MANTOVA
(lat. Mantua)
Città della Lombardia, capoluogo di provincia, situata nella pianura Padana.Le varie fasi della storia insediativa della città sono strettamente legate all'acqua e alle paludi, e proprio tale commistione tra terra e acqua ha marcato in modo sostanziale la struttura morfologica di Mantova. Anche nella testimonianza di Virgilio tale situazione è bene delineata: più volte nelle Bucoliche (7, vv. 12-13) e nelle Georgiche (3, vv. 14-15) si fa riferimento alla dolcezza dei verdi campi, ai canneti che emergono dalla fanghiglia delle sponde e in particolare al Mincius, le cui acque scorrono ampie e flessuose. E certamente il Mincio ha giocato un ruolo di primo piano nella formazione della città; il fiume, infatti, uscendo dal lago di Garda, dopo un primo tratto che corrisponde a quello da Peschiera del Garda (prov. Verona) alle Grazie di Curtatone, si dilata e forma un'ansa che circonda una sorta di penisola su cui si stende la città. Il medio Mincio dunque ha dato origine al lago mantovano, che, a sua volta, è suddiviso in lago Superiore, lago di Mezzo e lago Inferiore.Le vicende urbanistiche della città antica e di quella medievale non sono del tutto definite soprattutto a causa della stratificazione di interventi che nel corso dei secoli hanno profondamente modificato l'assetto urbano. Ma nell'analisi della vicenda urbanistica mantovana hanno anche avuto un peso determinante le affermazioni di Aliprandi (Cronica de Mantua), punto di riferimento fondamentale per i cronisti e gli storici locali fino all'Ottocento. Secondo il cronista mantovano, che scriveva agli inizi del Quattrocento, tre fasi successive avrebbero delineato l'aspetto della città: a suo avviso, l'origine della cerchia più ristretta risalirebbe addirittura al tempo di Manto, l'indovina leggendaria fondatrice della città, mentre il secondo momento sarebbe avvenuto soltanto cento anni più tardi e l'ultimo, che segna i limiti della città rinascimentale, quattrocento anni dopo. In sostanza Aliprandi, per sottolineare l'importanza storica di M., riteneva che l'intero perimetro urbano fosse già definito in epoca romana e non casualmente Gionta (Fioretto delle cronache di Mantova), ancora nel tardo Cinquecento, riproponeva lo stesso quadro complessivo, anche se faceva corrispondere le tre fasi indicate dal cronista mantovano a tre differenti dominazioni susseguitesi fino all'evo antico: gli Etruschi si sarebbero insediati nella prima cerchia, mentre le successive espansioni sarebbero avvenute a opera dei Galli e dei Romani. Solo agli inizi del Novecento gli studi sulla città presero altre direzioni. Il merito spetta a Davari (1903), il quale per la prima volta cercò di delineare la configurazione della città attraverso le indicazioni tratte dall'analisi dei documenti d'archivio. L'indagine dello studioso non puntava dunque sulle dinamiche di espansione ma sulla ricostruzione capillare del tessuto urbano nei secc. 13° e 14°, anche se per i periodi precedenti si limitava dubitativamente ad affermare che verso il Mille la città corrispondeva al primo nucleo intorno all'od. piazza Sordello e che il limite della civitas altomedievale arrivava fino al canale Rio. Solo dopo la metà degli anni Sessanta, con Marani (1966; 1967; 1968; 1969-1970a; 1969-1970b; 1969-1970c; 1973), l'analisi sulla città antica e medievale cominciò a tenere conto dei dati emersi da rinvenimenti archeologici, non condotti sistematicamente ma effettuati in occasione della ristrutturazione di antichi fabbricati della città.Nel 1930 nell'od. via Pomponazzo, a m 100 ca. dal primo limite della civitas indicato da Aliprandi, fu rinvenuto un sepolcreto, che quindi confermava le indicazioni sui limiti della prima cerchia di mura. La scoperta più importante si verificò tuttavia nel 1956, allorché in occasione della demolizione di un edificio situato in via Accademia venne alla luce un tratto rettilineo di un muro (spessore m 2) che sicuramente segnava il limite sul lato sud-ovest del nucleo arroccato attorno all'od. piazza Sordello. In altezza, partendo dalla quota di via Accademia, il muro raggiunge m 12 ed è costituito da tre diversi strati: quello inferiore (m 7 ca.) è a file orizzontali alternate di mattoni e ciottoli, quello mediano di soli ciottoli, mentre l'ultimo (m 2 ca.) è in mattoni e presenta piccole aperture di forma pentagonale. Sulla base del rinvenimento nella zona del seminario Vescovile di murature simili per esecuzione al tratto inferiore di via Accademia, ma di spessore inferiore, e congiungentisi idealmente con quelle in via Accademia all'angolo di via Cavour e di vicolo S. Agnese, Marani (1969-1970a; 1969-1970b) concluse che la città romana avesse la forma di un trapezio e non raggiungesse la superficie di ha 9. Inoltre egli