Manlio Rossi-Doria
Manlio Rossi-Doria è stato un economista ‘sui generis’, una delle poche figure del 20° sec. che sono riuscite a coniugare lo sguardo analitico con l’impianto interdisciplinare, l’impegno pratico e politico con la speculazione teorica. Durante la seconda metà del Novecento, egli è stato uno dei protagonisti dell’azione meridionalistica e ha contribuito in modo significativo ad approfondire gli studi sul Mezzogiorno nonché a modificare gli indirizzi delle ricerche di economia agraria, promuovendo un felice dialogo tra discipline diverse (l’agronomia, l’economia, l’urbanistica, la sociologia e così via).
Manlio Rossi-Doria nasce a Roma il 25 maggio 1905. Compiuti gli studi liceali, nel 1924 si iscrive al corso di scienze agrarie dell’Istituto superiore di agricoltura di Portici: la scelta, già consapevolmente politica, è quella di dedicare il proprio impegno al mondo agricolo e al Mezzogiorno. Gli anni di Portici, come studente prima, come borsista dell’Osservatorio di economia e politica agraria poi, sono quelli in cui il suo spontaneo antifascismo si precisa sino a sfociare nell’adesione al Partito comunista. Nel 1930 è arrestato per attività sovversive e condannato a quindici anni di carcere; torna in libertà vigilata nel 1935 e inizia un’intensissima collaborazione alla rivista «Bonifica e colonizzazione».
Matura frattanto un suo graduale distacco dal Partito comunista, da cui viene espulso tra il 1938 e il 1939. Nel giugno del 1940 è nuovamente arrestato e inviato al confino in Basilicata, dove si avvicina ai movimenti di Giustizia e libertà. Liberato alla caduta del fascismo, torna a Roma dedicandosi all’attività politica. Durante il primo convegno, clandestino, del Partito d’Azione (settembre 1943) è eletto nel comitato esecutivo del partito. Dopo l’8 settembre è attivo nella resistenza romana, ma a novembre viene arrestato e rinchiuso a Regina coeli; di lì riuscirà a evadere nel maggio successivo e a partecipare alle prime attività del nuovo Stato democratico in formazione.
Dal 1944 al 1947 è commissario straordinario dell’Istituto nazionale di economia agraria (INEA), mentre nel 1946 è coordinatore della Sottocommissione per l’agricoltura della Commissione economica del Ministero per la Costituente. Abbandonata la militanza politica, nel 1948 vince il concorso a cattedra alla facoltà di Portici. Nel biennio 1948-49 è membro del Consiglio di amministrazione della SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), mentre dal 1949, per due anni, è consigliere di Sudindustria.
Dal 1948 al 1952 è consulente dell’Opera Sila, per le bonifiche e la riforma agraria in Calabria. Nel 1959 fonda, a Portici, il Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno. Nel 1960 (fino al 1980), entra nuovamente nel Consiglio di amministrazione della SVIMEZ e, cinque anni dopo, in quello della Cassa per il Mezzogiorno; carica da cui si dimette nel 1968, quando è eletto senatore del Partito socialista per il collegio di Sant’Angelo dei Lombardi. Vi viene rieletto nel 1972, ma nel 1976 per ragioni di salute è costretto ad abbandonare la vita politica attiva. Nel 1981 diviene presidente dell’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia. Muore a Roma il 5 giugno 1988.
L’esperienza presso la Scuola d’Agricoltura di Portici fu decisiva per la formazione culturale di Rossi-Doria. A contatto con la scuola di Italo Giglioli, docente di chimica agraria, Celso Ulpiani, docente di chimica generale, Giuseppe Cuboni, botanico, Filippo Silvestri, entomologo, e influenzato dall’insegnamento positivistico di Oreste Bordiga, il giovane Rossi-Doria approfondì sia la tematica della bonifica integrale e delle inchieste agrarie, studiando Arrigo Serpieri e Ghino Valenti, sia quella della questione meridionale, leggendo e rileggendo le riflessioni di Eugenio Azimonti, Guido Dorso, Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini (L. Musella, Meridionalismo. Percorsi e realtà di un’idea (1885-1944), 2005, pp. 121 e segg.).
