Oliveira, Manoel de (propr. Manoel Candido Pinto)
Regista cinematografico portoghese, nato a Porto il 12 dicembre 1908. Massimo rappresentante del cinema portoghese ma anche uno dei cineasti europei più prestigiosi e originali, è il creatore di un mondo attraversato da echi letterari, richiami alla storia e alla tradizione culturale lusitana, accensioni melodrammatiche, ironie filosofiche, metafore 'teatrali' che riflettono spesso le ambiguità tra arte e vita, in un rapporto continuo tra la carica simbolica della parola e del dialogo e la densità delle immagini. Proveniente da una famiglia di industriali, abbandonò presto gli studi, iniziati in un collegio dei Gesuiti in Galizia, perché attratto dall'arte cinematografica. Dopo aver recitato in Fátima milagrosa (1928) di Rino Lupo e in A canção de Lisboa (1933) di José Cottinelli Telmo, pur continuando a occuparsi dell'azienda di famiglia, il giovane O. realizzò il documentario Douro, faina fluvial (1931), un suggestivo poema visivo sul lavoro portuale lungo le rive del Douro. In Aniki Bóbó (1942), più che le influenze del Neorealismo, sono la pietà e la crudeltà nella rappresentazione di un'infanzia tradita e illusa a emergere nella storia di disperati amori infantili. Al film fece seguito un lungo periodo di inattività, mentre solo nel 1956 O. ritornò al cinema confermando sia l'attitudine documentaristica (O pintor e a cidade, 1956; O pão, 1959) sia la tendenza all'apologo tra allegoria e realismo come in A caça (1964), dove la furia disperata di due ragazzi durante una battuta di caccia ha un esito tragico e beffardo. Questa fase del lavoro si compendiò in un capolavoro come Acto de primavera (1963), dove la sacra rappresentazione della Passione di Cristo nel villaggio contadino di Curalha racchiude un senso altissimo della trascendenza, continuamente incarnato nella concretezza di volti, corpi, gesti e suoni radicati nella tradizione millenaria della fede popolare. Nonostante gli omaggi tributatigli al Festival di Locarno (1964) e alla Cinémathèque di Parigi (1965), fu solo nel 1972 che O. tornò a dirigere O passado e o presente (Passato e presente), primo film della 'tetralogia degli amori frustrati', una spietata e claustrofobica rappresentazione della borghesia, intesa quasi come 'luogo' metafisico di intrecci tra l'esercizio del potere e la forza dei sentimenti. In Benilde ou a Virgem Mãe (1975), da una pièce di J. Regio, la densità allegorica che pervade un interno familiare allude al mistero di una gravidanza immaginaria; in Amor de perdição (1979), dal romanzo di C. Castelo Branco, la dilatazione ardita dei tempi e dei piani fissi, il peso specifico dei dialoghi come concrezione drammaturgica delle cadenze narrative ottocentesche, il flusso musicale delle sequenze che conservano l'enfasi melodrammatica e sono però 'congelate' nel rigore formale, incastonano la storia di un amore ostacolato dalla rivalità tra due famiglie in una visualità preziosa; con Francisca (1981), da un romanzo di A. Bessa-Luís, si rivela la lucidità intellettuale e formale dello stile di O. in un film che trasporta la 'forma chiusa' della classicità, la potenza strutturale del canone 'romanzesco', la modernità di uno sguardo 'critico' tanto sulla storia e sulle classi sociali quanto su una psicologia femminile, verso un'originalità assoluta di impaginazione filmica, fatta di precisione tersa dell'inquadratura, di gestualità stilizzata, di espansione della durata interna della ripresa, che rende con grande acutezza l'estenuazione decadente, il cinismo, la disperazione e il masochismo dell'amour fou dei protagonisti.