ipotizzò che la sopraelevazione in soli ciottoli individuata in via Accademia appartenesse al periodo longobardo e fosse da mettere in relazione alla funzione antiesarcale della città dopo la sua conquista da parte di Agilulfo nel 603. L'insieme di tali elementi ha infine suggerito l'esistenza di una sostanziale identità tra la città romana e quella medievale, che solo nel periodo comunale - secondo Marani (1968) nel 1190 -, con i lavori di sistemazione idraulica di Alberto Pitentino, avrebbe raggiunto il limite fino al Rio che ancora oggi divide in due parti distinte la città.Per quanto riguarda la configurazione urbana nel periodo altomedievale, solo recentemente sono emersi dati che, seppure frammentari, hanno consentito di avanzare nuove ipotesi. In particolare alcuni scavi iniziati nel 1984 nell'area del seminario, all'interno quindi della civitas vetus, hanno messo in evidenza una serie di strutture che gettano nuova luce sulle fasi originarie dell'episcopio mantovano, la cui esistenza secondo le fonti sarebbe documentata solo a partire dall'827. Il rinvenimento, infatti, di un battistero ottagonale (Marani, 1983a; Tamassia, 1984; Brogiolo, 1986) collegabile a quelli di Grado e, a poca distanza, di un mosaico pavimentale (palazzo Ducale, magazzini), non databile a prima del sec. 5° (Cantino Wataghin, 1990; Bonomi, 1990), sembra confermare la presenza a M., già a partire dal sec. 5°-6°, di un complesso cultuale urbano di notevole importanza.Nonostante le trasformazioni e le distruzioni nel corso dei secoli abbiano profondamente alterato l'antica domus ecclesia mantovana, studi recenti (Marani, 1983a; Tamassia, 1984; Brogiolo, 1986; 1989; 1990; Piva, 1987; 1990a; 1990b; 1992; Calzona, 1991; Ferrari, 1993-1994) hanno permesso di ricostruire anche su basi archeologiche l'insieme di edifici che formavano il complesso episcopale mantovano nei secc. 11° e 12°, al tempo di Anselmo di Lucca (1035 ca.-1086) e di Matilde di Canossa (1046-1115). In particolare si è potuto ipotizzare che sul fianco destro del battistero esistesse, come confermerebbe il rinvenimento del mosaico a disegni subacquei, una chiesa dedicata a s. Speciosa - che predicava contro gli ariani nel sec. 4° -, probabilmente una chiesa battesimale che forse divenne cattedrale nel sec. 11°, quando, secondo la tradizione mantovana, comparve il nome del primo vescovo. A questo periodo infatti risalgono due frammenti di ambone ritrovati nell'area di S. Speciosa oggi al Mus. Diocesano (Bianchino, 1991). Nel 1045, in un atto di donazione del marchese Bonifacio degli Attoni (1012-1052), compare per la prima volta nei documenti mantovani l'esplicita citazione dell'esistenza della chiesa cattedrale, indicata come "Ecclesia canonica S. Petri apostoli et S. Speciose virginis sito Mantue" (Regesto mantovano, 1914, nr. 69). Due documenti di poco posteriori, del 1053 e del 1057, chiariscono inequivocabilmente che si trattava di due edifici distinti (ivi, nrr. 74, 83). Mentre la chiesa di S. Speciosa era quella dei Canonici, S. Pietro era la chiesa cattedrale. Secondo Piva (1987; 1992) il complesso sarebbe stato costruito tra il sec. 8° e il 10° e avrebbe costituito una sorta di cattedrale doppia (Piva, 1990a; 1990b). Tale sistema durò tuttavia pochi anni perché alla fine del sec. 11°, fra il 1057 e il 1086, probabilmente per volontà di Anselmo di Lucca, venne costruita una nuova chiesa, S. Paolo, riservata ai Canonici regolari riformati, purtroppo completamente distrutta nel 1958; si presentava a tre navate con coro profondo, esemplato forse sul modello della canonica patarina di S. Pietro in Computo a Milano, e reinglobava l'antico battistero ottagonale, che nel nuovo edificio coincideva con l'abside maggiore, cui vennero affiancate due absidi minori. La costruzione, di cui sono ancora visibili solo poche tracce di archetti all'interno della casa oggi detta di S. Speciosa, era collegata, sul lato est, alla sala capitolare, disposta secondo il modello monastico perpendicolarmente al coro della chiesa. Si tratta di un ambiente diviso in senso longitudinale da cinque archi retti da quattro colonne, in marmo le centrali, in cotto quelle alle estremità. I capitelli in marmo presentano protomi antropomorfe e sono stati datati al sec. 12° o al 13° (Tamassia, 1990; Calzona, 1991; Piva, 1992). La sala esisteva tuttavia anche in un periodo precedente, come dimostrano sia la presenza nelle fondazioni di sostegni più antichi sia tracce di affreschi (due santi sulla parete ovest e una greca con figure zoomorfe sui lati settentrionale e meridionale) sui muri d'ambito attuali, realizzati con file di mattoni e ciottoli; tali affreschi sono stati datati tra gli inizi e la metà del sec. 11° (Calzona, 1991; Segre Montel, Zuliani, 1991), ma anche