Mano
La mano, ultimo segmento dell'arto superiore, è un'unità funzionale costituita da polso, palma e dita. Il polso, o carpo, è formato da otto ossa, quattro prossimali (scafoide, semilunare, piramidale e pisiforme) e quattro distali (trapezio, trapezoide, grande osso e uncinato). Queste ultime si articolano con le cinque ossa del metacarpo formando la palma della mano; distalmente, le ossa del metacarpo si articolano con le falangi, le ossa delle dita. Per quattro dita le falangi sono tre: prossimale, media e distale; mentre il pollice ne ha solo due: prossimale e distale (v. il capitolo Arti superiori, Mano). Fin dagli albori della civiltà, la mano è sempre stata considerata, da una parte, come l'elemento caratterizzante la condizione privilegiata dell'uomo e, dall'altra, come il mezzo più immediato per esprimere la sua creatività. In campo artistico gli atteggiamenti della mano costituiscono un vero e proprio linguaggio denso di significati, che è stato codificato, pur con notevoli varianti, nel corso dei secoli.
di Rosadele Cicchetti
l. Funzione
La mano è un meccanismo molto complesso, composto di muscoli, tendini, ossa e fibre nervose altamente sensibili, capace di compiere con estrema precisione moltissime operazioni diverse: anche il semplice atto di prendere una penna coinvolge una serie di muscoli e tendini che va dalla spalla ai polpastrelli. Per questo nella parte del cervello destinata a regolare l'azione dei muscoli, la zona più vasta è riservata alle mani. Il segmento più evoluto della mano è il pollice, che grazie alla sua posizione, alle articolazioni e ai forti muscoli di cui è dotato può congiungersi, in opposizione, con tutte le altre dita. L'abilità e la precisione, che fanno della mano umana uno strumento unico e raffinato, sono dovute ai 19 muscoli raggruppati nelle regioni del pollice e del mignolo e distribuiti nella parte media della palma. Tutti gli altri muscoli necessari per il movimento delle altre dita sono situati nell'avambraccio e agiscono a distanza grazie all'azione dei tendini, che si comportano come cavi di trasmissione: infatti, se i muscoli fossero inseriti direttamente sulle ossa delle dita, queste sarebbero goffe e incapaci di compiere movimenti delicati e fini. Per l'uomo le mani rappresentano anche un impareggiabile strumento di sensazioni e di espressione. L'attività gestuale, infatti, svolge un ruolo di notevole rilievo nella comunicazione, in quanto può sottolineare, e in alcune particolari situazioni addirittura sostituire, la comunicazione verbale.
2.
Gli arti dei Vertebrati terrestri (Anfibi, Rettili, Mammiferi e Uccelli), detti Tetrapodi perché hanno quattro arti, sembrano a prima vista molto diversi dalle pinne dei Pesci; tuttavia, nonostante la maggiore complessità dei primi, i due tipi di strutture sono correlabili nella loro struttura generale, motivo per cui si pensa che gli arti dei Vertebrati terrestri derivino dalle pinne pari di alcuni Pesci ossei. Gli arti dei Tetrapodi sono tutti costituiti da tre segmenti principali, che in direzione prossimodistale vengono denominati stilopodio, zeugopodio e autopodio. Durante l'evoluzione dei Vertebrati terrestri, gli arti hanno subito varie trasformazioni, fino a pervenire all'assetto definitivo che, già presente nei Rettili più moderni, ha raggiunto nei Mammiferi la massima perfezione per assicurare la locomozione terrestre. Il terzo segmento dell'arto (mano e piede, rispettivamente, nell'arto anteriore e nell'arto posteriore) è quello che nel corso del tempo si è maggiormente modificato per consentire prima gli adattamenti alla vita sulla terra e nell'aria e poi un ritorno alla vita acquatica. I fossili dei Tetrapodi più antichi mostrano da sei a otto dita, forse per la più recente derivazione dai raggi delle pinne, ma successivamente gli arti pentadattili divennero dominanti. Nel polso di una mano pentadattila di tipo generalizzato, il carpo era costituito da dodici elementi disposti su tre file: tre elementi prossimali (radiale, intermedio e ulnare, che nei Mammiferi prendono il nome rispettivamente di scafoide, semilunare e piramidale), quattro elementi nella regione centrale e cinque in quella distale. Nel corso dell'evoluzione le modificazioni strutturali dello scheletro del terzo segmento dell'arto anteriore hanno comportato, con qualche eccezione, la riduzione numerica delle ossa, come conseguenza di fusioni e riduzioni. I tre elementi prossimali persistono nella maggioranza dei casi, mentre i centrali sono quasi sempre ridotti; anche nei Rettili più primitivi non se ne trovano mai più di due e un unico elemento centrale è frequente nei Rettili più moderni e nei Mammiferi. Nella serie distale vi è la tendenza generale alla perdita del quinto carpale, anche quando persiste un quinto dito, e a ulteriori perdite quando vi è una riduzione nel numero delle dita. Nei Rettili e nei Mammiferi, tra gli elementi prossimali si trova un piccolo osso soprannumerario, il pisiforme, che costituisce un punto di inserzione per i tendini di alcuni muscoli dell'avambraccio. Oltre il carpo si trovano il metacarpo e le dita, il cui scheletro osseo è costituito dalle falangi; la falange in molti casi appare profondamente modificata per sostenere artigli, unghie oppure zoccoli.
