MANOMORTA
. Con questa parola s'indicavano un tempo diverse cose: la condizione dei servi della gleba e dei vassalli derivante dal divieto di disporre dei proprî beni; il diritto fiscale che si pagava per liberarsi da questo divieto; il diritto del signore di succedere al vassallo morto senza eredi maschi; i corpi morali che non pagavano tassa di successione; i beni di questi enti. Dopo l'affrancazione dei servi della gleba l'attributo di manomorta restò soltanto per quest'ultima ipotesi e cioè per i beni che, per il fatto di appartenere a enti perpetui, erano inalienabili, sfuggivano alla tassa di trasferimento per causa di morte e si consideravano stretti nella mano di un morto senza la possibilità di uscirne. Vi erano quindi varie specie di manomorte. Le più importanti economicamente e storicamente furono l'ecclesiastica, la fiscale, la feudale e anche quella derivante da fedecommessi, maiorascati, ecc.
La prima cominciò a fomiarsi specie da quando le comunità cristiane, dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, poterono, come i templi pagani, ricevere per testamento. Si sviluppò per effetto dei tanti privilegi accordati a esse in fatto di successione, di testamenti, di legati, di esecutori testamentarî e di prescrizione; e si consolidò con l'estensione ai beni delle chiese delle norme relative all'inalienabilità delle res sacrae e religiosae dei Romani. Incremento ebbe con le disposizioni a favore dell'anima e col divieto delle permute dei beni ecclesiastici emanate da Liutprando e da Astolfo. Le donazioni frequenti di privati e di principi, l'esenzione dai tributi, unite al divieto delle alienazioni, contribuirono a formare della Chiesa la maggiore proprietaria di beni immobili. Finché le rendite di essi furono destinate a scopi d'educazione, istruzione, beneficenza e culto e le terre all'agricoltura, i danni dell'accumulamento non furono rilevati; quando però la Chiesa cominciò a trascurare queste finalità per aspirare al potere politico, si trovò di fronte lo stato, il quale, rilevando il danno delle pubbliche finanze e dell'economia generale, intervenne per limitare gli acquisti degli enti ecclesiastici e privare questi ultimi dei loro privilegi. Cominciò Carlo Magno, seguirono a distanza Federico II e gli Aragonesi di Sicilia, Padova, Modena, Parma, Venezia con disposizioni dirette contro coloro che, possedendo beni nel comune, non vi abitavano, né vi pagavano imposte, cercarono di colpire anche gli enti ecclesiastici. Con espedienti diversi lo stesso scopo cercarono di raggiungere i principi sabaudi e i duchi d'Aosta. La Chiesa reagì, affermando che questi provvedimenti violavano la sua libertà. Nacque così un vivo dibattito nel sec. XIV, che fu ripreso nei secoli XVI e XVII in occasione di una costituzione di Carlo V per Milano. Dopo che la Rivoluzione francese e i governi che seguirono ebbero incorporati i beni ecclesiastici, i governi restaurati si riservarono un controllo sugli acquisti degli enti ecclesiastici, ma soppressero alcuni di questi incorporandone i beni e sottoposero quelli rimasti a una tassa di manomorta.
La manomorta fiscale cominciò a formarsi mettendo fuori commercio le res publicae e quelle universitatis. Quando nell'alto Medioevo si ritenne che il potere regio rappresentasse anche la collettività, si confusero i beni del principe con quelli dello stato. Ciò avvenne soprattutto per opera dei Franchi. Innocenzo III distinse di nuovo questi beni e dichiarò inalienabili quelli demaniali. Il principio fu subito accolto in Italia e fuori. Sancito in una costituzione piemontese del 1770, passò senz'altro in varî codici degli ex-stati italiani e nel codice civile del regno d'Italia (art. 430).
I beni dello stato, distinti così da quelli della corona, furono a loro volta suddistinti in beni demaniali e patrimoniali; di essi solo gli ultimi si ritennero alienabili con le forme comuni. A costituire il patrimonio fiscale contribuirono, oltre le res suddette, anche i beni che affluivano allo stato per la regalia generale del suolo (terre abbandonate, nullius), per confische, eredità vacanti, diritto di albinaggio, bastardaggio e così via.
La manomorta feudale nacque a spese di quella fiscale e cioè con la concessione in feudo di diritti e beni dello stato, col frazionamento dell'autorità pubblica e con l'imposizione più o meno abusiva di tributi e oneri alle popolazioni soggette. Essa si conservò più o meno a lungo a seconda che il feudo fu indivisibile (iure Francorum) o divisibile (iuri Langobardorum). L'abolizione del sistema feudale, iniziatasi col sec. XIX, portò naturalmente all'estinzione di questa manomorta e di tutti i diritti e privilegi che l'avevano alimentata. Le terre un tempo feudali, restarono in parte libera proprietà degli antichi beneficiarî.
La manomorta, costituita con fedecommessi, maiorascati, e via dicendo, trasse origine dal desiderio di conservare i beni nella famiglia e con l'espediente di obbligare il primo chiamato alla successione a conservare i beni per trasmetterli a un secondo chiamato, e così via (v. fedecommesso), secondo la volontà manifestata da colui che aveva imposto tluesta regola di successione. Un vincolo così fatto poneva i beni fuori commercio: perciò fu anch'esso preso di mira e vietato. Prima si cominciò a limitare il numero delle sostituzioni, poi si finì col vietare ogni specie di sostituzione ehe avesse carattere fedecommissario.
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