posti in relazione alla ricostruzione della chiesa di S. Paolo (Piva, 1987). Recentemente è stato peraltro ipotizzato (Tamassia, 1990) che non solo questa sala, ma l'intero corpo di fabbrica dietro l'od. abside di S. Pietro appartenesse al periodo romanico e avesse dato origine al chiostro dei Canonici, di cui la sala capitolare avrebbe occupato il lato sud, mentre il refettorio avrebbe potuto essere ubicato sul lato est (Piva, 1992).Maggiori elementi risalenti al periodo medievale presenta invece ancora oggi il duomo di S. Pietro, restaurato agli inizi del sec. 15° e radicalmente ristrutturato nel 1545 da Giulio Romano. Secondo Marani (1957) - che ha desunto la struttura dell'edificio dalla descrizione della metà del sec. 16° di Giacomo Daino (De origine), testimone dell'intervento giuliesco, e dall'analisi del sottotetto, in cui ha individuato la presenza di sei finestre e di archetti pensili interrotti da lesene -, l'edificio era a tre navate con sei campate suddivise da pilastri in cotto, forse polilobati o circolari, con intercolumni di m 5 ca. e abside profonda. L'interno era coperto a capriate e nel coro si trovava una larga cripta a oratorio con colonnine marmoree. Secondo lo studioso, l'architetto responsabile della costruzione sarebbe stato un certo Giovanni, detto Pretesso, che in due documenti del 1132 e del 1141 è indicato come colui "qui nunc dat operam ad reficiendam ipsam ecclesiam". Tale ipotesi è stata tuttavia rifiutata e in Giovanni Pretesso è stato identificato l'amministratore incaricato dal Capitolo di seguire i lavori iniziati nel terzo decennio del sec. 12° (Mantova, 1960, p. 80). Piva (1992), inoltre, ha ipotizzato la presenza di un transetto non sporgente, che sarebbe da porre in relazione ai lavori di restauro subìti dall'edificio tra 1130 e 1140, dopo il rientro di Matilde a M. nel 1114. I lavori di trasformazione, che avrebbero cancellato la parte absidale della chiesa del sec. 11°, dove si trovava la cattedra dei vescovi scismatici, consentono a Piva (1992) di individuare il modello della cattedrale di S. Pietro nelle chiese e nelle collegiate rurali dell'area mediopadana, come S. Lorenzo di Pegognaga o S. Pietro a San Polo d'Enza (prov. Reggio Emilia).L'indagine dello studioso ha riproposto all'attenzione anche la presenza nel centro episcopale mantovano di un altro edificio menzionato nei documenti, ma di cui poco si sapeva. Si tratta della chiesa di S. Michele, in cui venne sepolto Bonifacio degli Attoni, probabilmente costruita da Beatrice di Lorena e da Matilde dopo la morte del marchese, in un periodo che, da quanto emerge dalle fonti documentarie, va collocato tra il 1053 e il 1083. L'edificio era ubicato tra S. Paolo e S. Pietro, nei pressi del corridoio che metteva in comunicazione i due edifici prima della costruzione alla fine del sec. 15° della cappella di S. Maria dei Voti o dell'Incoronata, oggi accessibile dal duomo. Sulla base delle tracce di archetti e monofore ancora visibili nella parte di fondo della cappella dell'od. seminario Vescovile e in altre parti oggi non facilmente accessibili, Piva (1992) ha ipotizzato che doveva trattarsi di un edificio di non grandi dimensioni, forse con tre campate di m 44 circa.Per quanto riguarda l'aspetto del suburbium nel periodo altomedievale, indagini recenti (Nicolini, 1974; Suitner, 1974; Tamassia, 1984) hanno confermato quanto riportato dalle fonti e dagli storici mantovani. Nella zona all'esterno della prima cerchia muraria, lungo la strada romana rinvenuta nell'od. via Broletto, non lontano dal Voltone di S. Pietro, antica porta della città, durante la ristrutturazione delle fabbriche monastiche di S. Andrea sono state rinvenute strutture murarie che sembrano appartenere a una fase anteriore al 1037, data proposta dagli studiosi per la fondazione del monastero di S. Andrea (Zerbi, 1966; Marani, 1974). Si tratta di murature con duplici filari di ciottoli alternati a uno di mattoni, legati con abbondanti strati di malta, alle quali si collegano sette pilastri con fondazione in ciottoli, in cui sono stati reimpiegati mattoni romani. Gli elementi fanno pensare a una costruzione anteriore alla fase romanica, che, se da un lato sembra confermare la tradizione dell'esistenza di un antico xenodochium, dall'altro è stata posta in relazione alla realizzazione di un monastero-palazzo dedicato a s. Andrea (Calzona, 1991) dopo la scoperta della reliquia del Sangue di Cristo avvenuta nell'804 (Eginardo, Annales). È dunque attorno a questa importante struttura monastica che ruota l'intera vicenda urbanistica della città nei periodi successivi. Alla metà del sec. 11° appartengono infatti alcuni tratti di muratura in mattoni e ciottoli che sono da collegare alla ricostruzione dell'antica struttura