MORGAGNI, Manlio
MORGAGNI, Manlio. – Nacque il 3 giugno 1879 a Forlì da Andrea, un agente di assicurazioni di sentimenti mazziniani, e da Giulitta Monti, una maestra elementare originaria di Civitella di Romagna, che diede alla luce altri due figli: Tullo (futuro direttore dellaGazzetta dello Sport e fondatore di periodici come Sport illustrato, Secolo illustrato, Nel Cielo), poi deceduto il 2 agosto 1919 in un disastro aereo, e Irma.
Dopo avere conseguito il diploma di scuola commerciale, nel 1897 raggiunse il padre a Milano, per lavorare nel settore pubblicitario. Nel 1904 conobbe Luigia Pozzoli, che avrebbe sposato molti anni più tardi, nel gennaio 1918. Vicino, in anni giovanili, alle suggestioni socialiste, nel 1912, dopo esserne stato ‘viaggiatore’ , divenne ispettore generale delle Messaggerie italiane.
Una prima svolta nella vita di Morgagni si realizzò nel novembre 1914 quando, accolta la linea interventista, fu chiamato dal conterraneo Benito Mussolini a collaborare al neonato quotidiano Il Popolo d’Italia, per occuparsi della raccolta pubblicitaria. Secondo un rapporto inoltrato alla Presidenza del consiglio il 4 giugno 1919, firmato dall’ispettore generale di polizia Giovanni Gasti, Morgagni fu anche uno dei principali intermediari tra Mussolini e gli ambienti politici francesi che contribuirono al finanziamento del giornale (R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino 1995, pp. 723-737). Promosso nel novembre 1914 direttore amministrativo del quotidiano, con l’inizio della guerra (vissuta in gran parte a Milano, come ‘territoriale’) e la partenza per il fronte di Mussolini, avvenuta nell’estate 1915, fu chiamato a svolgere anche ruoli redazionali. Solo nel gennaio 1918, dopo il ritorno di Mussolini al giornale, fu inviato in zona di operazioni, dove si sarebbe meritato una croce di guerra.
Secondo alcune fonti – e secondo le testimonianze dello stesso Morgagni – egli fu anche tra i fascisti che si riunirono in piazza san Sepolcro a Milano il 23 marzo 1919, quando furono poste le basi del movimento dei Fasci di combattimento (Arbitrio, 2000, p. 326). Secondo altre fonti, trascorse invece quella giornata nella sede del Popolo d’Italia, ottenendo poi da Mussolini l’inserimento nella lista dei ‘sansepolcristi’ (Luconi, 2005, p. 35). Quello stesso anno lasciò la direzione amministrativa del quotidiano al fratello minore di Mussolini, Arnaldo, tornando a occuparsi della raccolta pubblicitaria.
Entrato a far parte del direttorio del fascio milanese, dopo la marcia su Roma fu – sempre a Milano – consigliere comunale di maggioranza (dal 1923 al 1926), presidente del comitato provinciale dell’opera nazionale balilla, presidente della Commissione per l’abbellimento cittadino e – dal 1927 al 1928 – vicepodestà, con delega all’educazione e all’istruzione pubblica.
Nel frattempo, nel luglio 1923, aveva fondato con Arnaldo Mussolini la Rivista illustrata del Popolo d’Italia: un mensile – di cui fu anche direttore – molto curato sotto il profilo grafico, che egli stesso avrebbe definito «sontuos[o] nella forma» e che avrebbe diretto per tutta la vita, sforzandosi su ogni numero di celebrare l’opera svolta dal fascismo «in tutti i campi, della politica, dell’economia, dell’industria, della scienza e dell’arte» (Rivista illustrata del Popolo d’Italia, agosto 1923, n. 1, p. 6).
Nel gennaio 1928 diede vita a un’altra rivista, Natura, nata per approfondire i problemi agrari italiani e per celebrare «il patrimonio spirituale e materiale della pianura, della montagna e del mare». Ma la sua vita professionale si legò in maniera quasi indissolubile a un soggetto di ben altro rilievo, che durante il fascismo avrebbe svolto un ruolo fondamentale nelle strategie di manipolazione dell’opinione pubblica: l’Agenzia Stefani. Vi era approdato nella primavera del 1924, ancora una volta per volere di Mussolini. Dopo averne rilevato il pacchetto azionario e avere svolto per alcuni mesi il ruolo di consigliere delegato, divenne presidente dell’agenzia nel dicembre 1925. Calato in questa nuova realtà, seppe immediatamente dimostrare le sue doti organizzative, trasformando la ‘vecchia’ Stefani, fondata nel secolo precedente da Guglielmo Stefani, in un’arma potente, completamente asservita al fascismo.
Prima moderna agenzia di stampa in Italia, l’Agenzia Stefani, nata a Torino il 26 gennaio 1853, era riuscita nel corso dei decenni a ritagliarsi un peso crescente nel panorama giornalistico del paese. Durante la prima guerra mondiale l’esclusiva sulla diffusione dei dispacci dello Stato maggiore dell’Esercito (e, dal 1920, il ruolo di tramite di tutte le informazioni ufficiali dello Stato) aveva inoltre contribuito a farne un modello abbastanza atipico di impresa privata.
Solo dopo l’arrivo di Morgagni essa conobbe tuttavia uno sviluppo notevolissimo, tanto che nel 1939 giunse a contare 48 uffici sparsi per l’Italia e per il mondo e un organico di 326 corrispondenti. Dal punto di vista amministrativo, rimase sempre formalmente indipendente, ma si pose totalmente al servizio del regime, godendo in cambio di particolari agevolazioni, sostanziosi finanziamenti, speciali franchigie. Fu inoltre autorizzata dal governo a intervenire su tutte le informazioni raccolte, per adeguarle alle esigenze della propaganda. Il suo obiettivo, secondo gli intenti di Morgagni, era insomma quello di permettere al giornalismo fascista di diventare una palestra di educazione morale, politica e sociale attraverso la raccolta di notizie e di studi selezionati.
