ARJONA, Manuel de
Poligrafo e poeta spagnolo, nacque ad Osuna in provincia di Siviglia il 12 giugno 1761. Laureatosi in diritto nell'università di Siviglia, fondò, insieme con Reinoso, Blanco White, Lista, la Academia de letras humanas, per testaurare il buon gusto nella poesia. Canonico doctoral (cioè addetto agli affari del contenzioso), della r. cappella di San Fernando, poi nel 1801 della cattedrale di Cordova, venne in Italia insieme con l'Arcivescovo di Siviglia don Antonio Despuig y Dameto, a Roma, dove papa Pio VI, riconoscendone la molta dottrina e la bontà, lo insignì di un onorifico titolo nella curia pontificia. L'invasione francese gli fu causa di molti danni materiali e di dolori morali, poiché, pur parteggiando per la causa della libertà nazionale, ebbe di necessità ad acconciarsi alla dominazione straniera; il che gli valse più tardi ingiuste e accanite denigrazioni e persecuzioni quale afrancesado, molto più che aveva accettato dal governo di Giuseppe Napoleone il titolo di cavaliere de la Orden de la Espada di nuova istituzione; aveva, sia pur di malavoglia e rimaneggiando un'antica sua ode a Carlo III, inneggiato al re francese quando entrò in Cordova nel 1810, e disimpegnato, pur con rettitudine e con spirito patriottico, incarichi affidatigli, tra cui quello della riunione degli ospedali di Cordova e la soppressione del tribunale del Santo Uffizio. Fuggito da questa città nel 1812 per sottrarsi ai suoi fieri nemici, fu arrestato ad Ècija, rimandato sotto scorta a Cordova, processato e ridotto in povertà per essergli stati confiscati i beni. Si difese nobilmente con un Manifiesto de su conducta política a la nación española, del 1814, finché, dopo una revisione del processo, fu prosciolto da inconsistenti accuse. Sulla fine del 1818 si trasferì a Madrid dove godé la stima e la familiarità di Ferdinando VII, che si valeva di lui come di fido e saggio consigliere. Ma inaspettatamente un decreto reale venne ad espellerlo dalla capitale: era una vendetta che il ministro di grazia e giustizia Lozano Torres si prendeva per punirlo di avere in certa occasione parlato di lui sfavorevolmente al re. L'Arjona si ritirò per alcun tempo a Cordova, ma, tolto finalmente il divieto, tornò a Madrid, dove morì di lì a poco, il 25 luglio del 1820.
Della sua larga cultura, del multiforme suo ingegno di umanista, di politico, di filosofo, di storico, di dotto nel diritto civile e canonico fa fede un gran numero di scritti, di dissertazioni accademiche su svariati argomenti, come si può vedere nel lungo elenco che ne dà, nel tomo 63 della Bibl. de Autores Españoles, Leopoldo Augusto de Cueto. Della conoscenza che ebbe della lingua e della letteratura italiana, diede prova con tradurre in castigliano le Meditazioni sull'Economia Politica e il Discorso sull'indole del piacere e del dolore, di Pietro Verri, come anche la scena 4ª dell'atto terzo del Pastor Fido di Gian Battista Guarini e il celebre sonetto del Filicaia "Italia, Italia, o tu cui feo la sorte". I ricordi classici di Roma, dopo che tornò dal viaggio del 1801, gl'ispirarono il lungo canto, di stanze senza schema metrico fisso, Las ruinas de Roma (Madrid 1801), che è ritenuto il suo migliore componimento poetico insieme con l'altro, simbolico e filosofico, La diosa del bosque, che, a giudizio di Juan Valera, ben può reggere a paragone con quello dello Schiller Das Mädchen aus der Fremde di consimile argomento, e di cui piacque a Quintana la novità metrica della strofa tetrastica: due endecasillabi, di cui il primo emistichio sdrucciolo, il terzo verso un saffico ed il quarto un settenario tronco. Di solito Arjona trae ispirazione dal sentimento religioso (A la Natividad de Nuestra Señora, A la Inmaculada Concepcion, Al pueblo hebreo, A la muerte de San Fernando); talvolta dal sentimento patriottico (A la nobleza española, A la decadencia de la gloria de Sevilla. España restaurada en Cádiz). Lodate fra le sue poesie sono: A la memoria, Al pensamiento del hombre, il sonetto A Cicerón, come anche le traduzioni da Orazio dell'ode 16 del Libro II e della satira 1ª del Libro I (Qui fit Mecenas). Blanco White si riconosceva debitore ad Arjona per il benefico influsso che l'amicizia con lui aveva avuto sul suo ingegno e sul suo spirito.