Negli Uccelli lo scheletro dell'intera mano, che svolge un ruolo molto limitato per la propulsione nel volo, ha subito una drastica riduzione: la perdita e la fusione delle ossa la rendono una struttura rigida e affusolata, con un importante effetto aerodinamico. Molto spesso il primo dito appare assai allungato e consente l'atterraggio e il decollo anche in spazi ristretti. Al contrario degli Uccelli, l'arto anteriore dei Rettili volanti, ormai estinti, e dei Mammiferi volatori, per es. i pipistrelli, costituisce la maggior componente dell'ala. Nei pipistrelli la mano è pentadattila: il pollice è normale e dotato di artigli, mentre lo scheletro delle altre quattro dita è molto sviluppato e fornisce il supporto per la membrana alare. Grazie alla fusione delle dita, nei Vertebrati terrestri ritornati alla vita marina la mano si è trasformata in una specie di pala e, infatti, i pinguini, così come le foche, i trichechi e le tartarughe marine, traggono la spinta per il nuoto esclusivamente dagli arti anteriori. Alcuni Mammiferi sono plantigradi, in quanto poggiano l'intero autopodio sul terreno, e hanno un tipo di locomozione non particolarmente agile. Altri Mammiferi, i digitigradi, sostenendo il peso del corpo solo con gli archi digitali e mantenendo sollevato il resto degli arti, sono in grado di correre più velocemente: ciò consente ai Carnivori di procacciarsi più facilmente il cibo e agli Erbivori di fuggire più rapidamente. La massima modificazione si osserva negli unguligradi, come equini e bovini, che sostengono il peso del corpo camminando anche su un solo dito, mentre tutte le altre articolazioni restano completamente sollevate da terra. In questi casi, oltre alla riduzione delle dita e alla deambulazione sulle unghie di quelle residue, si osserva la trasformazione degli artigli in zoccoli spessi e robusti.
Molti Mammiferi sono in grado di piegare la mano a livello delle articolazioni e possono così trattenere un oggetto tra le due mani. Due zampe convergenti, infatti, equivalgono a una mano prensile, caratteristica della scimmia e dell'uomo, che sono capaci di stringere le dita attorno a un oggetto e di trattenerlo con una sola mano. La mano prensile ha consentito ai Primati arboricoli di utilizzare gli arti anteriori per conferire stabilità al movimento e, nello stesso tempo, per saltare, volteggiare e sospendersi ai rami: l'orango ha dita allungate, falangi ricurve e pollice ridotto per potersi dondolare meglio sui rami, mentre lo scimpanzé e il gorilla camminano poggiando sul terreno le nocche delle mani. La maggior parte dei Primati, inoltre, possiede al posto degli artigli le unghie che, lasciando libera la superficie tattile del dito, consentono una maggiore sensibilità nel manipolare gli oggetti. Nell'evoluzione della mano la tappa più importante è quella che ha portato allo sviluppo di un pollice opponibile, riscontrato pienamente per la prima volta nelle scimmie del Vecchio Mondo (catarrine), nelle quali tuttavia la mano non possiede ancora tutte le capacità funzionali che sono presenti nell'uomo. La comparsa del pollice opponibile ha reso possibile la cosiddetta presa di precisione, che consente di afferrare piccoli oggetti tra pollice e indice, contrapposta alla presa di forza, necessaria, per es., per agitare un bastone oppure per afferrare un sasso.
