Manto
Figlia dell'indovino tebano Tiresia, M. fu ella stessa indovina (sarebbe stata assai esperta in piromanzia), e come tale è menzionata nei poemi latini più cari a D.: nell'Eneide (X 198-200) è rapidamente ricordato Ocno, figlio del Tevere e della " fatidicae Mantus ", il quale per ricordo della madre volle appellare Mantova la città da lui fondata; nelle Metamorfosi (VI 157-162) M. è appena nominata in un atto di pietà religiosa, in quanto invita le donne tebane a venerare Latona contro il divieto dell'empia Niobe; ma è soprattutto nel libro IV della Tebaide di Stazio (vv. 463-585; e cfr. anche X 724-725) che M., vergine e intemerata sacerdotessa, è ripetutamente e ampiamente presentata come coadiutrice del padre durante le suppliche alle deità infere e le cerimonie per i vaticini.
D. pone M. nella quarta bolgia del cerchio ottavo (If XX 52-99) tra gl'indovini (e vi è anche Tiresia), dannata pertanto ad avere il capo stravolto, col viso rivolto al dorso. Il poeta prende spunto dalla presentazione dell'indovina per una lunga digressione storico-geografica su Mantova, e narra come M., dopo che il padre suo morì e Tebe cadde in servitù, fosse andata peregrinando per il mondo e giunta infine nel mantovano vi morisse: da lei prese il nome la città di Mantova fondata poi dalle genti lì riunitesi. Notevole è l'avvertimento, dato in tono autoritario, col quale D. fa sì che Virgilio concluda il racconto: Però t'assenno che, se tu mai odi / originar la mia terra altrimenti, / la verità nulla menzogna frodi. Con ciò D. vuole evidentemente escludere con perentorio moto polemico ogni altra versione della fondazione di Mantova; e sulla scia del D'Ovidio (Studi sulla D. C., Palermo 1901, 76-112) vari critici interpretano questa dichiarazione come un tentativo da parte di D. di scagionare Mantova dall'accusa di dovere la propria esistenza a un'indovina (mentre l'intero episodio suonerebbe smentita alla taccia di mago che alcune leggende medievali avvaloravano per Virgilio). Una notizià assai diffusa nel Medioevo, e accolta anche dall'autorevole Isidoro di Siviglia, voleva appunto che la città fosse stata fondata dalla stessa M., laddove Virgilio propriamente attribuisce quella fondazione a Ocno. Sta di fatto che D. ha presente di M. soprattutto i versi dedicatile da Stazio, e che nell'indovina ravvisa colei dalla quale trasse il nome la città di Mantova. Egli si discosta dunque dalla versione virgiliana: più che per l'attribuzione della fondazione di Mantova (in sé e per sé nulla escluderebbe che Ocno fosse tra quanti s'accolsero a quel loco dopo la morte di M.: e tuttavia l'anonimato è già significativo), per il fatto che D. parla di M., stazianamente, come di vergine cruda (per cui cfr. Theb. IV 463), mentre Virgilio la fa madre di Ocno (e alcune chiose medievali dicono altresì Mopso - nome caro alla poesia bucolica - figlio di M. e di Apollo). Su queste varie versioni vedi Boccaccio De Mulieribus claris XXX.
Una delle più complicate e discusse ‛ cruces ' dantesche è offerta da Pg XXII 113: in quell'elenco aggiuntivo di anime dannate al Limbo è ricordata appunto anche M.: èvvi la figlia di Tiresia; e se già l'Ottimo rinvia non al canto quarto bensì al ventesimo dell'Inferno, Benvenuto denunzia esplicitamente la contraddizione: " hic videtur autor contradicere sibi, qui posuit istam ibi inter divinatores, nunc ponit eam inter animas piorum; potest dici breviter quod hic non respicit ad limbum, sed ad carcerem caecum ", spiegazione che però non regge a un'attenta analisi del contesto.
Le soluzioni tentate dalla critica moderna sono anche più insoddisfacenti: si è opinato che la lunga digressione storico-geografica su Mantova sia frutto di una giunta più tarda, e che il poeta avesse dimenticato il precedente rapido cenno di Pg XXII 113; ma l'ipotesi che If XX 52 ss. sia posteriore alla composizione del canto XXII del Purgatorio è priva di ogni fondamento (cfr. " Bull. " XII [1905] 84-85); si è pensato a una possibile omonimia, ed è stata indicata una M. figlia di Ercole (cfr. L. Filomusi Guelfi, Studii su D., Città di Castello 1908): ma non v'è dubbio che l'indovina sia proprio la figlia di Tiresia (cfr., ad esempio, Met. VI 157; Theb. IV 584, X 725, ecc.), appunto nominata in Pg XXII tra altri personaggi staziani, e in Stazio l'unica figlia di Tiresia è M. (inutile perciò pensare ad altre presunte figlie dell'aruspice tebano, quali Dafne o Istoriade). D'altra parte non è lecito supporre che D. non si sia ricordato di aver già menzionato M. tra gl'indovini, considerando l'ampiezza dell'episodio e l'importanza polemica della digressione sulla fondazione di Mantova. I termini del problema sono dunque tali da escludere una soluzione che non lasci margine a dubbi e perplessità. Non rimane che ipotizzare un errore testuale: e il Torraca propose (anziché èvvi la figlia di Tiresia, e Teti) di leggere èvvi la figlia di Nereo, Teti (per il costrutto vedi, ad esempio, Cv I III 4), proposta che venne giudicata favorevolmente dal Parodi (Lingua 376) e ricordata nei più autorevoli commenti recenti (del tutto non persuasiva è invece un'altra congettura èvvi la figlia di Titono e Teti, cioè Pantasilea, in quanto questa, che tra l'altro non è personaggio staziano, è già esplicitamente nominata in If IV 124, e si tratterebbe dunque del caso unico di inutile ripetizione: cfr. " Giorn. d. " XXXV [1932] 137-142; " Studi d. " XIX [1935] 156; e del resto tale genealogia non è neppure sufficientemente documentata). E però assai prudentemente gli editori del '21 e del '65 (notevole l'ampia discussione del Petrocchi, ad l.), pur ammettendo la difficoltà esegetica, non hanno ritenuto d'intervenire congetturalmente lamentando l'inesplicabilità del passaggio da Nereo a Tiresia in sede di trasmissione testuale (e tuttavia non è possibile escludere a priori un lapsus calami dovuto allo stesso autore). L'estensore di questa voce, pur apprezzando le ragioni di tale prudenza, propenderebbe per l'intervento congetturale, proponendo però di leggere èvvi la figlia di Chirone, Teti (secondo una versione elle ebbe una certa diffusione: cfr. le cosiddette Chiose Selmiane all'Inferno, p. 71: " Chiron... fu avolo di Achille "; e Boccaccio Geneal. deorum VII 16 De Tethide minore Nerei filia et matre Achillis: " Hanc dicit Leontius Chyronis fuisse filiam "; è altresì da collegare a questa confusione l'identificazione operata da alcuni mitografi - cfr. Boccaccio op. cit. VIII 9 - di Ochiroe figlia di Chirone in Teti, nonostante Met. II 633-675): mentre appare non arduo ipotizzare uno scambio erroneo Chyrone / Thyresia (la confusione tra c e t essendo frequentissima) facilitato anche dalla maggior notorietà, come personaggio staziano, di M., ne risulterebbe anche più limpidamente scandito il passaggio dai personaggi della Tebaide a quelli dell'Achilleide, e l'accenno implicito agli episodi più importanti di questa seconda opera (cfr. Pg IX 34-39) sarebbe in questo caso anche più pertinente.