ZACCARIA, Manuele
– Nacque in data imprecisata (probabilmente verso la fine degli anni Trenta del secolo XIII) da Fulco e da Iuleta, di famiglia sconosciuta. Appartenne a una famiglia di mercanti genovesi importante e facoltosa, ma poco presente nel panorama politico-istituzionale cittadino.
Manuele Zaccaria è facilmente confondibile con un omonimo parente, figlio di Zaccaria de Castro (ossia uno dei figli di un cugino di Fulco, padre di Manuele), attivo negli stessi anni.
Le prime notizie su questo personaggio, che fu molto attivo nella vita economica della città e nel commercio a lungo raggio insieme con il ben più conosciuto fratello Benedetto, datano al 1248, quando la madre Iuleta lo istituì erede con i suoi fratelli. La documentazione della seconda metà del Duecento, specie a partire dagli anni Sessanta, lo mostra principalmente in veste di mercante: risulta spesso socio del fratello Benedetto e già nel 1264 è attestato comproprietario di una nave insieme con quest’ultimo. Negli anni immediatamente successivi si colloca il solo episodio sinora noto di un coinvolgimento di Zaccaria nell’apparato istituzionale del Comune di Genova: nel luglio del 1267 compare tra i consiglieri che firmarono la ratifica degli accordi di pace stipulati qualche mese prima (febbraio) a Tiro, sulla costa orientale del Mediterraneo, tra Genova e i Templari.
Nel Levante, i due Zaccaria avevano forti interessi commerciali che si intensificarono a partire dagli anni Settanta del secolo. Il nome di Manuele è tradizionalmente associato al possedimento di Focea, presso Smirne, il più importante centro di produzione di allume nel mar Mediterraneo, donato agli Zaccaria, probabilmente sempre nel 1267, da Michele VIII Paleologo, al tempo impegnato a consolidare il suo potere a Bisanzio. Il coinvolgimento diretto di Manuele non è però del tutto certo.
È stato infatti ritenuto che l’imperatore avesse concesso la città ai fratelli Benedetto e Manuele (Lopez, 1996, p. 17), ma è possibile che a diventare signore di Focea sia stato un omonimo parente, come parrebbe suggerire sia l’incertezza sulla parentela espressa del cronista Marino Sanudo il Vecchio (Istoria di Romania..., a cura di C. Hopf, 1873, p. 146), e ancora di più la precisazione dello storico Giorgio Pachimere (De Michaele et Andronico..., a cura di I. Bekker, I, 1835, p. 420) che identificò il signore della città levantina con Manuele, figlio di Zaccaria.
Nel 1271, in presenza del fratello e socio in affari Benedetto, Manuele promise in sposa – impegnandosi a sborsare la cifra, straordinariamente alta per il tempo, di 1000 lire in dote – la sua primogenita Orietta a Rainaldino, figlio di Oberto Spinola, eletto capitano del Popolo con Oberto Doria pochi mesi prima.
Alla fine degli anni Cinquanta Manuele aveva infatti sposato Eliana, che è verosimile fosse un’esponente della famiglia aristocratica dei Grillo. Con lei ebbe altre due figlie, Vellochia e Barbarina, che una decina d’anni più tardi (1282) di concerto con Benedetto accasò ad alto livello: Vellochia fu promessa a Nicoloso figlio del defunto Daniele Doria, famiglia con cui lo stesso anno anche Benedetto concordò un’alleanza matrimoniale; Barbarina fu concessa in sposa a Luchetto Nepitella, rampollo di un’importante famiglia di mercanti.
In un clima politico di forti tensioni, come quello che portò all’instaurazione del doppio capitanato del Popolo alla fine del 1270, stringere una così importante alleanza matrimoniale con una delle due famiglie più potenti della città significava salvaguardare la propria posizione in patria. Per suggellare ulteriormente l’intesa, lo stesso giorno i fratelli Manuele e Benedetto concessero a Oberto un prestito grazioso di 400 lire. A pochi giorni di distanza Manuele Zaccaria dettò il suo primo testamento e, nel timore che una larga parte del suo patrimonio passasse alla figlia Orietta (e quindi agli Spinola), nominò erede, in caso di assenza di eredi diretti maschi, Benedetto o i suoi discendenti.
La partnership con Benedetto si rinsaldò negli anni. Il legame tra i due si riflette nelle molte istanze in cui appaiono insieme nella documentazione commerciale e nei molti casi in cui Manuele agì in veste di procuratore del fratello. Il giro d’affari di Manuele crebbe notevolmente.