Ai fini della tesi di laurea dal titolo La storia delle uve passe, svolta presso Gaetano Briganti, professore di arboricoltura, Rossi-Doria ebbe l’occasione di consultare un’ampia letteratura scientifica fatta giungere a Portici, o depositata presso la fornitissima biblioteca dell’Istituto internazionale di agricoltura di Villa Borghese a Roma. Conclusi gli studi universitari e conseguita la laurea nel luglio 1928, partecipò poi con Umberto Zanotti Bianco anche un’indagine sulle condizioni economico-sociali di Africo, in provincia di Reggio Calabria.
A contatto con la miseria di quelle aree del Mezzogiorno, maturò la militanza comunista. L’adesione al marxismo e l’iscrizione al Partito comunista nel 1929 avvennero in un’ottica che era, al tempo stesso, meridionalista e antifascista. Arrestato nel 1930 per attività sovversiva, in carcere intensificò le letture, che spaziarono dai testi di Benedetto Croce a quelli di Luigi Einaudi, a meridionalisti come Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, ad alcuni economisti keynesiani.
Riacquisita, grazie a due amnistie, una parziale libertà nel 1935, Rossi-Doria iniziò un’intensa attività redazionale e scientifica con la rivista «Bonifica e colonizzazione», fondata, con il suo apporto, da Giovanni Volpe. Vi approfondì le politiche relative alla bonifica, sia secondo l’impostazione cara a Serpieri, sia aprendo il punto di vista alle esperienze in corso negli altri Paesi, negli Stati Uniti come in Germania e in Unione Sovietica. Si occupò anche di temi come la sistemazione del suolo, il rapporto tra allevamento, coltivazioni e fertilizzazione, evidenziando una sensibilità per la storia del legame esistente tra l’uomo e l’habitat circostante, sviluppata grazie alla lettura degli studi di Gino Passerini, professore in idraulica e difesa del suolo, e Augusto Alfani, esperto in conservazione del suolo (M. Rossi-Doria, La polpa e l’osso. Agricoltura risorse naturali e ambiente, 2005, pp. 141 e 236). I saggi dedicati all’agricoltura americana e alle politiche del New Deal promosse negli Stati Uniti dopo la crisi del 1929, infine, costituirono uno dei veicoli della penetrazione in Italia della cultura rooseveltiana (De Benedictis 1990, pp. 277 e segg.). Una selezione di tali saggi apparve successivamente in Note di economia e politica agraria (1949, 19922).
Durante il confino in Basilicata contribuì alle discussioni che portarono alla proposta federalista del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Tra i suoi interlocutori più importanti, in quella fase, vi furono Eugenio Colorni, Leone Ginzburg, Ugo La Malfa.
Quando nel 1944 venne poi nominato commissario straordinario dell’INEA a Roma, s’impegnò da un lato a fare un bilancio del lavoro già svolto dall’Istituto, dall’altro a rilanciare gli studi e riattivare la partecipazione degli esperti ai lavori dell’Istituto. Propose, per es., il decentramento della struttura dell’INEA, con gli Osservatori di economia agraria legati alle agricolture regionali; l’indagine sulla distribuzione della proprietà fondiaria in Italia; la pubblicazione della «Rivista di economia agraria»; l’indagine sui contratti agrari; la ripresa degli studi monografici e zonali sulle strutture economico-agrarie.
