DONATI, Manno
Appartenente alla famosa e nobile famiglia fiorentina, il D. nacque probabilmente nella seconda decade del Trecento, da Arpardo ed ebbe un fratello di nome Pazzino.
La prima testimonianza che si riferisce a lui è del 9 maggio 1342, quando egli accompagnò il signore di Firenze, Gualtieri di Brienne, duca d'Atene, presso l' esercito fiorentino inviato in soccorso di Lucca, allora assediata dai Pisani. Alla fine del medesimo anno, il 30 dicembre, il D., insieme con Corso di Amerigo Donati, fece appello al duca di Atene e ai suoi giudici contro una sentenza emessa ai loro danni dal Comune di Firenze. Ma già nell'estate seguente il D. aveva voltato le spalle al sempre più impopolare e tirannico duca di Atene, mettendosi alla testa di una delle tre fazioni di nobili o popolani fiorentini che cospiravano contro Gualtieri di Brienne. Dopo l'espulsione del duca nell'agosto del 1343 il D. fu sorteggiato come uno dei nuovi priori che dovevano assumere l'ufficio il 1ºsettembre; ma i popolani si opposero alla sua nomina e provocarono disordini e proteste, cosicché il D. non riuscì ad entrare in carica. Nel dicembre dello stesso anno il D. e suo fratello Pazzino con altri nobili fiorentini furono per un breve periodo imprigionati dal nuovo regime popolare.
Qualche tempo dopo il D. abbandonò Firenze per recarsi a Padova, dove entrò come capitano al servizio di Francesco il Vecchio da Carrara, signore della città. Nel febbraio 1354 il D. comandava uno squadrone di 200 cavalieri, che da Padova si portò in aiuto di Cangrande [II] Della Scala, cacciato da Verona dal fratellastro Fregnano, che pretendeva per sé la signoria della città. Il 15 maggio del medesimo anno il D., insieme con Nascimbene Grompo, fu inviato da Francesco il Vecchio e da Giacomino da Carrara, suo zio, nel Trentino per pacificare la città di Levico. Quando nella primavera del 1356 Sicco da Caldonazzo agli ordini del marchese di Brandeburgo mise a sacco la Val Sugana, allora controllata dal signore di Padova, il D. e un altro capitano furono inviati ancora una volta nel Trentino per mettere fine alle depredazioni di Sicco e per rinforzare le truppe padovane che già operavano nella zona. A missione compiuta essi ritornarono a Padova.
Nell'estate del 1357 il D. passò al servizio di Firenze come capo di una compagnia di 700 barbute di buona gente e di 800 balestrieri, e fu inviato in Romagna per ingaggiare battaglia con la Grande Compagnia, allora al servizio di Bernabò Visconti. Ma i mercenari furono allontanati dal legato papale a Cesena, Egidio (Gil) Albornoz, che il 10 ag. 1357 concluse con loro un trattato, di cui fu testimone il D.: nessuna battaglia, quindi, ebbe luogo quell'estate. L'estate seguente la Grande Compagnia, diretta a Perugia, chiese il permesso di passare attraverso la Toscana. Il D. fu allora uno dei cinque ambasciatori fiorentini inviati alla Compagnia per respingere la richiesta. Ma giunti in Romagna gli ambasciatori fiorentini, il D. incluso, si videro praticamente presi in ostaggio dai capi della Compagnia, il conte di Lando e Amerigo del Cavalletto. Finalmente rilasciati a Imola, ritornarono in patria avendo fallito la loro missione.
Nel 1361 il D. e suo fratello Pazzino furono di nuovo banditi dalla Signoria di Firenze e subito ritornarono al servizio del signore di Padova. Insieme con Bartolomeo Piacentini il D. rappresentò Francesco il Vecchio da Carrara a Ferrara il 16 apr. 1362 in un trattato con gli Este, i Della Scala di Verona e la lega papale diretto contro Bernabò Visconti. Il 25 Ottobre del medesimo anno il D. figurò come testimone in un atto di Francesco il Vecchio che concedeva la cittadinanza padovana e l'esenzione dalle tasse a tutti i forestieri che fossero venuti a Padova per lavorare nelle varie occupazioni relative all'arte della lana.