Grazie al ruolo rivestito alla Stefani, la posizione di Morgagni andò sempre più rafforzandosi all’interno del regime, anche se molti gerarchi iniziarono a giudicare con pesante ironia il suo atteggiamento di plateale venerazione per Mussolini e pure a nutrire sospetti sui suoi metodi di gestione dell’agenzia. Il 16 aprile 1943 il Regime fascista di Roberto Farinacci sarebbe giunto a bollare senza mezze misure la Stefani come «un’agenzia personale d’affari».
Ascoltato confidente di Mussolini, in occasione dei suoi frequenti viaggi all’estero Morgagni gli inviava dettagliatissime relazioni, in cui si sforzava di enfatizzare i successi del fascismo e di fornire informazioni utili a migliorarne l’immagine a livello internazionale. Anche grazie ai contatti intrattenuti con i corrispondenti della Stefani dalle principali capitali, riuscì ben presto a costituire una specie di rete diplomatica personale. Fu inoltre attivo all’interno dell’oVRA, la polizia segreta fascista, mantenendo – con il nome in codice «Carlo» – stretti contatti soprattutto con il confidente Gino Andrei («Mario»), a cui garantì collaborazione e sostegno fino al luglio 1943. Si spese infine in maniera assidua per creare un coordinamento internazionale tra le agenzie giornalistiche, allo scopo sia di migliorare l’efficacia della propaganda fascista all’estero, sia di studiare e imitare il funzionamento delle affiliate straniere. Console della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, membro della Corporazione della carta e della stampa e, dal marzo 1934, del Consiglio dell’Ente autonomo della Scala di Milano, la sua ascesa politica conobbe una simbolica consacrazione il 12 ottobre 1939, quando – su proposta del ministro della Cultura popolare – fu nominato senatore del regno.
Fu, in realtà, una nomina ottenuta non per particolari meriti culturali o politici, ma sulla base della 21a categoria dall’art. 33 dello Statuto Albertino, in cui si faceva riferimento a quei contribuenti che, per tre anni consecutivi, avevano pagato 3000 lire d’imposizione diretta.
Dopo la sua nomina a senatore, dal 23 gennaio 1940 al 25 gennaio 1941 fu membro della Commissione dell’Educazione nazionale e della cultura popolare e, in seguito, della Commissione delle Forze armate.
La notizia della destituzione di Mussolini fu vissuta con sgomento da Morgagni, che da tempo aveva maturato una forte carica di pessimismo in merito all’andamento della guerra e alle stesse condizioni fisiche e morali del dittatore. Lo stesso 25 luglio 1943 – unico gerarca a giungere a un gesto tanto estremo – Morgagni si tolse la vita nella sua casa romana.
Lasciò al duce una lettera-testamento che recitava: «Mio Duce! L’esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un’invocazione per la salvezza dell’Italia ». In un secondo documento Morgagni diede puntuali disposizioni affinché il suo sontuoso immobile romano, situato in via Nibby, fosse donato al personale della Stefani.
Dopo avere ricevuto l’ultimo mesto biglietto lasciatogli da Morgagni, il 15 ottobre 1943 Mussolini vergò di suo pugno l’epigrafe da apporre sulla tomba del gerarca scomparso, nel cimitero Monumentale di Milano. Vi si leggeva: «Qui nel sonno senza risveglio riposa Manlio Morgagni giornalista Presidente della Stefani per lunghi anni Uomo di sicura integra fede ne diede morendo testimonianza nel torbido 25 luglio 1943».
Fonti e Bibl.: Un’ingente massa documentaria relativa a Morgagni è conservata presso l’Archivio centrale dello stato, Agenzia Stefani, Carte M. M. Si tratta di un fondo composto da 91 scatole, relative soprattutto alla corrispondenza personale e privata (1909-1943) e alle relazioni periodiche al capo del governo. Il resto del materiale riguarda soprattutto le istruzioni del Ministero della cultura popolare, i rapporti per informazione dei corrispondenti dall’estero, le segnalazioni riservate, le informazioni fiduciarie. L’opera principale di Morgagni è L’Agenzia Stefani nella vita nazionale, Milano 1930. Non esistono biografie scientifiche a lui dedicate. Vanno comunque segnalati: P.V. Cannistraro, M., M., in Historical dictionary of Fascist Italy, Westport 1982, p. 347; F. Arbitrio, L’agenzia Stefani e l’OVRA. M. M. nome in codice «Carlo», in Nuova Antologia, 2000, vol. 584, n. 2213, pp. 326-334; M. M. fotografo. L’uomo e il gerarca, a cura di B. Micheletti e G. Ragusini, Brescia 2004 (in particolare l’Introduzione di A. Mignemi); S. Luconi, La città della grande depressione: M. M. a New York, 1932, in Storia urbana, 2005, n. 109, pp. 35-50. Di carattere prettamente agiografico è In memoria di M. M. 3 giugno 1879-25 luglio 1943, a cura di L. orsini, Milano 1944. Di taglio giornalistico, ma non privi di interessanti informazioni, sono infine S. Lepri - F. Arbitrio - G. Cultrera, Informazione e potere in un secolo di storia italiana. L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini, Firenze 1999 e R. Canosa, La voce del duce. L’Agenzia Stefani: l’arma segreta di Mussolini, Milano 2002.