Al convegno organizzato dal Partito d’Azione a Bari il 3 dicembre 1944, Rossi-Doria presentò una relazione sulla struttura del Mezzogiorno e le sue prospettive, generalmente considerata dalla storiografia una sorta di atto rifondatore del meridionalismo. La prima novità rispetto al dibattito sulla questione meridionale fu l’affermazione che tale questione era prima di tutto un problema nazionale. Non vi era, in secondo luogo, un unico Mezzogiorno agricolo, ma molte realtà agricole, che presentavano ordinamenti, strutture, tendenze aziendali e rendimenti colturali diversi. Era tuttavia possibile ricondurre quelle molteplici differenze a due grandi realtà: il Mezzogiorno «nudo», con l’agricoltura estensiva, a economia cerealicolo-pastorale, differenziato a sua volta in zone con aziende medie e grandi di tipo capitalistico alternate ad aree con precarie imprese contadine piccole e medie; il Mezzogiorno alberato, ad agricoltura intensiva, con economia viticola, olivicola e ortofrutticola.
Nel Mezzogiorno nudo, in particolare, si assisteva alla persistenza di un sistema, quello latifondistico, che rappresentava da un lato un funzionale adattamento dell’azienda agraria a un difficile ambiente naturale (per la scarsità d’acqua, il terreno argilloso ecc.), dall’altro un arretrato e incivile sistema di rapporti economici e sociali (M. Rossi-Doria, Scritti sul Mezzogiorno, 1982, ried. 2003, pp. 54 e segg.). Il «circolo chiuso della miseria» che tale sistema alimentava, poteva essere spezzato non con un moto violento dei contadini, ma solo affrontando, con l’intervento dello Stato e con la collaborazione di tutte le forze progressive della nazione, il problema politico e tecnico della riforma agraria. Una riforma che – per l’aspetto fondiario – Rossi-Doria immaginava orientata prevalentemente nelle zone latifondistiche, rispettosa della piccola e media proprietà, onde adeguare le linee tecniche dell’intervento alle differenze interne all’agricoltura e al mondo contadino. La riforma avrebbe dovuto dare vita a nuovi equilibri sociali e territoriali, con la stabilizzazione della manodopera, la creazione di cooperative e di organi tecnici di assistenza, il ripristino della fertilità dei terreni tramite la combinazione dell’allevamento e dell’agricoltura, l’ampliamento delle opportunità di lavoro grazie alle bonifiche.
Convinto che il protezionismo industriale di fine Ottocento fosse stato una delle cause principali della crisi dell’agricoltura meridionale, insieme a una folta schiera di economisti (Mario Bandini, Alessandro Brizi, Giuseppe Medici), Rossi-Doria fu favorevole alla liberalizzazione delle relazioni commerciali italiane, contro l’autarchia e i nazionalismi economici. Egli riteneva tuttavia altrettanto indispensabile per la ricostruzione economica mantenere in vita alcune strutture valorizzate o istituite dal regime fascista, come l’Opera nazionale combattenti, o l’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano, e recuperare al nuovo regime democratico alcuni dei tecnici che avevano collaborato con Benito Mussolini. Nel dialogare con gli esperti impiegati dal fascismo (tra i quali Serpieri ed Eliseo Jandolo), egli ricercò un punto di incontro tra la cultura politica antifascista e quella tecnocratica modernizzatrice formatasi nel periodo liberale e appunto valorizzata dal regime autoritario di Mussolini.
Si trattava, in altre parole, di trarre la legislazione e l’esperienza della bonifica integrale, espressione di una complessa concezione del territorio, dal contesto illiberale del fascismo e di proiettarla nel nuovo regime democratico in formazione, agevolando la transizione e la continuità di saperi scientifici formatisi dalla fine dell’Ottocento, inserendoli, allo stesso tempo, nel dibattito culturale e scientifico internazionale della seconda metà del Novecento. Ad alcune di quelle figure, tra l’altro, avrebbe dedicato una serie di circostanziati ricordi storici (in Gli uomini e la storia. Ricordi di contemporanei, 1990).
