MANNHEIM (A. T., 53-54-55)
Città della Germania, posta alla confluenza del Neckar col Reno a 95 m. s. m. Sin dal sec. XVII la città ebbe la sua pianta stradale formata a scacchiera da 136 isolati di pianta quadrata, ciascuno denominato con lettere e cifre (da A a K a ovest della Breite Strasse e da L a U a est), aventi per centro il Marktplatz e strade parallele. Mannheim è diventata il punto terminale dei grandi piroscafi e il maggior porto fluviale della Germania dopo Duisburg-Ruhrort, quando ha avuto inizio (1827) la navigazione regolare del Reno con battelli a vapore. La città ha tratto anche profitto dall'istituzione dell'unione doganale e dalla felice posizione rispetto alla rete ferroviaria (1840: costruzione della linea Mannheim-Heidelberg), per mezzo della quale (oltre che con i battelli di piccolo pescaggio) le merci sono avviate verso tutta la Germania di SO. Posta nella Germania occidentale, 60 km. a sud di Francoforte, 620 km. dalla foce del Reno, al limite meridionale del distretto industriale renano, tra Odenwald e Haardt, di contro a Ludwigshafen, che appartiene alla Baviera, Mannheim è ora la 24ª città della Germania subito dopo Königsberg e Stettino, e la prima del Baden.
Il territorio della città odierna, dopo le ultime aggregazioni di 5 comuni avvenute nell'ottobre 1930, si estende su un'area di 143,70 kmq., allungata nella direzione del fiume; di essi 13,9 sono occupati da case e officine, 19,1 da boschi e 72,4 sono coltivati. Gli abitanti, che erano 25 mila nel 1855 e 61 mila nel 1885, sono poi aumentati a 206.049 nel 1910, 247.486 nel 1925 e 273.299 nel giugno 1933; entro il vecchio nucleo, recinto dalle strade ricavate sulle vecchie fortificazioni e aventi un andamento semicircolare (Kaiserring, Friedrichsring, Luisenring, Parkring), ne abitano 55 mila, gli altri per la massima parte sulla destra del Neckar. Nel commercio è occupato il 30% delle persone attive e it 50% nell'industria (23,5% in quella metallurgica); le fabbriche chimiche sì sono localizzate a Rheinau (presso i bacini meridionali), quelle metallurgiche a Neckarau. I primi bacini del forte vennero scavati nella penisola di confluenza nel 1840 e ingranditi una prima volta nel 1875 e una seconda nel 1900. M. scambiava nell'anteguerra in media 7,3 milioni di tonn. di merci, cifra di poco superiore a quella del 1927-28. Tra le merci importate le principali sono carbone, petrolio, grano, semi oleosi, tabacco, legno, caffe, coloniali. Perduto il monopolio quale punto terminale della navigazione dopo i lavori (1892) che hanno permesso ai piroscafi di risalire il Reno fino a Strasburgo, Kehl e Basilea, si è accentuata la sua importanza come centro industriale (cantieri navali, officine ferroviarie, fabbriche di cavi, macchine agricole, motori, strumenti elettrici e poi industria chimica, mulini, lavorazione di iuta e di cellulosa), in modo che la vita economica è diventata sempre più complessa (sede di banche, di sindacati, ecc.), tanto da chiedere anche l'ausilio giornaliero di molti operai del contado.
Monumenti. - La città deve il suo attuale aspetto ai francesi Froimont e Pigage (sec. XVIII) e al fiammingo P. van Verschaffelt (circa il 1800). Il palazzo granducale, iniziato nel 1720 dal Froimont nello stile proprio ai palazzi francesi, fu compiuto dal Bibiena e dal Pigage nel 1760. Il ricco arredamento interno - particolarmente notevole quello della biblioteca e della cappella - è dovuto principalmente a G. D. Asam e a P. Egell. Tra le chiese del secolo XVII meritano di essere menzionate la chiesa dei gesuiti, S. Ignazio (1733-60), opera del Bibiena, del Pigage e del Verschaffelt. Tra gli edifici profani ricordiamo la Kaufhaus di P. Egell con decorazione in stile rococò e l'arsenale del Verschaffelt (1778), tra i monumenti la cosiddetta piramide del Grudel Mercato, opera di van den Branden. Nel castello sono state riordinate le collezioni di antichità; la Kunsthalle municipale, costruita (1907) da H. Billinger, ha una notevole galleria di pittura con importanti opere dei secoli XIX e XX.
