MARBODO
. Agiografo e poeta, nato nell'Angiò nel 1035. Studiò ad Angers, dove insegnò retorica e organizzò con alto senso didattico le scuole, per incarico del vescovo, durante gli anni 1067-1081. Eletto vescovo di Rennes (1096), tenne anche la sede di Angers, in assenza del titolare, rivelandosi sempre ministro zelante e spirito religioso. Negli ultimi anni si ritirò nell'abbazia di Saint-Aubin, dove morì l'11 settembre 1123. La sua personalità letteraria è tra le più significative per intendere la cultura latina dei secoli XI-XII, non solo per l'influenza esercitata nell'organizzazione. dell'insegnamento, ma soprattutto per la produzione poetica, che ebbe larga fortuna, sia come espressione della mentalità medievale, sia per gli accenti personali del suo lirismo.
Scrisse molte agiografie, indotto spesso dai religiosi della stessa abbazia di cui celebrava il santo (Vita Licinii, Vita Roberti, Vita Magnobodi, ecc.), servendosi di narrazioni anteriori, che traduceva nella sua chiara prosa con la coscienza di fare opera di edificazione religiosa e morale. L'Historia Teophili, in versi, ha invece del leggendario e del pittoresco ed è di molto interesse per alcuni temi novellistici; con la stessa facilità ritmica narrò la Passio S. Laurentii, S. Victoris Andegavensis, S. Mauritii et sociorum eius, Ss. Martyrum Felicis et Adaucti, ecc. Ma è nelle poesie sciolte, occasionali e frammentarie, che M. rivela una certa originalità di stile e di sentimento. Le liriche, circa cinquanta, svolgono argomenti varî e volta per volta si adeguano al contenuto con abilità metrica e spesso anche con delicata umanità. Sono inni, epistole affettuose a discepoli, a devoti, a qualche principessa; preghiere di limpida e tenue ispirazione; canti della solitudine, della vita monastica, della pace dello spirito; odi didattiche e parenetiche; qualche satira severa e sdegnosa, di sapore goliardico, contro i costumi degli ecclesiastici (Versus canonicales): e ce n'è una contro i cittadini di Rennes (De civitate Redonis); ma non di rado M. si compiace di ostentare la sua bravura tecnica, e non poche poesie si esauriscono in un retorico passatempo. Il poeta sviluppa una concezione più ampia nel Liber decem capitulorum, una specie di somma, non tanto del sapere quanto dei modi e dei metodi per raggiungere la scienza, la fede, la salute dell'anima. Partendo da un capitolo sull'ars scribendi (M. aveva scritto in versi un De ornamentis verborum) dispiega la sua viva esperienza della realtà umana, letteraria e pratica, con la ricchezza morale e la compostezza stilistica dell'uomo che, giunto al tramonto, rivede il cammino difficile ma diritto della propria vita. Tuttavia il suo nome sopravvisse, per qualche secolo, legato al Liber lapidum seu de gemmis, un trattato di mineralogia medica, che nella descrizione di sessanta pietre preziose e delle loro virtù naturali e sovrannaturali, traduce alcuni interessi tipici della mentalità medievale con quel suo simbolico travisamento della realtà empirica. Tradotto subito in francese, come il Lapidario per eccellenza, e ripetutamente elaborato in versi e prosa in tutta l'Europa occidentale, ebbe diffusione non solo letteraria e didattica, ma divenne testo scientifico nelle scuole di farmacia fino a tutto il sec. XVI (v. lapidario). Ed. delle opere in Migne, Patr. Lat., CLXXI.
Bibl.: Histoire littér. de la France, X (1868), pp. 343-92; L. Ennault, M. évêque de Rennes, Rennes 1890; F. Novati-A. Monteverdi, Le origini, Milano 1924, pp. 515-16; R. de Gourmont, Le latin mystique, nuova ediz., Parigi 1930, pp. 217-244; M. Manitius, Geschichte der latein. Lit. des Mittelalters, III, Monaco 1931, pp. 719-30. V. inoltre: L. Pannier, Lapidaires franç. des XII-XIV siècles, Parigi 1882; e la bibl. alla voce lapidario.