Nell'estate del 1364, all'inizio della guerra contro Pisa, il D. entrò di nuovo al servizio di Firenze e il suo coraggio e la sua capacità di comando nella battaglia di Cascina permisero all'esercito fiorentino di sconfiggere i Pisani. Nell'agosto del 1364 Francesco il Vecchio strinse un'alleanza con il patriarca di Aquileia, diretta contro il duca d'Austria, e quando scoppiò la guerra affidò al D. il comando dell'esercito padovano, che, con gli alleati, assediò e conquistò la roccaforte di Spilimbergo nel Friuli. Compiute queste imprese, il D. fu richiamato a Padova. Lì, il 9 dic. 1366, egli fu uno dei testimoni nella reggia dei Carrara, quando Francesco il Vecchio ricevette un grosso dono da parte di Francesco, detto Checco Leone. Nel medesimo mese di dicembre la seconda figlia di Francesco da Carrara, Gigliola, sposò a Padova Venceslao, duca di Sassonia, e in quest'occasione il D. fu fra i vincitori dei tornei disputati nel gennaio 1367 per celebrare le nozze.
Secondo le parole di un cronista, nell'estate del 1370 i Fiorentini "feciono capitano messer Manno Donato da Firenze, e diedonli VI cento lance, e mandaronlo in Lombardia addosso a Bernabò, ed e' cavalcò a Bologna, e a Reggio" (Cronichetta d'incerto, p. 196). Alla battaglia di Reggio nell'agosto 1370 il D. e il suo esercito sconfissero le forze del Visconti ed egli allora si ritirò a Modena e forse a Padova.
Secondo parecchie fonti, il D. morì subito dopo questa vittoria esausto dalle fatiche della battaglia. Tre fonti collocano la sua morte alla fine dell'agosto 1370: la Cronichetta d'incerto (p. 198), una lettera di Lombardo Della Seta da Padova al Petrarca in Arquà e un'iscrizione sulla tomba del D. nella chiesa di S. Antonio di Padova, con l'epitaffio scritto dallo stesso Petrarca, dove si legge la data "MCCCLXX augusti ultimo" (Wilkins, 1978, pp. 175-78, 180). Ci sono però molte testimonianze che fanno pensare chè il D. non morisse nell'agosto del 1370, come suggeriscono queste fonti. Il poeta minore fiorentino Francesco di Bivigliano degli Alberti afferma che quando egli fu battezzato a Padova nel 1371 il Petrarca, Tommaso Del Garbo e il D. furono suoi padrini (cit. in Zardo, pp. 286-91). Dal cronista padovano Gatari, di solito attendibile, il D. è ricordato tra i ventisei uomini presenti a un consiglio di guerra convocato da Francesco il Vecchio da Carrara nel luglio 1372 (Gatari, p. 63). Insieme con il fratello Pazzino il D. è registrato anche come vivo nel prospetto fiorentino delle tasse per il giugno 1375 (cfr. Wilkins, Petrarch and M.D., ed. 1978, p. 181), anche se sembra verosimile che egli sia morto l'anno precedente. Infatti, nel manoscritto Strozzi 305, XXXVII, dell'Arch. di Stato di Firenze, all'anno 1374, Pazzino, fratello del D., è ricordato come "tutore di Manno del quondam messer Manno d'Arpardo Donati". Infine il 19 maggio 1375 il cancelliere fiorentino Coluccio Salutati in una lettera indirizzata a Gregorio XI, in risposta alle critiche del papa contro Firenze, accusata di non fare abbastanza per la causa papale in Italia, citava l'esempio della morte eroica del D. mentre combatteva per la Santa Madre Chiesa contro i Visconti signori di Milano (Witt, p.97). Il riferimento potrebbe essere alla battaglia di Reggio nell'agosto del 1370, ma l'espressione "contra Mediolanenses dominos" suggerisce che il D. sia morto combattendo contro Bernabò e Galeazzo II Visconti, in guerra con il papa soltanto dopo il 1373. La data precisa della morte del D. rimane un mistero, ma l'anno più probabile è il 1374. La voce della sua morte nel 1370 nacque probabilmente da una sincope da cui il D. fu colpito, dello stesso tipo di quella che colpi il Petrarca stesso nell aprile del 1370 a Ferrara, quando per trenta ore il grande poeta giacque nell'incoscienza e fu creduto morto.
Non si conosce il nome della moglie del D., dalla quale egli ebbe due figli: l'una, Sarazzina, nel 1381 sposò Jacopo di Guido Alberto Conti, e l'altro, chiamato Manno come il padre, fu educato dallo zio Pazzino a Padova e fu al servizio di Francesco Novello da Carrara, come capitano, nell'ultimo periodo della signoria carrarese nei primi anni del Quattrocento. Il palazzo Donati a Padova si trovava in contrada S. Agnese.
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