Con la formazione del governo Parri dopo la liberazione del Paese nell’aprile 1945, Rossi-Doria seguì da vicino le diverse iniziative prese dalla Federterra CGIL, dai partiti di sinistra e da alcuni settori della Democrazia cristiana per una celere riforma agraria. Collaborò in particolare con il governo Parri allo studio della riforma dei contratti agrari (mezzadria e colonia parziaria), che andavano ridefiniti, secondo il suo pensiero, su base territoriale, col pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali.
Nella Commissione economica del Ministero per la Costituente, presieduta dall’economista Giovanni Demaria, Rossi-Doria – coordinatore della Sottocommissione per l’agricoltura – intervistò insieme a Giuseppe Medici i diversi tecnici agrari e responsabili del settore, tra i quali Jandolo, Serpieri, Aldo Ramadoro, Carlo Petrocchi, oltre a esponenti delle organizzazioni degli interessi, fornendo così ai costituenti un ampio rapporto sulle posizioni esistenti in merito alla riforma agraria, alle bonifiche, agli equilibri tra montagna e pianura, ai contratti agrari, alle prospettive del Mezzogiorno.
Presentatosi senza successo alle elezioni del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente nella lista meridionalista Il Galletto, capeggiata da Dorso, Rossi-Doria partecipò alle discussioni tecniche preparatorie del testo costituzionale. Gli fu chiesto, in particolare, di formulare proposte di articoli costituzionali in materia di agricoltura, sul rapporto tra Stato, proprietà, terra e lavoro. I quattro articoli, presentati nell’agosto del 1946, diedero forma alle relazioni che Rossi-Doria immaginava di individuare tra l’ordinamento dello Stato e la struttura economico-sociale del Paese. Tali articoli si ispiravano alla più larga possibilità di intervento da parte del potere governativo, all’insegna di una Costituzione immaginata elastica, e prefiguravano anche un’idea fondamentalmente interventista, non lassista, dello Stato (Bernardi 2010, pp. 96-108).
Con il lancio del Piano Marshall (ERP, European Recovery Program) il 5 giugno 1947, Rossi-Doria divenne in poco tempo un interlocutore privilegiato dell’amministrazione americana guidata da Harry S. Truman, coinvolta finanziariamente nella realizzazione della riforma agraria e in programmi di assistenza tecnica. Nel contesto delle relazioni internazionali avviate verso la guerra fredda, Rossi-Doria considerò il Piano Marshall una fonte eccezionale per finanziare una politica di investimenti agricoli e industriali nel Sud e guardò quindi all’iniziativa dell’amministrazione Truman con estremo interesse, condividendo le molteplici istanze portate avanti dagli Stati Uniti – che tramite un programma quadriennale di aiuti economici si proponevano di incrementare contestualmente produzione, produttività, occupazione, consumi e di rafforzare il progetto di costruzione dell’Europa.
Dopo la definitiva crisi del Partito d’azione, divenuto professore a Portici nel 1948, Rossi-Doria guardò al Partito socialista italiano come all’unica forza riformista della sinistra italiana, che potesse sviluppare, anche dall’opposizione, una politica economica di governo, capace di sfruttare gli aiuti del Piano Marshall senza cadere in logiche bipolari e dicotomiche. La politica ‘frontista’ decisa dal PSI e dal PCI per le elezioni del 18 aprile 1948 rese quel progetto politico irrealizzabile, spingendolo ad abbandonare la militanza attiva e a dedicarsi pienamente alla «politica del mestiere», a «mettere – come scrisse in una lettera a Salvemini del 1° marzo – una pietra sull’altra nella speranza di avviare qualche bonifica seria» (in Una vita per il Sud. Dialoghi epistolari (1944-1987), 2011, p. 23; D’Antone 1999).
Dialogando e collaborando con gli esperti della SVIMEZ (Giangiacomo Dell’Angelo, Alessandro Molinari, Pasquale Saraceno), oltre che con alcuni economisti agrari (come Friedrich Vöchting), Rossi-Doria fece suoi i concetti di area depressa e di piano di sviluppo, applicandoli al Mezzogiorno.
