CALBO, Marc'Antonio
Nacque a Venezia, probabilmente verso il 1470, da Girolamo. La sua attività politica ebbe inizio molto presto. Il 25 maggio 1494 è "advocatus per omnes causas", al termine del quale incarico accetta la nomina a "camerarius Tarvisii"; dal 26 febbr. 1498 al gennaio 1501 è "castellanus arcis Bzenii", località della Val Camonica, poi "offitialis dissentarie" il 10 marzo 1502. Incarico di breve durata, se entro lo stesso mese è eletto savio agli ordini - Insignito di questa nuova, prestigiosa carica che lo poneva a contatto con la vita economica, amministrativa e giudiziaria della Repubblica, la sua personalità si afferma, si distingue. Si rivela uno dei nobili più intelligenti e preparati e scrupolosi, tanto da incutere timore e ammirazione allo stesso Sanuto, il suo "biografo" più attento. E di schermaglie, scontri, ironiche discussioni col Sanuto è piena la sua permanenza a tale carica. Il 13 dic. 1503 si batte per rinvio di 2.000 ducati ai provveditori; il 16 febbr. 1504 interviene sulla questione riguardante "l'incanto di le galie do a Costantinopoli", mentre il mese precedente era stato posto nella lista per l'elezione prima di provveditore a Meldola, quindi di camerlengo a Rimini. Dopo la breve parentesi di provveditore a Montefiore (vi fu eletto fi 26 marzo 1504), l'11 settembre è nuovamente savio agli Ordini, sempre in primo piano nelle decisioni da prendere e con un profondo ascendente, sia che si tratti del problema delle galee da "inchantar" o di un broglio amministrativo. Forse ai primi del 1507 è nominato auditore novo, tuttavia lo ritroviamo nuovamente savio il 24 sett. 1509 e scrutinato "synicho in Cipro" il 7 dicembre dello stesso anno. Ma non è soltanto l'uomo dell'amministrazione, distaccato e interessato unicamente di problemi relativi alla burocrazia dello Stato; pure lui vive il dramma del suo tempo, della grave crisi politica e sociale che, con la disfatta di Agnadello, Venezia attraversa in questi anni. Lo troviamo infatti l'anno seguente con Alvise Basadonna contribuire "sponte" alla difesa di Padova, coraggiosamente.
Sposatosi il 2 genn. 1510 con la figlia di Giovan Francesco Pisani, l'11 ag. 1513, dopo la proposta di nomina a "syndico" di Terraferma del 10 maggio 1512, riceve l'elezione di "syndaco" in Levante. Un incarico delicato e pesante, che lo poneva a contatto diretto con la vita, i problemi dei possedimenti veneziani d'Oriente, in una serie lunga e faticosa di controlli animmistrativi, divisi con Giovann II Nadal Salamon. La partenza, più volte rinviata a causa di numerosi incidenti, avvenne solamente alla fine di settembre, con l'obbligo di rendere conto di ogni "scandolo et perturbation", al pari degli "usurpatori de li danari". Il viaggio fu pieno di amari imprevisti. Giunti a Cipro il 20 febbr. 1514, già erano costretti a fare "certi ordeni et admonition a quel luogotenente et consieri… Et de' formenti scriveno il successo di l'isola, e come quelli voleno mandar li soi oratori di qui a dolersi di syndici"; uguale situazione alla Canea che raggiungono nel settembre, ove devono fermarsi a lungo "per cason di sier Michiel Memo rector, qual era in gran discordia con li soi Consieri". Seguono Nauplia, raggiunta nel maggio 1515, e Zante, nel luglio seguente; e alla fine di agosto, da Ragusa, ove raccolgono notizie fresche sul Turco "che'l solicitava l'armada sua di galie 200", sono di ritorno a Venezia.
