NEGRI, Marc’Antonio
NEGRI, Marc’Antonio. – Nacque a Verona, presumibilmente nei primi anni Ottanta del secolo XVI.
La sua formazione culturale, religiosa e musicale avvenne nella schola acolytorum della città, dove poté godere della protezione dell’allora vescovo ausiliare Alberto Valier, del cui sostegno beneficiò a lungo, tanto che nel 1613, appena assunto l’incarico di vicemaestro di cappella in S. Marco a Venezia, dimostrò pubblicamente riconoscenza al protettore, nel frattempo divenuto titolare della diocesi veronese, dedicandogli il Primo libro delli salmi a sette voci [...] con il basso per l’organo. Il suo esordio editoriale era però avvenuto qualche anno prima con gli Affetti amorosi a tre voci [...] col suo basso continuo (Venezia 1608), «giovenili fatiche» offerte ai suoi patrocinatori veneziani Giacomo e Andrea Morosini.
Il titolo costituisce di per sé una dichiarazione d’intenti estetici e stilistici, giacché sottolinea – attraverso il termine «affetti», in gran voga nei frontespizi delle edizioni musicali d’inizio Seicento – la modernità di una scrittura musicale che, tesa all’accentuazione espressiva della parola e all’amplificazione delle sue risonanze poetiche, risuoni più incisiva all’orecchio dell’ascoltatore. Le 21 liriche intonate risultano in gran parte adespote (tranne due di Battista Guarini, una di Muzio Manfredi, tre di Giambattista Marino, tra cui la canzone Pur amata et amante posta in chiusura di libro); curiosamente, ben un terzo di esse figura anche nelle Canzonette a tre voci di Massimiliano e Alessandro Nuvoloni (Milano 1608).
A Negri si deve un’unica altra stampa di carattere profano, gli Affetti amorosi libro secondo (Venezia 1611; rist. anast. in Italian secular song 1606-1636. A seven-volume reprint collection, a cura di G. Tomlinson, V: The Eastern Po Valley, New York-London 1986, pp. 109-151), opera improntata alla varietà e alla policromia di organici e timbri, che assembla pezzi vocali sorretti dal basso continuo a pagine soltanto strumentali.
Dedicata a Carlo Belegno in segno di «divota servitù» (ma due brani sono espressamente indirizzati ad Andrea e Giacomo Morosini), viene comunemente considerata la prima collezione veneziana di monodie e duetti profani, generi poi condotti a maturazione nella Serenissima da due insigni colleghi di Negri in S. Marco, Alessandro Grandi e Claudio Monteverdi. Tuttavia, a rigore, il libro ha poco a che vedere con la temperie artistica lagunare, essendo stato compilato durante il periodo veronese (come rimarca Miller 1993, p. 14). Vi predominano le rime osculatorie del Marino (alcune musicate qui per la prima volta), ossia d’un autore che pure il Monteverdi ‘veneziano’ ebbe poi caro. Monodici sono i primi 16 pezzi, l’ultimo dei quali (Udite, lagrimosi dal Pastor fido di Guarini) porta la firma di Lucia Quinciani, una discepola di Negri; seguono tre duetti. La seconda metà del libro è occupata dalla mariniana Canzone de’ baci, un’ampia scena d’amor pastorale in sei parti tra Aminta e Clori, in cui il canto è condotto a una o a due voci; infine vengono intonati a cinque voci altri due madrigali mariniani. Tutta questa seconda metà del libro è punteggiata da miniature strumentali a due violini e basso continuo, di impianto e costrutto perlopiù molto semplice: Negri le denomina «Sonata» o «Sinfonia» a seconda che fungano da cornice che delimita i vari pezzi oppure da interludio tra un segmento e l’altro della scena pastorale. Entrambe le raccolte di Affetti amorosi utilizzano in genere schemi ritmici, profili melodici e formule armoniche caratteristiche della canzonetta; massiccio l’impiego di quegli artifici consueti di retorica musicale – talvolta vera e propria ‘musica per gli occhi’ – per mezzo dei quali il compositore traduce il verso del poeta in pittura sonora: caso esemplare, nel secondo libro, l’incipit di Già più volte tremante, dove la sillaba -man- è resa con una linea zigzagante e concitata che s’incaglia infine su un Mi bemolle ribattuto sei volte, imitazione di uno strider di denti (trascr. in Leopold, 1995, II, pp. 18 s.).
Dopo essere stato contralto nella cattedrale di Verona per alcuni anni, il 22 dicembre 1612 assunse l’incarico di tenore e vicemaestro di cappella in S. Marco a Venezia, successore di Bartolomeo Moresini, col salario di 80 ducati annui, incrementato a 100 tre anni dopo. Dalla fine del 1613 ebbe per superiore diretto Monteverdi, che lavorò tenacemente affinché la basilica dei dogi (una trentina di cantori, due organisti e una manciata d’altri strumentisti a fiato e ad arco, il cui numero poteva accrescersi di molto nelle solennità) recuperasse l’efficienza del secolo precedente e rinnovasse i fasti musicali. Negri aderì subito alla policoralità marciana: lo testimoniano i già menzionati Salmi a sette voci (Venezia 1613), ai quali è premessa una nota per l’esecuzione: sono richiesti sette cantori (due soprani, due contralti, due tenori, un basso) da distribuire in un doppio coro di quattro e tre parti secondo combinazioni di registri vocali di volta in volta differenti e indicate prima d’ogni salmo sì da garantire, assieme a una maggior varietà timbrica, una rotazione di ruolo tra i cantanti impegnati ora come solisti ora come ripieni.
Lo stesso anno sorse un conflitto di competenze tra Negri e Gasparo Locadello, capo della compagnia dei cantori di S. Marco: costui sosteneva che non spettasse al vicemaestro bensì a lui stesso, in quanto eletto dai colleghi, la responsabilità di guidarne le esecuzioni fuori dalla basilica. La questione, portata in agosto di fronte al doge Marcantonio Memmo, si risolse in effetti a favore di Locadello, in virtù di una prassi consolidata.
Nel 1616 Negri ottenne in beneficio dal doge Giovanni Bembo il monastero di S. Michele nell’isola di Veglia in Dalmazia (l’odierna Krk in Croazia), e dai procuratori di S. Marco la dispensa dal servizio canoro nelle solennità minori, fermo restando l’obbligo di supplire a eventuali assenze di Monteverdi. Il 30 aprile 1619 si dimise da S. Marco; a sostituirlo come vicemaestro venne chiamato, il 17 novembre 1620, Alessandro Grandi. Nel frattempo Negri aveva mandato alle stampe i Cantica spiritualia in missis et vesperis solennibus senis vocibus et organis concinenda (Venezia 1618), omaggio alla famiglia del doge che gli aveva concesso il titolo di abate: sul frontespizio campeggia infatti lo stemma del casato, e la lettera prefatoria datata 1° marzo, indirizzata alla monaca Laura Bembo, non tralascia di menzionarne gli illustri congiunti, ossia lo zio doge (che peraltro sarebbe morto due settimane dopo), il padre senatore Filippo e i fratelli Agostino, Bernardo, Benedetto; nel settembre precedente proprio Filippo aveva richiesto a Negri di sovrintendere a musiche e cantori durante la vestizione di Laura, entrata nel monastero veneziano di Ognissanti.
Morì prima del 3 ottobre 1624, data in cui fu nominato il suo successore a Veglia.
Nella Musica vaga et artificiosa di Romano Micheli, maestro di cappella romano (Venezia 1615), compaiono due soggetti musicali di Negri trattati in forma di canone.
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