maravigliare (meravigliare solo in Cv II IV 16)
Verbo passato da intransitivo a intransitivo pronominale, forse per affinità con verba affectuum come ‛ disperarsi ', ‛ dolersi ', ‛ stupirsi ' (cfr. F. Brambilla Ageno, Il verbo nell'italiano antico, Napoli 1964, 36-37): " provar maraviglia " per avvenimenti straordinari o inaspettati, " stupirsi ". La forma intransitiva, di solito assoluta, si riscontra in If XXIII 124 Allor vid'io maravigliar Virgilio; Pg II 69 L'anime, che si fuor di me accorte, / per lo spirare, ch'i' era ancor vivo / meravigliando diventaro smorte, e XXVIII 79 fosse perch'io rido / ... maravigliando tienvi alcun sospetto, sia che in quest'ultimo luogo il gerundio regga perch'io rido, sia che abbia, come propone il Grabher, funzione di participio, e dia alla frase il senso: " un qualche dubbio tiene voi maravigliati ".
Per l'ipotizzata originaria natura del verbo, il sintagma ‛ è (non è) da m. ' (Cv IV V 1, IX 2, XIX 6), diffuso nel volgare antico (cfr. Schiaffini, Testi 85, r. 28: " del decto facto non è da maravigliare "; Odo delle Colonne Distretto core e amoruso 3-4 " e certo s'io son pensuso, / non è da maravigliare "), può non rientrare nel caso in cui la particella pronominale manca con le forme indefinite (cfr. F. Brambilla Ageno, op. cit., p. 223 n. 3).
Con costruzione intransitiva pronominale, ha uso assoluto in Cv II XII 8 quasi maravigliandomi apersi la bocca nel parlare de la proposta canzone, e Pg III 97 Non vi maravigliate, ma credete..., e anche nei seguenti luoghi dov'è accompagnato da ‛ cominciare ' che ha un probabile valore pleonastico discendente dal senso di aoristo ingressivo normale nel latino classico coepi (cfr. F. Brambilla Ageno, op. cit., p. 460): lo spirito animale... si cominciò a maravigliare molto (Vn II 5); molte... donne... si cominciaro a maravigliare (XIV 7); Amor si cominciò a maravigliare (Fiore LXXIX 12).
Assoluto sembra anche l'uso di m. in Vn XXIII 6 maravigliandomi in cotale fantasia, dove presumibilmente fa parte di un'espressione brachilogica per ellissi di un verbo come ‛ essere ', ‛ stare ', ‛ trovarsi ' e simili: " provando maraviglia di trovarmi in tale fantasia " (ma l'ellissi potrebbe essere più ampia: " provando maraviglia per le cose che vedevo in tale fantasia "), a meno che non assuma il valore che già aveva il latino mirari in, di " guardar con maraviglia ", valore ben coerente con la visio descritta nel capitolo, ma per la verità qui assai dubbio, sia perché estraneo alle abitudini dantesche, sia perché ‛ fantasia ' (v.) indica meglio lo stato del fantasticare, l'errare dell'immaginazione che l'oggetto della visione.
Altre volte è seguito dalla preposizione ‛ di ' più sostantivo: una gentile donna... la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare (Vn V 1); quasi come [l'anima] si maravigliasse de la subita transmutazione (Cv II IX 2); quasi maravigliandosi [il Salmista] del divino affetto in essa umana creatura (IV XIX 7), con gli esempi affini di Pg III 29 e XXI 121.
Più frequentemente regge una proposizione subordinata; in tal caso di solito il verbo è in frase esortativa o imperativa negativa e la subordinata è di tipo ipotetico: s'io dico / parole quasi contra a tutta gente, / non vi maravigliate (Rime CVI 5); Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione (Cv I X 4); nullo si maravigli se per molte divisioni si procede (IV III 3); se le mie digressioni sono lunghe, nullo si maravigli (VIII 10); Non si maravigli alcuno, s'io parlo sì che par forte ad intendere (XXI 6); Non ti maravigliar s'io piango, Tosco (Pg XIV 103); Se io mi trascoloro, / non ti maravigliar (Pd XXVII 20); Non ti maravigliar s'i' non son grasso (Fiore XLVIII 1); lo stesso modulo in Cv II IV 16, Pg IX 72, XV 28, Pd V 4, Fiore CXLIV 12 (qui la reggente è non mi maraviglio).
In altri luoghi la subordinata viene introdotta da ‛ che ' (Fiore XLVII 12), ‛ perché ' (Vn XXX 1, Pd III 25), ‛ onde ' (Pg VII 11), ‛ quando ' (XXXI 124).
Fra le occorrenze che vedono m. all'infinito preceduto da ‛ fare ' causativo, col valore di " destar maraviglia ", si segnala Vn XXXI 10 23 luce de la sua umilitate / passò li cieli con tanta vertute, / che fè maravigliar l'etterno sire. La singolarità dell'occorrenza nasce dal fatto che per Giov. Damasceno " Admirari... est ignorantis naturae " (De Fide Orth. II 15; v. anche Tomm. Sum. theol. I II 32 28): D. stesso, in una linea parallela, afferma: stupor m'eran le cose non conte (Pg XV 12). Poiché qui la maraviglia per le virtù di Beatrice, nella seconda strofa della canzone Donne ch'avete e in qualche altro luogo (v. OLTRE) attribuita agli angeli, è invece considerata come propria di Dio, il commento di Foster-Boyde conclude che " a quell'epoca Dante non si preoccupava troppo della precisione in fatto di teologia " (Dantes lyric Poetry, II, Oxford 1967, 135). Affermazione forse troppo recisa, se si consideri la natura poetica dell'immagine, certo intonata a un'intensa gradazione di ‛ loda ', e da connettere, per la sua misura lirica e stilistica, con lo sfogo passionato del quale fa esplicito cenno la parte prosastica del capitolo.
Ancora da Beatrice muove la maraviglia che colpisce le intelligenze angeliche, in Vn XXXIII 8 26 luce d'amor, che li angeli saluta, / e lo intelletto loro alto, sottile / face maravigliar, sì v'è gentile; mentre nei restanti casi si tratta del sentimento causato nelle anime dall'eccezionale presenza di D. nei regni oltremondani (tu ne fai / tanto maravigliar de la tua grazia, / quanto vuol cosa che non fu più mai, Pg XIV 14) o in D. stesso dalla salvezza di due anime che egli sapeva pagane (La prima vita del ciglio e la quinta / ti fa maravigliar, perché ne vedi / la region de li angeli dipinta, Pd XX 101).
Vale " esser compreso di maraviglia ", in Pg XXIII 59 non mi far dir mentr'io mi maraviglio.