Questa lunga missione, attuata con impegno e scrupolo, non doveva restare senza conseguenze. La relazione, presentata in Consiglio il 3 settembre era, infatti, una pesante denuncia delle insufficienze amministrative, della noncuranza, delle rivalità interessate dei rappresentanti veneziani, e particolarmente del luogotenente di Cipro Giov. Paolo Gradenigo; venivano sottolineati i grandi debiti contratti fin dal 1483 (circa 170.000 ducati) nell'isola, il cattivo uso dei "caxali alienà a servidori e altri senza utile nostro, saria bon venderli; si parlò "di la fabricha di Famagosta"che "pocho mancha a compir" ma, in particolare, era il Gradenigo, unitamente ai suoi "consieri", che venivano posti sotto accusa, demandandoli al Consiglio dei pregadi. E anche se non si era taciuta la situazione di Nauplia, ove "la camera… va in la spesa, e non suplisse le guarde mal in ordene, non è pagati", tuttavia era stato il ritratto di Cipro e del suo luogotenente a colpire il doge; tanto che il 16 dicembre lo stesso Gradenigo giungeva a Venezia, accusando a sua volta il C. e il Salamon di aver "tolto danari di la Signoria contra il dover, e à le partide tutte". Ne uscì un lungo processo, con interferenze di competenza fra avogadori di Comun, capi dei Quaranta e la Signoria. La seduta più dura avvenne il 10 marzo del 1516. Al Gradenigo furono impugnate "18 oposition", losi dipinse "imperioso, superbo, disobediente, prosuntuoso", ma tutte le accuse, per le numerose amicizie di cui godeva, furono smantellate una per una, ritenute inconsistenti, e il Gradenigo fu assolto momentaneamente "con gran vergogna di Syndici". Bisognerà arrivare alla sentenza del 29 e 30 luglio 1517 per avere un riconoscimento ufficiale delle generali accuse del C., anche se ciò dette origine a tumulti e recriminazioni alle quali non rimase estraneo lo stesso Sanuto. Il processo tuttavia aveva messo in luce le connivenze nascoste del patriziato veneziano, tutti i sottili, fili che legavano una classe dirigente chiusa, ristretta, sorda alle denunce coraggiose, alle accuse circostanziate e precise quando colpivano alcuni suoi membri e incapace di un rinnovamento autentico e profondo.
Ma la vita del C. continua, sempre ricca di esperienze e impegni nuovi, spesa per gran parte in quell'Oriente che tante amarezze gli aveva procurato. Nel 1516 è "avvocato per le Corte", poi "offitialis super bechariis" (4 luglio 1517-maggio 1518); nel marzo 1520 è uno dei Cinque alla pace, e nell'agosto del 1521 si trova alle Rason vecchie. Nominato membro dei Quaranta nel 1522, quindi officiale alle Cazude (6 novembre-dicembre 1523), podestà e capitano a Sacile nel 1525, provveditore sopra i monasteri nel 1526, in seguito (dal 20 marzo al 15 maggio 1530 è "advocatus per omnes curias") al cottimo di Londra (5 nov. 1531-gennaio 1532), nel febbraio 1533 risulta "regni Cypri consiliarius" e oculato amministratore dell'isola (si indebita per coprire precedenti manchevolezze), mentre sente forte e imperioso il richiamo di Gerusalemme e del sepolcro di Cristo, della Terrasanta a lungo "bramata", per cui chiede ai capi del Consiglio dei dieci "per obligazioni di voto… di andar a visitar et reverir il sepulchro del Salvator nostro messer Iesu Christo". A Cipro sarà ancora nel 1535 in qualità di luogotenente, nuovamente interessato all'invio alla Camera "d'imprestiti" dei ducati riscossi dagli appalti, sulla "nave Canala", oppure dedito all'approvvigionamento di frumento ed orzo di Famagosta, città di "momento… alla conservatione di questo regno". E dopo il breve intervallo del 1536, anno in cui è eletto fra i Dieci savi, nel 1539 ritorna come "consiliarius" a Cipro, con una breve sosta alla Canea, partecipando alla sua difesa contro un improvviso attacco del corsaro turco Dragut. Al ritorno a Venezia, nel 1541 fa parte dei Pregadi, per ripartire due anni dopo nuovamente per l'Oriente in qualità di provveditore di Cefalonia. Segue la nomina a podestà e capitano di Rovigo e provveditore generale di tutto il Polesine nel 1554 (dal 3 dicembre 1553 al marzo 1554 è "provisor iustitiae novae"), immerso nelle discordie cittadine fra le diverse famiglie e casate, nelle risse continue: nell'agosto del 1555 è costretto a bandire e confiscare i beni della famiglia dei Magati "huomeni sediciosi".
Dopo la breve parentesi dell'elezione a "sopra agli atti" è in Oriente, come duca di Candia. E muore il 22 dicembre 1652 per gli "incommodi del viaggio", concludendo nella fatica e nell'impegno una vita interamente spesa al servizio della Repubblica. Questa, d'altra parte, volle onorarlo facendone dipingere il ritratto fra i senatori raffigurati nella sala del Gran Consiglio: un'attestazione di stima e di rispetto attraverso una "memoria" che voleva essere imperitura.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle voci, regg. 6, 7, 10, 11; Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, bb. 121, 287, 288, 289; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 2889: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio…, I, cc.115r-116v; Venezia, Bibl. naz. Marciana: G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 214r; M. Sanuto, Diarii, V-LVI, Venezia 1881-1897, ad Indices;E. A. Cicogna, Delle Iscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 130; B. Dudan, Il dominio venez. di Levante, Bologna 1938, pp. 231, 237, 253, 270; A. Ventura, Nobiltà e pop. nella soc. veneta del '400 e '500, Bari 1964, pp. 167-244.