Basti pensare che solo nel 1276, in un periodo in cui era diventato difficile accedere al grano a causa di carestie, il Comune si impegnò ad acquistare da lui 10.000 mine di grano proveniente dai territori bizantini al prezzo di 22 soldi (cioè poco più di una lira) per mina, concedendogli inoltre la facoltà di vendere la merce personalmente, a condizione di farlo sul mercato cittadino. Nel solo mese di agosto del 1285, inoltre, Manuele e Benedetto ricevettero da Guidetto de Nigro e da Bonifacio e Polino Doria (genero di Benedetto) panni del valore di 8635 lire che i due fratelli dovevano commerciare nel Levante, e a loro volta i fratelli Zaccaria investirono 1300 lire in una commenda stipulata con Andriolo Pellato. Si tratta di cifre esorbitanti che ben illustrano le capacità economiche di Manuele.
Al contrario di quanto si constata per Benedetto, sono poche le notizie circa le attività militari di Manuele fuori patria e si concentrano nei primi anni Novanta.
Nel 1291, mentre era impegnato a reclutare uomini per conto di Benedetto che da lì a poco sarebbe partito per la Castiglia a servizio del re Sancio IV, attaccò al largo dell’isola di Santa Margherita due navi pisane armate per compiere azioni di pirateria sulle navi genovesi, le sconfisse e condusse a Genova i prigionieri pisani. Nel 1292 Manuele fu inoltre scelto come ammiraglio dall’alto clero romano, per adempiere alla volontà del testé defunto papa Niccolò IV (difendere Cipro e l’Armenia dagli attacchi dei Saraceni). Manuele dovette vincere le resistenze del Comune di Genova, perché un incarico simile (che egli condivise con Tedisio Doria) doveva essere approvato dal consiglio cittadino. Determinato a portare a termine la missione che gli era stata affidata, Manuele si appellò alla Curia romana e ottenne l’invio di un legato a Genova, ottenendo l’autorizzazione a restare al servizio della Chiesa per un anno.
Il secondo e straordinariamente dettagliato testamento datato 1294 mostra appieno la capacità di accumulo di beni e di denaro di questo mercante. Entro la fine del secolo XIII disponeva di un patrimonio immobiliare e fondiario di tutto rispetto: almeno due case munite di torre, una delle quali ereditata dal padre, e una domus magna circondata da terreni e un bosco, ubicata nella vicina Albaro. Rimasto vedovo di Eliana, era convolato a nuove nozze, in data imprecisata, con Clarissa, di famiglia sconosciuta, da cui aveva avuto sicuramente una figlia, Catalina, ancora nubile nel 1294, a cui Manuele legò una dote di 1000 lire, e l’unico figlio maschio ed erede delle sue fortune, l’ancora minorenne Giovannino.
Nell’occasione, oltre a predisporre numerosi legati pro anima per diversi enti ecclesiastici sparsi sul territorio ligure, istituì un lascito di 2000 lire (una cifra esorbitante) per finanziare una tabula pauperum, probabilmente l’equivalente della matricula pauperum, ossia un fondo per aiutare economicamente gli indigenti della città, che doveva essere gestito da otto individui, uno per ogni compagna (cioè gli otto distretti in cui era suddivisa la città), scelti personalmente dal vescovo.
Il testamento del 1294 è l’ultimo riferimento certo a Manuele, che morì a Genova in data imprecisata.
È probabile che il Manuele Zaccaria menzionato nel 1301 come firmatario del trattato con cui Carlo II di Angiò riconobbe la cessione del castello di Monaco e della torre di Abeglio ai Genovesi, fosse in realtà suo nipote, figlio di Benedetto.
Fonti e Bibl.: Georgii Pachymeris De Michaele et Andronico Palaeologis libri tredecim, a cura di I. Bekker, Bonn 1835, I, pp. 420-426; M. Sanudo il Vecchio, Istoria di Romania sive regno di Morea, in Chroniques Gréco-Romanes inédits ou peu connus, a cura di C. Hopf, Berlino 1873, p. 146; Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori dal MXCIX al MCCXCIII, a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale Di Sant’Angelo, Roma 1926-1929, IV, p. 140, V, pp. 127-129, 143 s.; I libri iurium della repubblica di Genova, I, 5, a cura di E. Madia, Genova 1999, doc. 824, I, 7, a cura di E. Pallavicino, 2001, doc. 1239.
H. Sieveking, Studio delle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla Casa di S. Giorgio, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXV (1906), 1, p. 85; W. Miller, The Genoese colonies in Greece, in Id., Essays on the Latin Orient, Oxford 1921, pp. 285-287; R.S. Lopez, Familiari, procuratori e dipendenti di Benedetto Zaccaria, in Miscellanea di Studi in onore di Giorgio Falco, Milano 1962, pp. 209-249; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XIV-XV (1974-1975), I, p. 395, II, p. 172; R.S. Lopez, Benedetto Zaccaria ammiraglio e mercante nella Genova del Duecento, Firenze 1996; D. Bezzina, The two wills of M. Z.: protecting one’s wealth and saving one’s soul in late thirteenth-century Genoa, in Ianuensis non nascitur sed fit. Studi in onore di Dino Puncuh, I, Genova 2019, pp. 205-230.