Primo motore di un ampio piano di trasformazione economico-sociale dell’Italia doveva essere lo Stato, secondo la convinzione che anche il Mezzogiorno fosse dotato delle risorse naturali e umane necessarie allo sviluppo economico, ma con un attento controllo sulle diverse fasi della spesa pubblica: si doveva cioè evitare la dispersione dei mezzi e delle attività; studiare la convenienza e le specifiche difficoltà delle iniziative; evitare l’intrusione di soggetti disonesti, realizzando un’attenta selezione degli uomini; bilanciare infine l’attività statale con quella privata, rifiutando di concedere finanziamenti generalizzati e sostenendo selettivamente solo quelle attività economiche capaci di restare sul mercato dopo l’intervento pubblico.
Una corporation per il Sud, attingendo alle competenze tecniche della SVIMEZ e del Comitato per le bonifiche del Ministero dell’agricoltura, avrebbe potuto, secondo Rossi-Doria, concentrare e canalizzare gli investimenti derivanti dai fondi ERP in quattro grandi comprensori (Tavoliere delle Puglie, Metaponto, bassa Valle del Neto, piana di Catania) e su alcuni gruppi di iniziative (come la colonizzazione contadina). L’obiettivo stimato era di triplicare la popolazione insediata in questi comprensori, cioè portare allo stabile insediamento, oltre che della popolazione esistente, di altre trecentomila persone nello spazio di una decina di anni, con un incremento di produzione molto cospicuo. Il comitato, inoltre, avrebbe dovuto destinare una parte dei fondi del Piano Marshall anche a zone meno dotate di risorse naturali e di infrastrutture, ove vi sarebbe stato un più lento sviluppo civile, agricolo e industriale e per le quali si ipotizzava l’attivazione di forme di credito di esercizio e di miglioramento agrario.
I piani regionali in corso di studio presso la SVIMEZ, non avrebbero dovuto dunque essere focalizzati in modo esclusivo sull’industria: per alcune zone del Sud, come la Basilicata, la trasformazione agraria e fondiaria era un prerequisito necessario dell’industrializzazione. Restava tuttavia fermo che qualunque sforzo di potenziamento economico dovesse essere accompagnato da una ripresa organizzata dell’emigrazione (Bernardi 2010, p. 146; Misiani 2010, pp. 418-23).
Alla luce di queste linee, nel 1948 Rossi-Doria ritenne irrealizzabile una riforma agraria generale – entrando in aperta polemica con Ruggero Grieco, esponente del PCI – definita il «gatto nero» che spaventava tutti gli attori economici dell’agricoltura italiana. Si impegnò, viceversa, in numerose indagini, condotte sul terreno, per preparare i piani di sviluppo e di trasformazione fondiaria della Sila in Calabria e del Metapontino in Lucania, per cui s’ispirò anche all’esperienza americana del Columbia basin e collaborò strettamente con tecnici come Nallo Mazzocchi Alemanni.
La riforma agraria in Calabria varata dal VI governo De Gasperi (legge del 12 maggio 1950, nr. 230) fu da lui promossa come risposta a un forte squilibrio tra risorse naturali, sistema della proprietà fondiaria, densità demografica e disoccupazione bracciantile; squilibrio che alimentava un diffuso malcontento contadino. Ancora prima dei fatti di Melissa dell’ottobre 1949 (quando tre contadini che occupavano terreni di proprietà della famiglia Berlingieri perirono per l’intervento della polizia), Rossi-Doria insieme a Gilberto Marselli, Giulio Leone e Paolo Buri s’impegnarono in articolate misurazioni catastali e territoriali nella Sila, che consentirono, anche grazie all’uso dell’aerofotogrammetria, di avere una precisa conoscenza del sistema fondiario, colturale e orografico del comprensorio.
Nel biennio 1950-51, quale consulente dell’Opera Sila, seguì da vicino tutte le operazioni della riforma: individuazione delle zone di esproprio, quantificazione degli oneri dei proprietari espropriandi, articolazione delle relazioni con le cooperative, programmazione dell’assistenza tecnica ai contadini e così via.