L'uomo è l'unico primate che cammina abitualmente eretto, anche se un'andatura simile può essere osservata occasionalmente in altri appartenenti all'ordine, che per brevi tratti sono in grado di spostarsi sugli arti posteriori. Quali che siano stati i motivi che hanno avuto un ruolo nel passaggio al bipedalismo (v. arto), è certo che esso ha consentito un uso più diversificato della mano, divenuta uno strumento eccezionale, unico nel mondo dei viventi, proprio grazie alla possibilità di effettuare la presa di precisione, che contempla, oltre alla perfetta opponibilità del pollice, un sofisticato coordinamento nervoso. Per sviluppare la presa di precisione, infatti, entrano in gioco sia fattori periferici, legati alla struttura anatomica della mano, sia fattori centrali, collegati all'organizzazione neocorticale, come l'ampliamento delle aree sensitiva e motoria e di quelle di associazione premotoria e postsensitiva: per es., nella corteccia cerebrale l'area sensitiva alla quale arrivano gli stimoli ricevuti a livello dei polpastrelli appare relativamente molto più estesa delle aree che raccolgono gli stimoli tattili provenienti da altre regioni somatiche. Tra i fattori periferici vanno ricordati: la proporzione esatta tra la lunghezza del pollice e quella delle altre dita, che consente di afferrare gli oggetti piccoli tra le estremità del pollice e dell'indice; la presenza di una muscolatura ben differenziata grazie alla quale ciascun dito è capace di muoversi indipendentemente dalle altre dita; la forma a sella dell'articolazione del polso; la presenza di una ricchissima innervazione sulla palma e sui polpastrelli. Fra l'altro, la sensibilità delle nostre mani è stata utilizzata da alcuni come prova a favore della teoria acquatica, secondo la quale, nel passaggio dalle foreste alle savane, gli Ominidi avrebbero trascorso un lungo periodo nelle acque ricche di cibo: infatti, anche una mano piuttosto rozza è in grado di tenere una pietra oppure un bastone; per sentire il cibo nell'acqua occorre però una mano fine e sensibile.
3.
Nell'uomo, già durante la 4ª settimana di sviluppo embrionale, si può osservare la formazione di due paia di gemme, pettorali e pelviche, da cui avranno origine rispettivamente gli arti superiori e quelli inferiori. Le gemme pettorali si sviluppano tra la regione cervicale e la regione toracica; intorno alla 5ª settimana, esse possiedono già le prime formazioni cartilaginee dell'arto. In seguito (6ª-7ª settimana), l'abbozzo si allunga e si cominciano a distinguere i tre segmenti dell'arto. La mano, che si forma per ultima e ha origine come una paletta, alla 7ª settimana è già distinta dagli altri due segmenti più prossimali. La distinzione fra le dita avviene grazie alla morte delle cellule tra le cartilagini delle falangi. All'8ª settimana, i modelli cartilaginei dell'arto sono tutti ben formati e comincia l'ossificazione endocondrale, mentre le ossa distali del carpo permangono cartilaginee ancora a lungo. Durante il 3° e il 4° mese di sviluppo del feto si configurano i dermatoglifi, rilievi presenti sulla pelle della palma della mano e delle dita. Tali rilievi, che formano spire, volute e archi, sono determinati geneticamente, così che non esistono due persone con dermatoglifi perfettamente identici (v. impronte digitali).
(Red.)