Vita culturale. - Fondamentale importanza per la storia dell'opera in Germania ebbe Mannheim sotto Carlo Teodoro (1743-78): l'opera italiana vi resistette vigorosamente agli influssi francesi: Mozart vi soggiornò nel 1777-78. Nel 1778, con l'avvento di W.H. Dalberg all'intendenza teatrale, s'iniziò un periodo di storica importanza nel teatro di prosa: fu, dopo l'esperienza di Amburgo legata al nome di Lòessing, il primo tentativo di una compagnia stabile: la recitazione ricevette unità di stile con orientamento naturalistico; Shakespeare fu portato sulla scena; e anche i Räuber di Schiller ebbero a Mannheim la prima rappresentazione. Divenuta nell'età moderna città soprattutto industriale, sede - oltreché di scuole di commercio - anche di una fiorente scuola d'ingegneria, Mannheim raggiunse nuovamente importanza nazionale nel campo dell'arte. alla fine del sec. XIX, con una Scuola di architettura, tipica rappresentante del gusto borghese dell'età guglielmina.
Storia. - Ricordata la prima volta come villaggio di pescatori e di agricoltori, nel 766, e ancora con appena 800 ab. alla fine del sec. XVI, M. acquista importanza a partire dal 1606, quando Federico IV elettore palatino fonda la città, che si popola di protestanti fuggiaschi dai Paesi Bassi e vi costruisce un forte castello, Friedrichsburg, a causa del quale la città ben cinque volte fu presa nel corso della guerra dei Trent'anni. Nel 1688 il Mélas la conquistò per Luigi XIV, l'anno appresso fu incendiata. Ricostruita 10 anni dopo dall'elettore G. Guglielmo, acquistò importanza da quando l'elettore Carlo Filippo vi trasportò la residenza da Heidelberg (1720) facendone la capitale del Palatinato. Fu abbellita particolarmente da Carlo Teodoro. Nel 1794 cadde in mano dei Francesi, ma fu ripresa dagli Austriaci. Nel 1803 venne assegnata al granducato di Baden. Nel 1819 vi venne assassinato A. v. Kotzebue; i moti del 1849 vi raggiunsero una certa gravità.
Bibl.: F. Walter, Geschichte M.'s, voll. 2, 1907; W. Tuckermann, Mannheim-Ludwigshafen, in Beiträge zur oberrhein. Landeskunde, Breslavia 1929, pp. 153-74; H. Fränkel, Das Mannheimer Stadtbild einst u. jetzt, Mannheim 1925; E. Busse, Mannheim, Mannheim 1927.
La scuola di Mannheim.
Sotto questo nome viene designata una scuola musicale, già nota a S. Arteaga, che fu fondata intorno alla metà del Settecento da J. Stamitz (1717-1757), nato in Boemia, e da F.X. Richter (1709-1789), nato in Moravia; ai quali si aggiunse I. Holzbauer (1711-1783), nato a Vienna. Essa, secondo H. Riemann, avrebbe prodotta la rivoluzione stilistica (nella musica strumentale) che G. Adler, insieme a K. Horwitz e K. Riedelr, attribuisce invece a G. M. Monn (1717-1750) di gran lunga meno geniale dello Stamitz. F. Torrefranca la rivendica, invece, alla scuola italiana - in genere - dell'impressionismo ritmico e del drammatismo; e, in particolare, a G. B. Sammartini (1701-1775) per la musica sinfonica, a G. Platti (1690?-1762), a B. Galuppi (1706-1782), a D. Alberti (1717-1740) e agli altri cembalisti della scuola veneziana per la Sonata, e, di recente, ancora al Galuppi, a G. Tartini, a T. Giordani e ad altri per il quartetto.