Nel settembre del 1951 ebbe modo di recarsi, per la prima volta, negli Stati Uniti, ove partecipò, con una relazione sulla riforma agraria italiana, alla World conference on land reform e visitò le grandi opere della Tennessee valley authority, entrando così in contatto con numerosi economisti stranieri e ampliando le proprie conoscenze in materia di pianificazione rurale (Manlio Rossi-Doria negli Stati Uniti, 2010).
Tornato in Italia, si allontanò progressivamente dall’attività della riforma agraria, che più volte, negli anni successivi, ebbe modo di apprezzare per la rivoluzionarietà rispetto alla stasi economico-sociale delle aree latifondistiche meridionali e, allo stesso tempo, di criticare per la pesantezza burocratica degli enti di riforma e per la mancanza di una politica per la produttività agricola nel Sud.
Con i viaggi in Messico e Brasile, seguiti dalla ricerca comunitaria sul paese calabrese Scandale, passando per l’incontro con l’ex presidente Truman nel 1956 fino a giungere alla raccolta di scritti Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno (1958, 20042), si chiuse per Rossi-Doria una fase della sua vita professionale e scientifica, segnata da nuovi interessi e dall’esperienza all’Università di Berkeley, che lo portò a rivedere profondamente l’insegnamento serpieriano (M. De Benedictis, introduzione a M. Rossi-Doria, Un paese di Calabria, 2007, pp. 7-37).
Grazie alla rete scientifica costruita negli Stati Uniti, con la Fondazione Ford e l’Università di Berkeley prima e poi con la Fondazione Rockefeller, nel 1959 fondò, a Portici, con il contributo della Cassa per il Mezzogiorno, il Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno, attivando molteplici programmi di scambi culturali tra Italia e Stati Uniti. Dopo quella data, i suoi interessi si aprirono alle metodologie delle scienze sociali, dalla sociologia all’antropologia, con l’occhio sempre fisso al problema dell’arretratezza e allo sviluppo economico e civile dell’Italia. Tanto i programmi del Centro di Portici quanto i suoi specifici interessi di studio furono sempre più caratterizzati da un’apertura interdisciplinare, concentrati non solo sul momento teorico delle indagini, quanto sulla ricaduta pratica in termini di politiche di riforma.
All’inizio degli anni Sessanta, Rossi-Doria rappresentava, politicamente, una figura di sintesi, crocevia di più correnti culturali, in grado di dialogare costruttivamente con i cattolici progressisti, di dare spessore tecnico al meridionalismo nella relazione tra socialisti e democristiani, di confrontarsi con i comunisti. I suoi referenti politici si collocavano nell’area socialista (Antonio Giolitti, Pietro Nenni, Francesco De Martino), ma non mancavano amicizie e relazioni politiche e culturali con figure cattoliche della Democrazia cristiana (tra le quali Mario Bandini, Emilio Colombo, Giuseppe Medici, Giulio Pastore e Antonio Segni), del Partito liberale (Leonardo Albertini oltre a Francesco Compagna), del Partito comunista italiano (Emilio Sereni e Giorgio Amendola su tutti), oltre ai rapporti mantenuti con gli ex azionisti, da Norberto Bobbio a Leo Valiani a Ernesto Rossi. È anche alla luce di questa propensione politica, riflesso della sua interdisciplinarità, che guardò con favore e interesse ai governi di centro-sinistra, che avrebbero potuto, soprattutto grazie alla programmazione, correggere gli squilibri economici Nord-Sud, contrastare i monopoli, dare efficienza alle politiche agricole.
