
Uomo politico e condottiero romano (sec. IV-III a.C.), è ricordato come il tipo perfetto dell'eroe repubblicano dalla rigidissima onestà, grande nella vittoria eppure fedele, nella semplicità dei costumi, alle proprie origini modestissime.
Console nel 290, nel 275 e nel 274 a. C., " consul suffectus " nel 284, censore nel 272, riportò il trionfo per le vittorie sui Sanniti e sui Sabini (290) e, nel 275, per aver sconfitto Pirro a Benevento; nel 284 vinse i Galli Senoni, nel 274 i Lucani. Oltre ai successi militari si ricordano anche i suoi meriti civili, come le opere idrauliche sul lago Velino (289 circa) e l'inizio del secondo acquedotto di Roma, l'" Anio Vetus ", nel 272. Morì nel 270. Più che alla celebrazione di queste sue imprese, i riferimenti a C. presso le fonti latine, specie le più tarde (la testimonianza di Livio è venuta a mancare per la perdita della seconda deca), mirano allo sviluppo di motivi retorici indugiando su aneddoti che illustrano la frugalità e l'incorruttibilità del personaggio, quasi sempre accostato a Fabrizio in una comune esemplificazione di quelle difficili virtù. In questa fruizione moralistica C. è figura proverbiale: cfr. per esempio Giovenale Sat. II 153, XI 78; e per un uso ancor più decisamente antonomastico Seneca Ep. CXX 19; e ancora Giovenale Sai. II 3. L'episodio più noto riguarda la risposta di C. ai Sanniti che avevano tentato di corromperlo: ricevutili, povero com'era, presso il focolare della propria fattoria, avrebbe risposto che gli sembrava preferibile non il possesso dell'oro ma il dominio sui possessori (cfr. Cicerone Senect. XVI 55; Valerio Massimo IV III 5; [Aurelio Vittore] Liber de viris illustribus XXXIII; e, per un esempio medievale, Tolomeo da Lucca, continuaz. di s. Tommaso De Regimine principum III IV, ediz. Spiazzi, 944).
Probabilmente senza poter identificare né inquadrare storicamente il personaggio, astratto nella sua fortuna aneddotica, D. lo introduce per la sua risposta ai Sanniti nella galleria dei personaggi romani divinamente ispirati, per ispeziale fine, da Dio inteso in tanta celestiale infusione, nel loro amor di patria (Cv IV V 13). Testimone con la sua virtù infusa da Dio dell'intervento provvidenziale nella storia di Roma, C., secondo D., avrebbe risposto ai Sanniti che li romani cittadini non l'oro, ma li possessori de l'oro possedere voleano; ed è una singolare trasgressione delle fonti, secondo le quali C. non avrebbe parlato in nome del popolo romano ma espresso una sua personale convinzione (Cicerone: " non enim aurum habere praeclarum sibi videri dixit, sed... "; Valerio Massimo: " Narrate Samnitibus M. Curium malle... "; Aurelio Vittore: " Malo... aurum habentibus imperare "). La variazione dantesca è pertanto degna di nota perché adatta il significato dell'episodio alla celebrazione non di una virtù individuale ma dell'intero popolo romano quale degno e legittimo depositario dell'Impero, secondo una linea che, accennata in questo luogo del Convivio, sarà sviluppata nel libro II della Monarchia.