monastica di S. Andrea, avvenuta nel 1049 in occasione di una seconda inventio del Sangue di Cristo.Alla fine del sec. 11° si deve datare l'unico edificio religioso conservato, che fu costruito a pochissima distanza da S. Andrea. Si tratta della chiesa di S. Lorenzo, a pianta circolare (diametro m 21), in cui all'ambulacro inferiore, costituito da dieci colonne, due in marmo, forse di origine romana, e otto in cotto, corrisponde al piano superiore la galleria del matroneo con altrettante colonne in cotto. Sia nell'ambulacro inferiore sia nella galleria si succedono dieci campate trapezoidali con volte a crociera; nelle pareti d'ambito della galleria superiore si presenta una serie di nicchie con una piccola monofora. La cupola attuale, con tamburo non molto alto e con cinque monofore, è stata ricostruita nei restauri degli inizi del Novecento sul modello della rotonda di S. Tomé di Almenno San Bartolomeo (prov. Bergamo), edificio, questo, preso a riferimento anche dagli studiosi successivi per stabilire la cronologia di quello mantovano. Porter (1917) infatti propose una datazione alla fine del sec. 11° o all'inizio del 12° per il S. Tomé e collocò nel 1115 la realizzazione di S. Lorenzo, mentre Marani (1974) e Calzona (1991), sulla base di un'iscrizione tarda rinvenuta all'interno dell'edificio, hanno proposto una cronologia intorno al 1083. Tuttavia per Marani la chiesa, assieme a un'altra rotonda ubicata nel suburbio e dedicata al Santo Sepolcro, era dipendente da S. Andrea e aveva la funzione di martyrium, luogo di meditazione devozionale la cui tipologia a pianta centrale riprende quella dell'Anastasi di Gerusalemme, mentre per Calzona la costruzione del S. Lorenzo è legata alla committenza matildica e nella scelta della tipologia a pianta centrale dell'edificio influì il modello del Santo Sepolcro, ma anche, e soprattutto, quello della Cappella Palatina di Aquisgrana.Nel S. Lorenzo è ancora visibile solo parzialmente la decorazione ad affresco che doveva ricoprire l'interno dell'edificio. Le parti meglio conservate si trovano nella zona tra l'ambulacro inferiore e il matroneo, dove è possibile ipotizzare che siano stati realizzati riquadri con storie della Vita di Cristo, ma anche storie della Vita di s. Lorenzo. Per quanto riguarda la cronologia dei dipinti, Toesca (1912) e Paccagnini (in Mantova, 1960) li hanno datati al sec. 11°; Calzona (1991), oltre a individuare la presenza di diversi maestri, ha messo in evidenza come le scene dell'Incontro di Lorenzo con l'imperatore Decio e dell'Adorazione dei Magi mostrino strette relazioni con due miniature del Psalterium David proveniente dall'abbazia del Polirone a San Benedetto Po (v.) e conservato, assieme ad altri codici prodotti dallo stesso scriptorium, a M. (Bibl. Com., 340, già C III 20; Zanichelli, 1991), mentre la scena con la Presentazione al Tempio è confrontabile con le miniature di un evangeliario realizzato certamente prima del 1090 (New York, Pierp. Morgan Lib., 492).All'interno della rotonda, al livello del matroneo, sono inoltre conservati tre frammenti di pilastrini o stipiti che sono stati datati al sec. 8° o al 9° (Mantova, 1960; Calzona, 1991), cronologia appropriata anche per tre formelle in cotto - inserite nella muratura al di sotto del matroneo, con grifoni alati in posizione araldica fronteggianti un vaso - che, pur datate tra la fine del sec. 11° e l'inizio del 12° (Dall'Acqua, 1968), trovano precisi confronti con frammenti di zoccolatura del sec. 9° provenienti dalla chiesa bresciana di S. Salvatore (Brescia, Civ. Mus. Cristiano; Calzona, 1991).Le altre chiese che contribuivano a formare la fisionomia architettonica di M. nel sec. 12° sono in gran parte scomparse o hanno subìto rimaneggiamenti tali da alterare profondamente la struttura originaria; ma in realtà un'attenta indagine sui resti medievali delle chiese cittadine non è stata ancora effettuata. Di S. Stefano, nei pressi dell'od. piazza Arche, sono rimasti alcuni elementi incorporati in case di abitazione (Campagnari, 1971). Della chiesa di S. Martino - che Golinelli (1987) ha ritenuto essere il luogo dove si era stabilita la comunità che aveva seguito Anselmo di Lucca a M. e che era ubicata "iuxta porta que dicitur hospitali" -, tracce di muratura e archetti del coronamento esterno databili alla fine del sec. 11° sono visibili all'interno del campanile attuale (Pastore, 1974; Calzona, 1991), mentre appartengono alla metà del sec. 12° (Mantova, 1960) il campanile e la parte inferiore della muratura della chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio, confrontabile con quella di S. Leonardo, antichissimo edificio ritenuto dagli storici locali sede dell'originaria cattedrale, ricostruito secondo i documenti dopo il 1154; allo stesso