Da consigliere della Cassa per il Mezzogiorno (1965), Rossi-Doria partecipò attivamente all’azione e al dibattito meridionalistici, insieme a Michele Cifarelli, Compagna, Nino Novacco, Gabriele Pescatore, Pastore, Saraceno. Rispetto a quest’ultimo, che riteneva necessaria un’azione industrializzatrice, a livello nazionale, tramite le partecipazioni statali, Rossi-Doria preferiva un intervento statale programmato su base regionale e differenziato territorialmente (Misiani 2010, pp. 554-55).
Oltre a lavorare al Rapporto sulla Federconsorzi per la Commissione sulla concorrenza (1963), nel corso degli anni Sessanta i suoi interessi di ricerca si rivolsero a un ampio ventaglio di tematiche: l’analisi dell’esodo rurale e dell’emigrazione, l’evoluzione delle diverse realtà territoriali dell’agricoltura italiana, la questione degli affitti agrari, i complessi problemi della difesa del suolo. Anche nel vivo del dibattito meridionalistico, Rossi-Doria non sviluppò una compiuta teoria economica, rifiutando giudizi globali, sempre interessato ai fatti non in generale, ma nel particolare, visti in ognuna di quelle singole ‘Italie agricole’ nelle quali di fatto si scomponeva il Paese. In quest’ottica, partecipò attivamente agli studi per il Piano regionale per la Campania, il Piano di sviluppo economico della Lucania, l’Analisi zonale dell’agricoltura italiana, la Carta per l’utilizzazione del suolo in Basilicata.
Dal momento in cui fu eletto senatore per il Partito socialista, nel 1968, Rossi-Doria seguì attentamente quattro grandi questioni, intrecciate tra di loro: le politiche agricole dell’Europa e i loro effetti sul Mezzogiorno; l’emigrazione; le politiche della Cassa per il Mezzogiorno; la difesa del suolo e lo sviluppo di energie alternative al nucleare. È un’Italia, quella che Rossi-Doria vede in quegli anni, che cambia profondamente, ma che continua a manifestare forti squilibri nella modernizzazione avviata dopo la fine della guerra, come appare nelle riflessioni inserite nel volume Scritti sul Mezzogiorno (1982, 20032).
Se la produzione agricola meridionale, dal secondo dopoguerra alla metà degli anni Settanta, era raddoppiata, essa appariva largamente concentrata nelle aree pianeggianti e irrigue («la polpa»): da ciò ne discendeva l’acuirsi di squilibri e differenziazioni territoriali, soprattutto a danno delle aree interne («l’osso») che né la Cassa per il Mezzogiorno, né la politica regionale dell’Europa (Fondo europeo di sviluppo regionale) riuscivano a contrastare, imponendo quella continuità tra sviluppo agricolo e industriale che nelle analisi di Rossi-Doria costituiva l’unica via per superare la crisi economica internazionale e collocare su nuove basi l’economia meridionale nel contesto europeo. Il pensiero di Rossi-Doria si esplicitò in quegli anni attraverso una parallela attenzione verso le teorie economiche sul dualismo Nord-Sud, come per le variabili extraeconomiche, che potevano avere grande importanza nei processi di sviluppo.
L’emigrazione e la crisi del mondo contadino erano l’altra faccia di quello stesso processo. Rossi-Doria collaborò con partiti, organizzazioni sindacali e associazioni assistenziali (come l’ANIMI, Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno in Italia, e l’UNLA, Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo), per cercare di organizzare l’emigrazione meridionale, i cui costi sociali per la civiltà contadina, come rilevato efficacemente anche dall’amico Nuto Revelli in Il mondo dei vinti: testimonianze di vita contadina (1977), erano stati elevatissimi. Uno dei processi essenziali da mettere in moto per contrastare tale disgregazione, secondo Rossi-Doria, era «rivitalizzare» le campagne attraverso iniziative di ricostruzione dell’agricoltura contadina, nel quadro di un’economia mista decentrata agricolo-industriale (Misiani 2010, p. 578).