Lo Stamitz, del resto, è il solo compositore della scuola che possa dirsi geniale e il suo stile incontrò sul principio, in Germania, viva resistenza: trionfancdo poi a Parigi e a Londra, centri attivi d'italianismo musicale. Come si vede, i musicisti italiani sono tutti più vecchi dei rivali di Mannheim e di Vienna: semplice osservazione cronologica che già parla in favore della tesi italiana, dato che di un'influenza germanica in Italia non è il caso di discutere benché l'idea sia stata avanzata da L. Torchi. Inoltre è da notare che elementi del nuovo stile già appaiono in A. Vivaldi, P. Locatelli, F. M. Veracini e in C. Tessarini, tutti appartenenti alla venerazione nata intorno al 1690 e, come lo stesso Riemann ha dovuto ammettere, anche nei trii di G. B. Pergolesi, morto a 26 anni nel 1736. La coniinuità della produzione, e il perfetto concatenarsi delle azioni e reazioni stilistiche in tutto il corso del Settecento, parlano anch'esse in favore degl'italiani. Unico ostacolo alla perfetta dimostrazione della tesi italiana è l'incredibile scarsezza di date relative alle varie musiche: conservateci, per la massima parte, o in manoscritti non datati o in stampe tardive. Lo stesso Riemann è costretto a confessare che, nei seguaci tedeschi la maniera di Mannheim si af "osciò presto (schnell verflachte). Anche per questo l'idea che persino L. Boccherini sia da contare tra i seguaci di Mannheim è insostenibile; e tale appare a qualche storico tedesco moderno. Oggi si ammette, nella stessa Germania, che anche J. Schobert (il quale non ha affatto creato la Sonata per cembalo con accompagnamento di archi) dipenda soltanto indirettamente da Mannheim, mentre J. Haydn e K. Ditters v. Dittersdorf ne sono lontani. Le particolarità stilistiche che dovrebbero rappresentare le conquiste di questa rivoluzione musicale consisterebbero, secondo il Riemann, nell''arte di creare vivaci contrasti di espressione, ravvicinandoli in breve spazio; dunque: contrasti di temi fra loro, di forte e di piano, di maggiore e minore, ecc. Persino nello stesso tema si può avere un contrasto fra proposta e risposta. Ma questi contrasti sono, secondo alcuni storici tedeschi, assai meno energici di quelli della scuola di Mannheim, e, aggiungiamo, della scuola italiana (G. G. Cambini, L. Boccherini, M. Clementi) la quale passa dal contrasto fra elementi graziosi ed elementi patetici (contrasto che Ch. Burney trova ancora vivo a Venezia nel 1770: the Passages well contrasted; sometimes the graceful, sometimes the patetic prevailed) a quelli tra elementi graziosi o scherzosi o decorativi o affermativi ed elementi nettamente drammatici, già usati nella prima metà del secolo dai sonatisti italiani. Altre particolarità consisterebbero nell'uso del crescendo, ottenuto con spostamenti graduali (sequenze o progressioni) di brevi spunti, e in una singolare abbondanza di fioriture violinistiche. Ma del crescendo di Mannheim (attribuito, del resto, da C. F. G. Schubart e da G. I. Vogler a N. Jommelli) si hanno esempî che ne indicano italiana la tradizione: dalla sinfonia del S. Guglilmo d'Aquitana, ultimo lavoro di Conservatorio del Pergolesi (1731), a quelle della Galatea dell'Alberti (circa 1738) e del Filosofo di campagna del Galuppi (1754). E la tradizione continua. Difatti il Burney, nel 1770, ci lascia la preziosa osservazione che è data l'impetuosità del loro genio, è uso comune che i compositori napolitani comincino un movimento con stile sobrio e mite e mettano l'orchestra in fiamme prima che il pezzo sia terminato" e non sente affatto il bisogno di richiamarsi, in questo, all'esempio dei Mannheimer, a lui ben noto. Nella stessa musica strumentale un diminuendo è chiaramente voluto in un concerto inedito del Vivaldi (morto nel 1743) (indicato con p-più p-pp) e i crescendo s'incontrano più e più volte negli Allegro, e la stessa mancanza di ogni esplicita indicazione dinamica è conferma, com'è naturale, di una pratica ormai ben nota. Crescendo e diminuendo, del resto, rispondevano "ad un antico desiderio dei cembalisti" come prova l'invenzione dello svizzero Burkhard Shudy (o Tschudi) commentata dalla Salzburger Zeitung il 6 agosto 1765 e come prova l'impossibilità di eseguire in modo cembalistico sul pianoforte i lavori dei veneziani. Questi lavori debbono dirsi pensati per un astratto strumento di piena cantabilità più che per il cembalo però sono vicini alla dinamica dello strumento ideale dell'epoca: l'orchestra, e, per essa, il violino. Una conferma ci è data dalle indicazioni dinamiche di un manoscritto contenente Sonate di Domenico Scarlatti, conservato a Montecassino. Nessun dubbio, invece, esiste circa la perfezione tecnica dell'orchestra di Mannheim: causa prima del successo della scuola. Essa spinse, ben presto, altre orchestre germaniche a imitarne lo stile. Ma anche in questo l'orchestra di Stoccarda, diretta da Niccolò Jommelli, fu celebrata come inarrivabile. Connesse con quella dello Stamitz sono le posizioni storiche di C. Ph. I. Bach e di G. C. Wagenseil considerato oggi, da taluni, il capo della scuola preclassica viennese. Ma dell'italianismo - persino eccessivo - del Wagenseil si accorsero bene i contemporanei, come J. A. Hiller; e noi non possiamo fare altro che confermarne il giudizio.