periodo è anche databile il campanile di S. Maria della Carità. Recentemente Piva (1988b) ha ricostruito, sulla base di alcune murature emerse durante il restauro del 1984, la planimetria della chiesa di Ognissanti, nei pressi dell'od. porta Pradella, dipendente dal monastero di San Benedetto Po. Per lo studioso l'edificio, databile al quarto decennio del sec. 12°, aveva una sola navata e un transetto sporgente a una o tre absidi, secondo un modello assai diffuso nel Mantovano e di derivazione cluniacense.Per gli aspetti urbanistici di questo periodo si è già sottolineato come Marani (1966; 1967; 1968; 1969-1970a; 1969-1970b; 1969-1970c; 1973) abbia ipotizzato che nei secc. 11° e 12° la città fosse circoscritta ancora all'interno dell'antico nucleo di piazza Sordello, delimitato sul lato meridionale dalla primitiva cinta muraria e da un fossato, indicato nei documenti come "fossatum de mercato boum", mentre l'area dove si trovava il monastero di S. Andrea costituisse il suburbium, il cui limite era rappresentato dall'ampia fossa asciutta entro la quale Alberto Pitentino fece entrare le acque del lago. Il limite del suburbium era segnato, inoltre, da tre porte - così denominate nei documenti: delle Quattro Porte, del Monticello e dell'Ospedale - che con l'ampliamento della città nel 1190 mutarono nome e vennero rispettivamente indicate come porta Leona o del Leone, porta dei Monticelli, porta degli Arlotti.Come è stato recentemente dimostrato (Calzona, 1991), in età canossiana furono introdotte importanti modificazioni dell'assetto urbano. Infatti all'interno della civitas vetus, con la costruzione della chiesa di S. Paolo, l'antica cittadella vescovile eretta a ridosso, ma all'esterno, delle mura romane entrò a far parte della città vera e propria. In questo stesso periodo anche il limite meridionale non corrispose più a quello dell'antica civitas, perché proprio agli inizi degli anni ottanta del sec. 11° Matilde di Canossa realizzò una cinta intermedia che includeva all'interno della civitas il sobborgo attorno al monastero di S. Andrea. Solo nel 1190, quando Alberto Pitentino ricevette dai rettori di M. l'incarico della regolazione delle acque del Mincio, vennero nuovamente modificati i limiti urbani. Il Rio segnò il nuovo confine, come ricorda l'epigrafe del ponte dei Mulini oggi alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale, e alla città vecchia, romana e altomedievale, e a quella nuova di Matilde di Canossa vennero aggiunti la zona dove sorgeva l'ospedale di S. Martino e il borgo di San Giovanni Evangelista, in seguito denominato quartiere di San Leonardo. Nell'epigrafe si sottolinea inoltre l'importanza della costruzione del ponte di porta Guglielmo, dove sorse in seguito la chiesa di S. Francesco (Vaini, 1986), e del ponte-diga dei Mulini. Infatti con la loro realizzazione entrarono a far parte della civitas il borgo di Porto, al di là del lago, la penisola detta di Cornu e tutta l'area fino al Rio.Nel sec. 13° venne realizzata, in momenti diversi, una nuova recinzione suburbana che andò a sostituire nel 1240 ca. una serie di argini e terrapieni eretti nei periodi precedenti per difendere la città dalle piene. All'estremità del terraglio, nel 1240 e nel 1242 furono costruite due porte: quella dei Folli, sostituita nel sec. 16° da una denominata di Cerese, e quella dell'Aquadruccio, più tardi detta porta Pradella. Nei pressi dell'od. chiesa di S. Sebastiano si trovava (Davari, 1903; Restori, 1915; Marani, 1969-1970c) la porta di S. Marco, poi denominata porta Pusterla. Quindi già alla metà del Duecento una cinta fortificata racchiudeva lo spazio suburbano che nel 1401 entrò a far parte della città. L'evoluzione duecentesca, come peraltro avvenne in molti altri centri dell'area padana, fu legata da una parte alla divisione in quartieri e alla formazione, sul lato meridionale di S. Andrea, del sistema dei palazzi comunali e dall'altra all'insediamento in città di nuovi ordini monastici ed enti assistenziali. A proposito della costruzione degli edifici del Comune, numerose sono state le ipotesi avanzate a partire da Amadei (Cronaca universale della città di Mantova), il quale già nella seconda metà del Settecento ipotizzò che il Comune avesse costruito, in un momento imprecisato del sec. 12°, un primo edificio nella città vecchia, dove si trova la torre della Gabbia; un secondo invece, denominato palatium vetus, sarebbe stato realizzato tra il 1198 e il 1227 sull'od. piazza Broletto, con l'arcone detto dell'Arengario e con una fronte su piazza delle Erbe, mentre al 1250 apparterrebbe il terzo edificio, il palazzo della Ragione, realizzato dal Comune in collegamento alle strutture precedenti per "ornamento della piazza delle Erbe". Tale ipotesi, suffragata