La mano può essere sede di anomalie e malformazioni; lesioni traumatiche, termiche, infiammatorie; patologie deformanti, vasomotorie e tumorali. Le anomalie e le malformazioni possono interessare la mano in toto (aplasia totale, o ectrochiria; aplasia parziale, o emimelia longitudinale; mano torta congenita) o solo, e più frequentemente, le dita (aumento del numero, o polidattilia; assenza totale o parziale di uno o più dita, o ectrodattilia; ipoplasia di uno o più dita, o brachidattilia; fusione totale o parziale di uno o più dita, o sindattilia; aumento di volume di uno o più dita, o macrodattilia; deviazione laterale, o clinodattilia; deviazione in senso anteroposteriore, o camptodattilia; aumento in lunghezza delle falangi con abnorme lassità articolare, o aracnodattilia). Le lesioni traumatiche (contusioni, distorsioni, ferite, lussazioni, fratture, amputazioni, mutilazioni) sono molto frequenti a causa delle numerose possibilità lesive alle quali la mano è esposta. Inoltre, sono frequenti lesioni termiche, come ustioni o congelamenti, con formazione di escare, eliminazione di tessuti ed esito in cicatrici retraenti. Lesioni infiammatorie (paterecci, tenosinoviti, flemmoni delle logge del dorso, osteiti, artriti) sono ugualmente frequenti. I germi pervengono alla mano o per via diretta per lesioni anche minime (graffi, punture, escoriazioni ecc.) dei tegumenti e delle parti molli o per via ematica in corso di malattie generali. In quest'ultimo caso si localizzano elettivamente nelle ossa e nelle articolazioni. Patologie deformanti della mano, con più o meno gravi alterazioni funzionali, possono derivare da retrazione dell'aponeurosi palmare (malattia di Dupuytren), da deficit dell'innervazione motrice (paralisi flaccide da lesioni dei tronchi nervosi e paralisi spastiche da lesioni centrali del neurasse) e da squilibri dell'innervazione simpatica con disfunzione vasomotoria (morbo di Raynaud), con quadri clinici differenti che appaiono caratterizzati da atteggiamenti e deficit funzionali particolari. I tumori benigni della mano sono soprattutto rappresentati da papillomi, lipomi, fibromi, angiomi, condromi; quelli maligni da sarcomi e cancri cutanei.
In particolari malattie o situazioni patologiche la mano assume caratteristiche posture. Assume la denominazione di 'mano ad artiglio' una deformazione congenita contraddistinta dalla posizione delle dita, le quali si presentano flesse a uncino; è dovuta ad atrofia o paralisi dei muscoli interossei e lombricali e compare come forma acquisita nelle neuriti del radiale e dell'ulnare, nella sclerosi laterale amiotrofica, nella poliomielite anteriore e nell'atrofia muscolare progressiva mielogena. La 'mano di cadavere' è una mano scarna per atrofia dei muscoli delle eminenze tenar e ipotenar e degli spazi interossei; si osserva nell'atrofia muscolare progressiva mielogena, nella siringomielia, nella sclerosi laterale amiotrofica, nelle nevriti, nei traumi del plesso brachiale. Si chiama 'mano cadente' o 'da cardinale' la mano flessa sull'avambraccio in atteggiamento di semiflessione; è dovuta a paralisi dei muscoli estensori della mano e si riscontra in lesioni del nervo radiale. Nella 'mano di fachiro' le dita sono in flessione forzata sulla palma con penetrazione delle unghie nelle eminenze tenar e ipotenar; è determinata da contratture organiche o funzionali (isterismo). La 'mano da ostetrico' consiste in una deformazione caratterizzata dalla posizione delle dita tese e ravvicinate a cono, con il pollice applicato alla faccia palmare del medio e dell'anulare; è causata da spasmi tonici dei muscoli della mano ed è caratteristica della tetania. Nella 'mano di predicatore' la mano si presenta estesa sull'avambraccio con le prime falangine e le falangette flesse sulle falangi; è imputabile a paralisi dei muscoli flessori della mano e delle dita e si riscontra nella pachimeningite cervicale ipertrofica e nella siringomielia. Prende il nome di 'mano di scimmia' una deformazione in seguito alla quale la mano appare scarna per atrofia dei muscoli interossei e di quelli dell'eminenza tenar e ipotenar con le dita spesso a griffe; si osserva nelle stesse condizioni che sono state elencate per la mano di cadavere. Infine viene denominata 'mano siringomielica' o 'succulenta' una mano edematosa, cianotica e fredda a causa di disturbi vasomotori e trofici (nella siringomielia). Le tecniche chirurgiche e ricostruttive della mano in caso di traumi con perdita di parti o completo distacco hanno raggiunto un notevole livello di successo. La microchirurgia dei nervi e dei vasi interviene efficacemente sui tendini e consente in molti casi, anche caratterizzati da lesioni gravissime, il pieno recupero funzionale. In caso di malformazioni o di mutilazioni, si possono realizzare recuperi funzionali mediante interventi di chirurgia plastica o applicazioni di apparecchi protesici o, nel caso delle mutilazioni, con il reinnesto della parte mutilata o con il trapianto eterologo dell'arto perso.
