manomorta
Termine che ha avuto diverse accezioni, riferendosi, nel tempo, alla condizione dei servi della gleba e dei vassalli, derivante dal divieto di disporre dei propri beni; al diritto fiscale che si pagava per liberarsi da questo divieto; al diritto di succedere al vassallo morto senza eredi maschi; ai corpi morali che non pagavano tassa di successione; ai beni di questi enti. Dopo l’affrancazione dei servi della gleba, l’attributo di m. restò soltanto a indicare i beni di quegli enti perpetui, che erano inalienabili e sfuggivano alla tassa di trasferimento per causa di morte. Vi erano varie specie di manomorta. Le più importanti economicamente e storicamente furono l’ecclesiastica e la fiscale, ma esistevano anche la m. feudale e quella derivante da fedecommessi, maiorascati e così via. La m. ecclesiastica nacque quando le comunità cristiane, dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, poterono ricevere eredità per testamento e si accrebbe con le donazioni accumulate nel corso dei secoli dalla Chiesa, che divenne in molti Paesi europei la massima proprietaria di immobili. Quando però essa trascurò le finalità di beneficenza, culto ed educazione per cui aveva ottenuto tale patrimonio, lo Stato lo confiscò, soprattutto dopo la Rivoluzione francese. La m. fiscale nacque mettendo fuori commercio le res publicae e quelle universitatis. In seguito, i beni dello Stato furono distinti in demaniali e patrimoniali: solo questi ultimi si ritennero alienabili con le forme comuni.