secondo Amadei dalla citata epigrafe del ponte dei Mulini, ha fatto testo negli studi successivi e sostanzialmente è alla base delle ipotesi più recenti (Davari, 1903; Andreani, 1942; Marani, 1968; 1969-1970c; Gazzola, 1973; Lazzarini, 1994), che hanno prospettato da quattro a sei tappe nell'erezione dei palazzi comunali. A un primo edificio all'interno della civitas vetus - costruito secondo Marani (1968) in un momento imprecisato tra il 1115 e il 1190 di fronte alla coeva torre dello Zuccaro - si sarebbe aggiunto nel 1192 un nuovo edificio "in strata sancti Andree", sostituito da un palazzo definito 'nuovo' nel 1198; quest'ultimo sarebbe stato ampliato tra il 1207 e il 1208 con un secondo corpo di fabbrica e nel 1227 con un terzo. Un incendio divampato nel 1241 avrebbe poi portato a un generale riassetto del complesso, oggi denominato palazzo del Podestà, e alla costruzione nel 1250 di quello detto della Ragione. Una diversa articolazione della costruzione dei palazzi comunali è stata invece proposta da Calzona (1991), che, sulla base dell'analisi dei documenti e di un ciclo di dipinti con scene di battaglia rinvenuto all'interno del palazzo della Ragione e databile non oltre il 1230, ha individuato in questa struttura il primo palazzo realizzato dal governo comunale.Nel sec. 13°, inoltre, il tessuto urbanistico cittadino fu caratterizzato dalla presenza di nuovi enti ecclesiastici e assistenziali. Alla fine del sec. 12° i Canonici regolari fondarono, in un'area allora suburbana, la comunità di S. Marco nei pressi dell'omonima porta (Vaini, 1986); nel 1245, non lontano dalla porta dei Folli, dipendente dai Canonici di s. Marco, fu edificato il convento di S. Maria del Gradaro (Pegorari, 1966; Severini, 1982), mentre nella località del Teieto venne fondato nel 1237 il monastero delle Clarisse, intitolato a s. Francesco (Cenci, 1967). I Minori francescani sono invece attestati a partire dal 1221, ma nei documenti si fa cenno solo nel 1249 alla presenza di una chiesa dei Minori sulla sponda del lago Superiore, ricostruita secondo le fonti da un certo Germano nel 1303-1304 e ancora oggi esistente (Cenci, 1967; Calzona, 1983). I Domenicani invece, introdotti in città dal vescovo Guidotto da Correggio nel 1233 (Vaini, 1986), si stabilirono nella chiesa di S. Luca, nei pressi del Rio, nella zona denominata dei Monticelli, dove successivamente costruirono il convento dedicato a s. Domenico, struttura di cui oggi rimane solo il campanile.Un cenno particolare merita la chiesa di S. Maria del Gradaro, legata al culto di s. Longino di Cesarea e della reliquia del Sangue di Cristo. Secondo gli storici mantovani nel luogo del martirio di s. Longino presso M. era sorto fin dal 230 un antico oratorio, distrutto durante le persecuzioni di Diocleziano e ricostruito nel 313 dopo l'editto di Costantino. Nel 1220 l'oratorio venne sostituito da una chiesa e da un piccolo convento, ingrandito nel 1256. Dai documenti l'esistenza di S. Maria del Gradaro risulta accertata solo a partire dal 1260 e a quella data appartengono le murature messe in evidenza dopo il restauro del 1952, che ha eliminato completamente le trasformazioni subìte dall'edificio nel 16° secolo. La chiesa ha tre navate formate da arcate a sesto acuto che poggiano su pilastri in cotto nelle tre campate verso il coro (Mantova, 1960). In corrispondenza del terzo pilastro verso la facciata si trova un muro che separa la parte riservata ai religiosi da quella destinata ai fedeli; da qui la chiesa prosegue fino al muro di facciata con quattro campate su colonne. All'interno, già alla metà del secolo scorso era stato rinvenuto un ciclo pittorico con l'Ultima Cena, figure di santi, apostoli e santi vescovi, opera di almeno due distinti maestri, che già Arslan (1943) aveva collegato ad alcuni affreschi veronesi del sec. 13° e che secondo Bazzotti (1989) presentano puntuali analogie anche con i mosaici della cappella Zen in S. Marco a Venezia, in particolare con le Storie di s. Marco. Per quanto riguarda la pittura di questo periodo si devono ricordare ancora i due cicli all'interno del palazzo della Ragione: quello più antico con scene di battaglia, datato agli inizi del sec. 13° (Calzona, 1991), e quello di Grixopolus Parmensis (v.), collegato fin dal 1960 (Mantova, 1960) agli affreschi del battistero di Parma.Per la scultura sono pochi i pezzi rimasti: un Virgilio, proveniente dal palazzo della Ragione, oggi alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale, e un'altra scultura con lo stesso soggetto posta sulla fronte del palazzo del Podestà che affaccia su piazza Broletto. Per queste sculture sono state avanzate cronologie che vanno dalla fine del sec. 12° al secondo decennio del 13° (Portioli, 1877; Mantova, 1960; Romanini, 