MANU
. Personaggio mitico, spesso citato e celebrato con il massimo onore, fra l'altro come sommo legislatore, in opere d'ogni genere e d'ogni tempo della letteratura indiana. M. (da molti dotti connesso con la radice indoeuropea *man, cfr. gr. μένος, lat. mens) assume ora la veste d'un antico savio, d'un re, d'un legislatore; ora è l'unico essere che sia rimasto in vita dopo la catastrofe immane del diluvio; ora i testi lo descrivono dotato degli attributi più alti della divinità o l'immedesimano perfino con l'Assoluto (Brahman), dal quale tutto deriva e al quale tutto ritorna, invisibile, incorporeo, senza principio e senza fine. Intorno a M., anima di tutte le cose e che solo lo spirito può concepire, a M. dio, semidio, uomo, è sorto e s'è sviluppato un mito pluriforme, che dà molto da fare agli studiosi, che hanno impreso a rintracciarne le origini, tentando di separare gli elementi originarî e primitivi da quelli posteriori e ascitizî, che il tempo ha raccolto e sovrapposto al nucleo centrale.
Progenie di Brahman, l'anima che sfugge ai sensi, M., ansioso di produrre esseri viventi, s'assoggettò alle più austere penitenze e produsse dieci grandi saggi (Maharṣi) che crearono parecchi altri M. (dieci o quattordici). Di questi, il primo è distinto con l'epiteto di Svāyambhava, perché proviene direttamente dal Brahman che esiste di per sé (Svayambhū) e da null'altro che da sé. Ognuno dei varî M. ha creato e retto il mondo durante uno stesso spazio di tempo, determinando sette periodi manuici (Manvantara), chiamati anche "grandi epoche" (Mahāyuga), comprendenti partitamente 4.320.000 anni. Il mondo si trova ora nell'età di Manu Vaivasvata, e precisamente nel periodo che corrisponde alla nostra età del ferro, nella quale il male ha sopraffatto il bene, e l'onestà e la giustizia hanno abbandonato la terra per rifugiarsi in cielo.
A Manu Vaivasvata si collega la leggenda del diluvio narrata in modo particolarmente diffuso dal Catapathabrāhmaṇa, il Brāhmaṇa delle cento vie, e con qualche variante dal Mahābhārata e da testi posteriori. Un giorno M. trovò nell'acqua, che gli avevano portato per lavarsi, un piccolo pesce, il quale con sua grande meraviglia gli rivolse la parola per dirgli: "Se tu, esaudendo la mia preghiera, avrai cura di me, io ti prometto di salvarti". E M. gli chiese: "Di quale pericolo intendi parlare?". E il pesce rispose: "Un diluvio e un'inondazione stermineranno tutti gli esseri viventi, ma tu per mezzo mio uscirai incolume da un flagello simile". M. ebbe fede nel pesce, e lo custodì in un vaso di creta, dentro il quale il pesce crebbe e diventò assai grosso, e allora parlò nuovamente a M., e gli profetò che nello spazio di tanti e tanti anni sarebbe avvenuto quello che gli aveva detto. "Edifica, concluse, una nave, in cui, quando le acque copriranno la terra, tu possa ricoverarti". M. portò il pesce all'oceano e lo gettò nell'onde, e si mise all'opera della nave e la costruì. Ed ecco di subito aprirsi le cateratte del cielo, e il mare rovesciarsi fuori del suo lido, e i fiumi uscire dal loro letto. M., chiuso nella nave, vide subito comparire il pesce, che cominciò a nuotare dinnanzi a lui, quasi per mostrargli la via. M. legò la nave a una sporgenza laterale della testa del pesce, e la nave, galleggiando in mezzo al furore degli elementi, giunse ai monti del nord, al Himālaya, e quivi si fermò. Calate che furono le acque, M. uscì all'asciutto, e s'accorse che nessun essere vivente esisteva più sulla terra. Si diede allora alla vita austera e si sprofondò nella meditazione, e in questo intervallo di tempo offerse agli dei burro chiarificato, latte rappreso, acido e siero per ottenere figliolanza. Risultato delle sue preghiere e del suo ascetismo fu la nascita, non d'un figlio, come egli aveva desiderato, ma d'una figlia, Iḍā o Ilā, che impersonava in sé il sacrifizio e la sua benedizione. Con Idā generò la razza che da lui prese il nome di stirpe di Manu.
Da M. Vaivasvata venne agli uomini il completo ordinamento religioso e civile che ha il suo esponente nel codice che da M. s'intitola. ritenuto rivelazione dell'Ente immutabile; codice che grandi savî, tra i quali Bhṛgu e Nārada, appresero a loro volta direttamente da Manu.
Il trattato di M., che ha per oggetto la conservazione del mondo, deve studiarsi con intensità da ogni brahmano, a cui solo spetta spiegarlo ai discepoli, ed è un libro che possiede la virtù di far conseguire ogni bene: accresce l'intelligenza, procura fama e guida alla beatitudine senza fine. "Tutto quello che ha detto Manu è medicina", asserisce il Veda: l'ha detto Manu" si legge spesso nel Mahabhārata e in molti testi di leggi, e con questo si mira a impedire o a stroncare ogni obiezione e ad aggiungere autorità e peso a quella regola o precetto che si prescrive.
Nessuna meraviglia quindi che M., "padre nostro", istitutore del sacrifizio (credenza che ha procacciato ai sacerdoti sacrificatori l'appellativo di "gente di Manu"), Ṛsi sublime, capostipite delle più antiche e gloriose dinastie, Brahman, abbia attirato a sé gli sguardi di tutte le scuole brahmaniche, che hanno cercato in lui sostegno. Così si spiegano e si comprendono la fama e il potere, di cui il testo di legge di M. (Mānavadharmaśāstra) ha sempre goduto e gode nell'India (v. dharma; dharmaśāstra).
Bibl.: F. Johantgen, Über das Gesetzbuch des Manu, Berlino 1863; W. H. Macnaghten, Principles and precedents of Hindu law, Madras 1865; E. W. Hopkins, The mutual relations of the four castes according to the Mānavadharmaçāstra, Lipsia 1881; G. Bühler, The laws of manu, Oxford 1996; L. Schroeder, Indiens Literatur und Cultur, ecc., Lipsia 1887; H. Oldenberg, Die Religion des Veda, Berlino 1894; J. Jolly, Recht und Sitte, Strasburgo 1896; R.W. Frazer, A literary history of India, Londra 1897; A.A. Macdonell, A history of Sanskrit literature, Londra 1919. Vedi voci: dharmaśāstra; india: Diritto.