Negli anni Ottanta è seguita una trilogia in cui si è rivelata costante la dialettica formale tra il palcoscenico e lo schermo, laddove l'impianto teatrale fa da perno per uno scavo del linguaggio filmico nelle sue modalità di durata dell'inquadratura, di montaggio interno, di frontalità dei campi e di strutturazione del piano sequenza. Così Le soulier de satin, noto anche come O sapato de cetim (1985) risulta una lunga meditazione su un amore impossibile imbrigliato nei meccanismi fatali della storia; in Mon cas (1986) la metafora del destino umano viene giocata su un palcoscenico, durante la prova di una commedia; mentre in Os canibais (1988; I cannibali) nella cornice di un teatro d'opera, in un intrigo gotico e fantastico, si assiste a una variazione 'crudele' del tema di Don Giovanni.
Nel decennio successivo O. ha conosciuto una seconda giovinezza creativa girando molti film, ogni volta sorprendendo per originalità intellettuale e ricerca linguistica. Da Non, ou a vã glória de mandar (1990; No, o la folle gloria del comando), amara allegoria politica sulla storia del suo Paese, a A divina comédia (1991; La divina commedia), premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, ironica, misteriosa e malinconica variazione su temi esistenziali e religiosi in cui l'atmosfera dostoevskijana si accompagna alle stralunate fantasie degli ospiti di un asilo per alienati. Da una personale rilettura della flaubertiana Madame Bovary in Vale Abraão (1993; La valle del peccato), dove la fluvialità della durata e l'incastro dei temi filosofici immettono in un mondo in cui la natura quasi fordiana del paesaggio e l'interiorità del sentimento si specchiano l'una nell'altra, a O convento (1995; I misteri del convento), un pastiche di temi faustiani e citazioni shakespeariane, in cui risalta soprattutto l'aria arcana e diabolica del labirintico convento dove è ambientato il film. Da Party (1996), quasi un film 'da camera' in cui un'isola e una stanza da pranzo racchiudono i personaggi in una specie di 'luogo magico' dove il gesto casuale, l'allusione diventano l'eco di un mistero non svelato, a Viagem ao princípio do mundo (1997; Viaggio all'inizio del mondo), film pervaso dalla nostalgia per la terra d'origine e in cui un malinconico Marcello Mastroianni diventa il poetico alter ego del regista. Da Inquietude (1998; Inquietudine), un trittico di storie inanellate l'una nell'altra e ambientate in un interno borghese e in teatro, tra ambienti mondani e decadenti e paesaggi contadini solcati dall'eco di antiche leggende, a un film 'giansenista' e cadenzato dentro immagini vivide come La lettre (1999; La lettera) ispirato a La princesse de Cléve di Madame de La Fayette. Da Palavra e utopia (2000; Parola e utopia) sulla figura di un libertario predicatore gesuita del Seicento, Padre Vieira, occasione per ritornare sulla densità simbolica del rapporto visione-parola e sui destini portoghesi legati all'ascesa e alla decadenza delle conquiste d'oltremare, a Vou para casa, noto anche come Je rentre à la maison (2001; Ritorno a casa) dove, coadiuvato da uno splendido Michel Piccoli, O., al meglio della sua grazia sottilmente ironica, compone una variazione sul senso dell'essere attori e sul valore della finzione. Fino a giungere a O princípio da incerteza (2002; Il principio dell'incertezza), enigmatico ritratto di intrecci amorosi, e a Um filme falado (2003; Un film parlato), inquietante monito di fronte alla perdita di identità di un Occidente globalizzato e al ritorno dei fanatismi, attraverso un viaggio nella memoria di tutta la civiltà del Mediterraneo e nel suono di lingue antiche e moderne. Nel 1982 O. ha girato un film 'segreto', destinato per sua espressa volontà a essere proiettato soltanto dopo la sua morte: Visita ou memórias e confissões.
J.A. França, L. de Pina, A. Costa, Introdução à obra de Manoel de Oliveira, Lisboa 1982.
Y. Lardeau, P. Pancelin, J. Parsi, Manoel de Oliveira, Paris 1988.
Manoel de Oliveira, a cura di R. Turigliatto, S. Fina, Torino 1999.
M. Diana, Manoel de Oliveira, Milano 2001.
Manoel de Oliveira, sous la direction de J. Parsi, en collaboration avec S. Fina, R. Turigliatto, Milano 2001.