1964; Marani, 1968), anche se secondo Calzona (1990; 1991) il Virgilio del palazzo del Podestà appartiene a un periodo più tardo ed è opera di un maestro di cultura veronese.Non è chiara invece l'origine del sarcofago 'a porte di città', solo dal 1840 collocato nella navata destra del duomo. Il sarcofago, che - insieme a quelli conservati nella chiesa di S. Ambrogio a Milano, al Louvre di Parigi e nella chiesa di S. Giovanni in Valle a Verona, e a quello di Gorgonio ad Ancona (Mus. Diocesano d'Arte Sacra) - va collocato cronologicamente tra la fine del sec. 4° e l'inizio del 5°, secondo Lawrence (1929) sarebbe stato riscolpito nel sec. 13° sulla fronte e sui fianchi da un artista posteriore a Benedetto Antelami, formatosi in ambiente tedesco; de Francovich (1952) e Paccagnini (in Mantova, 1960), sulla base dei rapporti con il rilievo con gli apostoli - oggi nel duomo di Milano, ma proveniente dalla chiesa milanese di S. Maria Maggiore -, ritennero invece che la rilavorazione del pezzo fosse avvenuta tra il 1180 e il 1200 per opera di un artista campionese formatosi in Provenza.Con l'avvento della signoria dei Bonacolsi (1274) e successivamente dei Gonzaga (1328) iniziò una nuova fase, solo in parte indagata, della storia urbanistica di Mantova. L'attenzione si è rivolta infatti soprattutto agli interventi di trasformazione attuati nella civitas vetus, all'interno della quale i Bonacolsi prima e i Gonzaga poi avevano cercato di impossessarsi degli edifici più importanti. Con la signoria dei primi si avviò la distruzione di molte chiese ed edifici dell'antico tessuto medievale e piazza Sordello assunse le caratteristiche che oggi presenta. Palazzo Acerbi, con la torre della Gabbia, e palazzo Castiglioni facevano parte degli edifici acquistati da Pinamonte Bonacolsi nel 1281, anche se, secondo alcuni cronisti, la torre sarebbe stata realizzata nel 1300 o nel 1302. Al suo interno si trova la cappella detta dei Bonacolsi, che conserva importanti affreschi, in cui chiari sarebbero i "riflessi dello stile giottesco" (Toesca, 1912, p. 210). I dipinti sono stati datati fino a pochi anni fa alla prima metà del sec. 14°, ma recentemente Bazzotti (in Indizi di castigato disegno, 1992) ha circoscritto la cronologia tra il secondo e il terzo decennio del sec. 14° e li ha messi in relazione alla committenza bonacolsiana, senza tuttavia escludere quella gonzaghesca. Anche i due palazzi sul lato opposto della piazza, che oggi sono inseriti nel sistema del palazzo Ducale dei Gonzaga, appartengono al periodo bonacolsiano. Secondo Davari (1903), la Magna Domus, edificio che fronteggia il fianco della cattedrale, era alla fine del sec. 13° l'abitazione di Guido Bonacolsi, il Bottesella, il quale, divenuto capitano del popolo nel 1299, fece realizzare a spese del Comune l'altro grande edificio, denominato palazzo del Capitano (Rodella, 1986). Nel 1328, con il passaggio cruento del potere nelle mani dei Gonzaga, gli interventi nell'od. piazza Sordello proseguirono e gli edifici realizzati da Guido Bonacolsi subirono numerose trasformazioni.Alla fine del sec. 14° alle costruzioni che formavano il palazzo Ducale si aggiunsero la casa Giocosa e il castello di S. Giorgio. Il primo edificio venne fatto erigere da Francesco I Gonzaga intorno al 1388 e dal 1423 divenne la sede della scuola umanistica di Vittorino da Feltre (Mantova, 1960). Poco si conosce di questo palazzo, che alla metà del Quattrocento risulta ormai in disuso e in parte demolito. Della fine del sec. 14° è anche il castello di S. Giorgio, costruito da Bartolino da Novara, che in seguito realizzò anche quello di Ferrara (Mantova, 1960). La costruzione ebbe inizio tra il 1390 e il 1395, quando lo stesso Gonzaga ottenne la facoltà di abbattere l'antica chiesa di S. Maria di Capo di Bove, sulla cui area sarebbe sorto il castello. Nello stesso periodo i Gonzaga affidarono a Jacobello e Pierpaolo dalle Masegne (v.) la ricostruzione dell'antica cattedrale romanica. L'importanza di questi interventi è testimoniata da un dipinto del 1494 di Domenico Morone (m. post 1517) con la Cacciata dei Bonacolsi, oggi alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale, che mostra l'aspetto del duomo mantovano prima delle trasformazioni apportate da Giulio Romano e successivamente da Niccolò di Baschiera tra il 1756 e il 1761.Per la pittura degli inizi del sec. 14° si devono ricordare tre frammenti di affresco conservati alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale, raffiguranti la Madonna con il Bambino, provenienti da S. Francesco, dal chiostro del medesimo convento e dalla chiesa dei Ss. Simone e Giuda. Si tratta di opere attardate, di cui Paccagnini (in Mantova, 1960) e Bazzotti (1989) hanno sottolineato i rapporti con la pittura toscana