Nel contesto della liberalizzazione degli scambi, Rossi-Doria continuò a considerare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica indispensabili ai fini della crescita della produttività economica e della modernizzazione del Paese, ma esse dovevano essere in grado di inserirsi in un contesto di disordinata industrializzazione e urbanizzazione. La scelta nuclearista avanzata dal governo Andreotti nel 1977 fu da lui ritenuta antieconomica e rischiosa, perché avrebbe potuto rendere irreversibili e dannosi per il territorio e per la salute umana gli squilibri già accumulati con il ‘miracolo economico’. Si poteva invece fare ricorso più convenientemente, secondo Rossi-Doria, alle fonti energetiche alternative, endotermica e solare, cui era stata prestata scarsa attenzione nella ricerca scientifica.
Il sisma che colpì l’Irpinia, il 23 novembre 1980, lo vide di nuovo impegnato nelle fasi di valutazione dei danni e di programmazione della ricostruzione, con una tempestiva monografia, preparata nel giro di poche settimane insieme ai collaboratori del Centro di Portici. Nel 1981, assunse la presidenza dell’ANIMI e vi rilanciò la collana Collezione di studi meridionali, in una logica di continuità ideale e culturale con la «vecchia» collana fondata da Umberto Zanotti Bianco, per continuare ad alimentare il dibattito meridionalistico. Tra i volumi messi in cantiere e pubblicati nel giro di pochi anni figurano il carteggio di Salvemini, l’epistolario di Amendola e il carteggio di Zanotti Bianco (G. Pescosolido, Cento anni di attività dell’Animi e la questione meridionale oggi, 2011). Negli ultimi anni iniziò anche a scrivere l’importante autobiografia, La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905-1934, pubblicata postuma (1991).
Riforma agraria e azione meridionalista, Bologna 1948, riedito con introduzione di G. Fabiani, Napoli 20032.
Note di economia e politica agraria, Roma 1949, riedito con introduzione di G. Barbero, Bologna 19922.
Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno, Bari 1958, riedito con introduzione di F. De Stefano, Napoli 20042.
Rapporto sulla Federconsorzi, Bari 1963, riedito con introduzione di R. Fanfani, Napoli 20032.
Scritti sul Mezzogiorno, Torino 1982, riedito con introduzione di A. Graziani, Napoli 20032.
Gli uomini e la storia. Ricordi di contemporanei, a cura di P. Bevilacqua, Roma-Bari 1990.
La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905-1934, Bologna 1991.
La polpa e l’osso. Agricoltura risorse naturali e ambiente, a cura di M. Gorgoni, Napoli 2005.
Un paese di Calabria, a cura di M. De Benedictis, Napoli 2007.
Una vita per il sud. Dialoghi epistolari (1944-1987), a cura di E. Bernardi, Roma 2011.
M. De Benedictis, Manlio Rossi-Doria, «Belfagor», 31 maggio 1990, 3, pp. 273-92.
Rossi-Doria ed il Mezzogiorno, Atti della Giornata di studio, Portici 1989, Napoli 1990.
Manlio Rossi-Doria e la Basilicata: il Mezzogiorno difficile, Atti del Convegno, Matera-Avigliano 1989, Milano 1992.
L. D’Antone, Manlio Rossi-Doria e “la politica del mestiere”, «Meridiana», 1999, 32, pp. 207-32.
Manlio Rossi-Doria e le trasformazioni del Mezzogiorno d’Italia, a cura di M. De Benedictis, F. De Filippis, Manduria-Bari-Roma 1999.
G. Galasso, Il Mezzogiorno da ‘questione’ a ‘problema aperto’, Manduria-Bari-Roma 2005.
E. Bernardi, Riforme e democrazia. Manlio Rossi-Doria dal fascismo al centro-sinistra, Soveria Mannelli 2010.
S. Misiani, Manlio Rossi-Doria. Un riformatore del Novecento, Soveria Mannelli 2010.
Manlio Rossi-Doria negli Stati Uniti, 1951-1952, a cura di E. Bernardi, «QA», 2010, 2, pp. 6-83.