di Marco Bussagli
Non è certamente un caso che gli uomini del Paleolitico, volendo segnare in qualche modo l'appartenenza dei luoghi, abbiano 'stampato' sulle umide pareti delle caverne l'impronta della propria mano: l'usanza di poggiare la mano sulla parete e di spruzzarvi sopra del pigmento (in genere con la bocca, ma anche con cannucce rudimentali), in modo che togliendo la mano restasse la sua sagoma, appare diffusa dai Pirenei agli Urali e testimonia ampiamente come già allora l'uomo subisse il fascino di questa parte del corpo e la considerasse la caratteristica saliente del proprio 'essere uomo'. E infatti, se si escludono le scimmie e le proscimmie (una volta riunite sotto la definizione comune di quadrumani), la mano non appartiene a nessun altro animale e a ragione può essere giudicata segno distintivo della specie umana. Considerando poi la grande versatilità della mano nel processo di modificazione del mondo circostante da parte dell'uomo, appare evidente la ragione per la quale è stata scelta come primo strumento artistico, o comunque come 'arnese' per lasciare traccia di sé. Doveva essere questa la funzione dei cosiddetti tracciati digitati che compaiono sulle pareti di argilla delle grotte di Gargas e di Rouffignac. In particolare, in quest'ultimo caso, la sequenza dei tracciati digitati su quello che gli studiosi hanno denominato 'soffitto dei serpenti' lascia intravedere degli intenti disegnativi. Gli intrecci creati dalle mani degli uomini di 12.000 anni fa comunicano, ancora oggi, il piacere di lasciare una traccia nella molle parete della caverna (Nougier 1982). Si tratta, probabilmente, del primo gesto creativo che l'uomo abbia fatto e di cui ci sia giunta traccia. In culture e in epoche assai diverse fra loro la mano è stata rivestita di simbologie e di significati connessi in qualche modo all'idea di potenza e di creatività. Sarà appena il caso di ricordare che il termine latino manus nell'accezione del diritto romano significa "potere, potenza, potestà", come testimoniano alcuni termini giuridici, quali manumissio (composto di manus e mitto, "mando") che indica la liberazione dello schiavo dalla presa della mano padronale, cioè la restituzione della libertà, o al contrario mancipium (composto di manus e capio, "prendo") che indica l'acquisto di uno schiavo; da ricordare anche l'espressione manu mancipioque che designa il gesto con il quale il marito legittima sua moglie (Schmitt 1990).
Il medesimo concetto ritorna nella cultura ebraica: infatti il vocabolo iad indica tanto la mano quanto la potenza (per es., Esodo 15, 6: "La tua destra, Yahweh, è illustre per la forza, / la tua destra, Yahweh, frantuma il nemico"). Sia pure con sfumature diverse la mano ricopre, dunque, un valore di 'forza' in senso lato, che poi si concretizza nella sua funzione protettiva e apotropaica, che può essere esemplificata, da una parte, dalle 'manine di Fatima' nella cultura mediorientale, dall'altra, dal cosiddetto gesto delle 'fiche' (costituito dalla delimitazione dello spazio a losanga fra indice e pollice nella contrapposizione delle due mani) che aveva valore scaramantico nell'antica Roma (Fuglesang 1991). La cultura umana riconosce quindi alla mano una profonda carica simbolica, una carica che finisce poi per esplicitarsi nella convinzione che essa abbia il potere di comunicare la propria forza benevola o distruttiva. È questo il motivo per cui il gesto dell'imposizione delle mani, tanto nel Vecchio Testamento (Genesi 48, 14) quanto nel Nuovo (Matteo 19, 25), ha la funzione di benedire o di risanare. In questo secondo caso si può andare dalla guarigione (per es., Luca 4, 40) fino alla completa sconfitta della morte e alla resurrezione (Matteo 9, 18). Ne deriva l'adozione dell'imposizione delle mani in ambito liturgico per attribuire la dignità diaconale (Atti 6, 6) oppure per impartire la cresima. Così, la ripetizione del gesto che era stato prima di Abramo o d'Isacco e poi di Cristo ritorna nell'imitazione dei suoi seguaci con la medesima efficacia. Naturalmente, il modello e l'origine della sua forza simbolica è la mano di Dio, la dextera Domini, della quale il canto dei salmi celebra l'infinita potenza (Schmitt 1990).
