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Maometto

di Francesco Gabrieli - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Maometto

Francesco Gabrieli

L'episodio di M. nella nona fossa di Malebolge (If XXVIII 22-63), oltre che per il suo intrinseco valore artistico ha attirato l'attenzione come importante indizio della conoscenza e dei sentimenti di D. verso la religione e la civiltà dell'Islàm (v.). Dal fatto che il suo fondatore appaia tra i seminator di scandalo e di scisma, e non fra gli eresiarchi, l'Asín Palacios, a sostegno della sua nota tesi sul ‛ filo-islamismo ' di D., credé vedere una particolare indulgenza, quasi un riguardo del poeta verso il profeta musulmano, la cui colpa era posta piuttosto sul piano sociale anziché su quello teologico e religioso. Tale indulgenza e benevolenza, quale che sia il valore da dare a quella distinzione nel genere del peccato, non è in realtà apparsa a nessun altro dei critici che hanno analizzato l'episodio (Crescini, Zingarelli, Rossi, Fubini, ecc.), in cui la violenza realistica della rappresentazione tocca uno dei suoi culmini, nell'Inferno e nell'opera tutta di Dante. La figura sconcia e sanguinosa del peccatore spaccato in tutta la sua lunghezza, lo spesseggiare di vocaboli di estremo realismo plebeo, il tono dell'intero episodio fra il macabro e il grottesco escludono per ogni non prevenuto lettore la presunta " lenidad e indulgencia " del giudizio di D. sul personaggio, e fan piuttosto vedere col Momigliano in questo suo M. " l'immagine più realistica e più sozza dell'Inferno ".

Tale immagine concorda del resto pienamente con quella che di M. aveva tracciato la leggenda occidentale, a cui esclusivamente D. s'ispirò. Secondo il Medioevo latino, che in parte accolse alcuni tratti della polemica bizantina sul profeta, in maggior parte ne creò di pianta suoi propri, M. fu spinto a lacerare il seno della Chiesa dall'ambizione e dal risentimento di un alto prelato deluso (Sergio, o Nicolao, o Pelagio, eco deformata dei racconti arabi di un suo incontro giovanile con l'eremita siro Bahïra); e in talune versioni è egli stesso l'invidioso e malvagio prete, anzi cardinale, che scatena lo scisma per rancore della mancata elezione al papato, o per soddisfare altre sue basse passioni. La cristianità medievale ignorò o volle ignorare che la missione di M. era nata in ambiente arabo pagano, come un'appassionata reazione al politeismo patrio in nome di un rigoroso monoteismo, e solo in un secondo tempo era venuta in urto col cristianesimo, proprio in ragione di questo suo inflessibile rigore, scandalizzato dalla cristologia e dal dogma trinitario. Ciò che soprattutto contò, e determinò l'odio cristiano per il fondatore dell'Islàm, fu la susseguita invasione da parte degli Arabi della Palestina e delle altre province sottratte con rapido processo alla fede e all'impero cristiano, lo smantellamento delle posizioni cristiane in Oriente, e la minaccia presto portata all'Occidente stesso. Causa prima di tanta divisione e rovina era stato M., e su di lui, contro ogni storica realtà, si appuntò la calunnia e l'odio della polemica cristiana. Dagli apologisti, cronisti, enciclopedisti del Medioevo (Pietro il Venerabile, Iacopo di Vitry, Martino Polono, Vincenzo di Beauvais, Iacopo da Varagine, Brunetto Latini), questa materia e questo giudizio vennero fino a D., e D. ne espresse il succo nell'episodio di Malebolge.

Nonché indizio di benevolenza e riguardo, questa raffigurazione di M. perpetua quindi, con potente efficacia artistica, un atteggiamento quanto altro mai negativo nei riguardi del fondatore dell'Islàm e della sua fede: la quale può dirsi qui addirittura ignorata, non apparendo traccia della sua funzione e importanza mondiale nella presentazione del personaggio e nell'unico interesse da lui qui manifestato, per un oscuro piccolo collega in eresia, il novarese fra Dolcino (v.). Non poteva darsi più sprezzante offesa e misconoscimento nel citare Dolcino insieme con lo storico fondatore dell'Islàm. E l'Islàm moderno, dacché ha conosciuto l'esistenza di D. e della Commedia, ha accusato il colpo: il canto XXVIII dell'Inferno o è espunto e mutilato in versioni arabe del poema (come nell'ultima di Hasan Osmàn), o ha condotto al sequestro e divieto del libro in ambiente musulmano, com'è stato nel Pakistan.

Bibl. - A. D'Ancona, La leggenda di Maometto in Occidente, in Studi di critica e storia letteraria, II, Bologna 1912, 167-306; M. Asín Palacios, La escatologia musulmana en la " Divina Comedia ", Madrid 1910, 328 ss.; G. Gabrieli, D. e l'Oriente, Bologna 1921, 49-52, 103-104; F. Gabrieli, Letture e divagazioni dantesche, Bari 1965, 20-22.

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