della fine del 13° secolo. Alla metà del sec. 14° (Mantova, 1960) appartengono i frammenti con busti di santi, provenienti dalla demolita chiesa di S. Domenico e conservati alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale, e la Madonna in trono e santi all'interno del campanile della stessa chiesa; ancora a un maestro di cultura lombardo-toscana sono da assegnare gli affreschi con la Crocifissione ritrovati nel 1941 nel duomo.Se i dipinti della cappella Bonacolsi nella torre della Gabbia furono eseguiti entro il secondo decennio del sec. 14° da un seguace di Giotto di estrazione padana (Bazzotti, 1989; Indizi di castigato disegno, 1992), certamente legati alla committenza gonzaghesca sono la Crocifissione nella cappella di corte del palazzo del Capitano e, nella parete opposta, i dipinti sugli sguanci. Scoperti nel 1907, dopo una complessa vicenda attributiva, sono stati assegnati da Arcangeli (1970) ad Andrea di Bartolo, mentre Bazzotti (1989), più convincentemente, li ha ritenuti opera di un maestro anonimo formatosi in ambito bolognese e realizzati tra il quarto e quinto decennio del Trecento. Contemporanee, ma di altra mano, sono invece le figure della santa martire e del santo guerriero dipinte in una finta abside sulla parete di fronte alla Crocifissione. Questa cappella di corte fu tuttavia sostituita nel giro di pochi anni da una nuova struttura realizzata dai Gonzaga nella chiesa di S. Francesco, divenuta mausoleo della famiglia. Nella nuova cappella Gonzaga, o dei Signori, durante la signoria di Ludovico Gonzaga (1369-1382), vennero dipinti episodi della Vita di Cristo e sulla parete dietro l'altare Storie di s. Ludovico d'Angiò, vescovo di Tolosa, mentre sulla volta sono rimaste tracce di un Cristo in mandorla, di evangelisti, angeli e apostoli. L'attribuzione di Toesca (1912) delle Storie di s. Ludovico a Tomaso Barisini e alla sua bottega è stata accettata da Coletti (1933; 1947), ma in questi ultimi anni è stata proposta l'attribuzione a Serafino de' Serafini (Paccagnini, in Mantova, 1960; De Marchi, 1988; Bazzotti, 1989).Per quanto riguarda la scultura del sec. 14°, sono conservati alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale i frammenti di un monumento funebre, di cui non si conosce l'ubicazione originaria, databile alla metà del sec. 14°, nonostante il carattere ancora romanico, e due figure di santi acefali che secondo Baroni (1944) sono avvicinabili al Maestro di Viboldone. Un altro gruppo di sculture è collegabile invece all'operato di artisti lombardi o veneti attivi a Verona alla metà del 14° secolo. Si tratta del paliotto ora nel duomo, ma proveniente dalla chiesa di S. Antonio, che secondo D'Arco (1857-1859, I) raffigura Guido Gonzaga che presenta alla Vergine il massaro dei mercanti. Questa tesi non è condivisa da Bazzotti (1984), il quale ritiene invece che il paliotto facesse parte in origine della fronte di un sarcofago e giustamente lo avvicina alle sculture della fascia inferiore dell'arca di S. Agostino in S. Pietro in Ciel d'oro a Pavia (Baroni, 1944). Pope-Hennessy (1952) ne ha invece sottolineato le relazioni con un S. Giovanni Battista che presenta un cavaliere, oggi a Londra (Vict. and Alb. Mus.). Il sarcofago del vescovo Ruffino Landi (m. nel 1370), ora nel palazzo Ducale, è stato invece posto in rapporto a un lapicida attento all'attività del veneziano Andriolo de Santi. Al 1381 appartengono infine i frammenti, comprese parti di cornici a fogliame e colonnine tortili, rinvenuti nel 1942 nella chiesa di S. Francesco, raffiguranti una Madonna con il Bambino, un santo vescovo che presenta un cavaliere inginocchiato, una santa martire, un santo francescano che mostra un devoto, una Pietà e i simboli degli evangelisti. Secondo Paccagnini (in Mantova, 1960) sono opere di alta qualità che apparterrebbero al monumento funebre di Alda d'Este; esse sarebbero state realizzate da un maestro campionese in rapporto con Bonino da Campione (Bazzotti, 1986). Chiudono la produzione scultorea del secolo la figura giacente della seconda moglie di Francesco Gonzaga, Margherita Malatesta (m. nel 1399), alla Gall. e Mus. di Palazzo Ducale, parte di un più articolato sepolcro - simile a quello di Paola Bianca (m. nel 1398), moglie di Pandolfo III Malatesta, oggi tra le Arche malatestiane di Fano -, la cui realizzazione fu affidata ai fratelli Jacobello e Pierpaolo dalle Masegne con un precontratto del maggio 1399 e successivamente il 5 aprile 1400 (Torelli, 1913; Krautheimer, 1929; Bettini, 1932; Gnudi, 1937; Mantova, 1960; Marani, 1960; Wolters, 1976; Bazzotti, 1986), e infine il S. Michele Arcangelo ancora ubicato nel duomo nel corridoio che immette nella cappella di S. Maria dei Voti.
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