La rappresentazione della mano del Signore costituisce una delle iconografie più longeve e meglio documentate della storia dell'arte di matrice cristiana. Uno degli esempi più antichi si trova all'apice del catino absidale della basilica di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna; poi, almeno fino al 13° secolo, l'iconografia della mano di Dio è utilizzata per esprimere, da un lato, l'inconoscibilità diretta della divinità da parte degli uomini, dall'altro, l'immanenza di Dio nella creazione e nella storia (Studer 1983). In genere la mano divina spunta dall'alto, spesso da una nuvola, come è il caso di due opere conservate nel tesoro della cattedrale di Aquisgrana, databili alla fine del 10° secolo: la prima è la bella incisione su lamina d'oro, sul verso della Croce di Lotario, dove la mano del Padre incorona il Figlio martire sulla croce; la seconda è la miniatura con l'apoteosi di Ottone III (ms. senza segnatura, f. 16r), nella quale una mano nimbata e crociata sistema la corona sulla testa dell'imperatore. Nei due esempi la mano divina garantisce che gli avvenimenti narrati dall'illustrazione sono stati voluti direttamente da Dio. L'iconografia del monarca le cui azioni sono ratificate dall'alto dalla mano di Dio appare aggiornata e rivisitata, secoli dopo, nel Napoleone sul trono imperiale, dipinto da J.-A.-D. Ingres nel 1806 e conservato al Musée de l'Armée di Parigi, nel quale Napoleone mostra con orgoglio la 'mano di giustizia': questo monile, in realtà un falso realizzato dall'orafo M.-G. Biennais, era ritenuto erroneamente di Carlo Magno e assolveva la funzione fideiussoria di garantire la giustizia delle azioni del sovrano.
Altre funzioni della mano di Dio sono riscontrabili sulla coperta in avorio databile al 9° secolo e conservata presso il tesoro della cattedrale di Narbona. L'opera mostra al centro una Crocifissione incorniciata da scene cristologiche, fra le quali un'Ascensione, in cui il Cristo circondato dal nimbo è tratto verso il cielo dalla mano di Dio, e una Pentecoste, nella quale dalle dita della mano di Dio fuoriescono raggi luminosi che, scendendo sugli apostoli, infondono loro saggezza e conoscenza. Nell'ultimo esempio, la dextera Domini non solo è espressione della potenza divina ma suggerisce l'idea dell'espansione, attraverso le dita, dell'energia vitale e spirituale di Dio. Infatti è la forma stessa della mano aperta a ventaglio a suggerire l'idea dell'effusione, dell'allargamento e della propagazione all'esterno di un'energia interiore, sia essa umana o divina. Proprio a questo concetto dovette riferirsi L. Lotto quando, nel 1524, dipinse il ciclo degli affreschi dell'oratorio Suardi a Trescore, vicino Bergamo: al centro della parete compare un enorme Cristo, con le braccia allargate, dalle cui dita partono dieci tralci di vite che riempiono completamente lo spazio circostante, nella parte alta della parete piegandosi in volute che contengono figure di santi, splendidi frutti di fede e di cristianità, e sul soffitto intrecciandosi in rami e viticci ritorti, fra i quali puttini industriosi si dedicano alla vendemmia. Nell'affresco il Cristo è chiaramente paragonato a un albero, che raffigura l'albero della vita, e le mani sono i rami che portano ovunque il messaggio di speranza e di gioia proprio del cristianesimo.
La riflessione sulla valenza simbolica della mano di Dio induce a considerare due atteggiamenti caratteristici del linguaggio gestuale cristiano: quello della benedizione e quello dell'adlocutio, che spesso vengono confusi. Per la verità, l'errore non è del tutto ingiustificato dal momento che i due gesti esprimono concetti che, per quanto diversi, sono tuttavia intimamente connessi fra loro, essendo entrambi sostanzialmente legati alla parola e al valore simbolico di questa. Il verbo latino benedicere, che ha il suo corrispettivo ebraico in barak e quello greco in εὐλογεῖν, significa "consacrare con la parola" (dicere bene), facendo riferimento alla fonte di ogni benedizione che è Dio (Fahey 1983). I due modi di atteggiare la mano per la benedizione (quello latino, dove pollice, indice e medio sono tesi, mentre le altre due dita sono piegate all'interno; quello greco dove tesi sono indice, medio e mignolo) traducono in forma figurata un'azione, quella di parlare, che, per la sua stessa natura, diversamente non sarebbe stato possibile trasferire e rendere intelligibile in una scena. Lo stesso accade con il gesto dell'adlocutio romana, quando l'imperatore - per es. Traiano sui rilievi della colonna dedicata alle sue imprese - circondato dai suoi generali si rivolge alle truppe arringandole. In questo caso la mano destra ha l'indice teso e il braccio è piegato (Schmitt 1990). Un identico gesto si ritrova nella catacomba di Priscilla a Roma, dove un profeta, probabilmente Balaam, come indicherebbe la stella sovrastante, si rivolge a Maria con il Bambino in braccio; l'enigmatico personaggio starebbe declamando la profezia nella quale prevede la nascita di Cristo (Numeri 24, 17). Si tratta di una posizione convenzionale che ritorna anche in epoche successive, come dimostra, per es., la scena delle Guardie da Pilato miniata sul Sacramentario di San Gerone (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 817, f. 59v), dove non è difficile rintracciare una sopravvivenza della gestualità classica, ancora viva nei primissimi anni dell'11° secolo: sia Pilato sia la guardia a capo del piccolo drappello hanno il braccio piegato e la mano con l'indice teso, ed è evidente che questo atteggiamento indica che i due stanno parlando. Invece nel Virgilio Vaticano (Vat. lat. 3867), codice realizzato probabilmente intorno al 5° secolo d.C., i personaggi rappresentati nell'atto di parlare (Titiro che saluta Melibeo intento a pascolare le capre, f. 1; Priamo che apostrofa Sinone quando questi lo persuade ad accettare il cavallo come dono dei Greci, f. 101r ecc.) hanno indice e medio tesi, mentre le altre tre dita sono piegate. Lo stesso gesto è diffuso in tutti i codici di produzione tardoantica che contengono testi di autori classici (Vedere i classici 1996). Nell'iconografia cristiana più tarda la mano con l'indice e il medio tesi e le altre dita piegate divenne il terzo modo di significare la benedizione; in alcuni casi, però, come, per es., nelle miniature superstiti della Bibbia di Cotton, prodotta fra la fine del 4° e i primi del 5° secolo e conservata presso la British Library di Londra (cod. Cotton Otho B VI), il gesto suddetto mantenne il primitivo significato di adlocutio. La questione è interessante se si riflette sul fatto che a mantenere invariato il senso di questo atteggiamento è la figura di Cristo il quale, nella sua funzione di Logos, non benedice, ma parla e crea l'universo mondo. Altrimenti non si capirebbe per quale motivo anche gli angeli rappresentati nelle danneggiatissime miniature riprodotte a dimensione monumentale nella cupoletta della Genesi di San Marco a Venezia avrebbero dovuto ripetere la semplice benedizione (Bussagli 1991, pp. 72-80). Successivamente, questa posizione della mano assunse il significato di benedictio, anche se non mancano esempi, pure tardi, in cui si recuperò il senso originario. È il caso di un'illustrazione dell'11° secolo della Psicomachia di Prudenzio (Londra, British Library, ms. Add. 24199, f. 18r) dove la Lussuria 'parla' in questo modo ai soldati, i quali, di conseguenza, gettano le armi. Gli atteggiamenti della mano costituiscono, dunque, un vero e proprio linguaggio denso di significati che è stato codificato, sia pure con vistose varianti, attraverso i secoli (Garnier 1982). Queste considerazioni non sono valide esclusivamente per la cultura occidentale. Basterà ricordare, in questo senso, il complesso codice gestuale messo a punto dalla religiosità buddhista che viene indicato con il termine di mudra, parola sanscrita che significa letteralmente "gesto", ma con la quale si indica il linguaggio delle mani concepito per dar figura ai vari atteggiamenti religiosi. In questo modo, infatti, il fedele ha la possibilità di rendersi immediatamente conto della funzione che ricopre o del messaggio che intende comunicare questa o quella divinità induista, questa o quella figura del Buddha. Così, per es., la mano destra levata, con la palma rivolta in avanti e l'indice e il pollice congiunti a cerchio, compie il gesto della vitarka-mudra, il cui significato è quello dell'argomentazione. La medesima mano abbassata con la palma ancora rivolta in avanti, invece, fa il gesto del dono (varada-mudra), e via via fino a creare un linguaggio delle mani che finisce per combinarsi con quello delle altre parti del corpo, in un'armonia di atteggiamenti sconosciuta, per es., alla cultura occidentale.
Non sempre la gestualità delle mani ha significato positivo. Al di là della ricordata funzione apotropaica che può anche risultare sgradevole (si pensi alle 'corna'), le mani possono anche esprimere gesti osceni (si pensi all'indice teso fra le dita piegate) o genericamente negativi, quali quelli usati nelle rappresentazioni con il Cristo deriso. È questo il significato (minaccioso) dei pugni chiusi nelle opere di H. Bosch con questo soggetto. Altrettanto negative sono le mani aperte nel Cristo deriso del Beato Angelico (Firenze, Museo di S. Marco) e quelle che incrociano gli indici o infilano il pollice in bocca nelle pale alsaziane del 15° secolo che rappresentano la stessa scena. In qualche modo legato alle capacità comunicative delle mani è anche l'utilizzo mnemotecnico che l'uomo ne ha fatto attraverso i secoli, impiegandole tanto per contare e indicare cifre ben superiori alle dieci unità, quanto per suonare e cantare. Si può ricordare, in particolare, la cosiddetta mano guidoniana, così chiamata dal nome di Guido d'Arezzo che sembrerebbe averne promosso l'uso per facilitare l'insegnamento della solmisazione (si trattava dell'applicazione, anche soltanto mnemonica, alle dita della mano del nome delle note da solfeggiare, sulla base delle varie mutazioni del sistema esacordale; Murdoch 1984, pp. 79-82). Ancora, per completare l'universo culturale della mano, non si può non ricordare che in essa l'uomo ha voluto vedere la parte del corpo su cui la natura avrebbe saputo imprimere i segreti sia del destino sia della personalità individuali (v. chiromanzia).
Infine merita un accenno un altro aspetto proprio dei significati e dell'importanza della mano: cioè quello della lateralizzazione del corpo che tende ad attribuire positività o negatività alle due mani e non soltanto a tutto ciò che nel corpo umano giace dalla medesima parte, ma anche, per estensione, a quella determinata parte cui può essere raccordato. Sarà infatti sufficiente riflettere sul fatto che, in italiano, sinonimo di 'incidente' è 'sinistro', mentre in inglese 'diritto' si dice right. Del resto gioverà ricordare che la tradizione cabalistica attribuisce alla mano sinistra di Dio la funzione di giustizia e quindi, inevitabilmente, di punizione, mentre alla destra viene attribuito il carattere misericordioso. L'importanza culturale della mano, dunque, va ben oltre la mera funzione fisica di strumento prensile di cui la natura ha dotato gli uomini, anche se è proprio da questa funzione che scaturiscono tutte le superfetazioni simboliche che, in una maniera o nell'altra, finiscono per riconnettersi alla potenza creatrice insita nella dimensione strettamente anatomica della mano. Probabilmente, per questo motivo, Michelangelo, secondo una recente ipotesi (Calabrese 1993), ha utilizzato la propria mano come modello per rappresentare quella divina nella scena della Separazione delle acque affrescata sulla volta della Cappella Sistina a Roma.
m. bussagli, Storia degli angeli. Racconto di immagini e di idee, Milano, Rusconi, 1991.
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