BAROTTO (Varotta), Marcantonio
Le sole notizie sulla vita del B. ci sono fornite da una "scrittura" compilata sulla base delle confessioni da lui rese in Udine al protonotario della Santa Sede Iacopo Maracco, vicario generale del patriarca d'Aquileia, e a un commissario dell'Inquisizione forogiuliese, e da questo ultimo trasmessa al S. Uffizio di Venezia. Nato a Venezia da Nicolò, non sappiamo in quale anno, di professione "pitor de stendardi d'oro", il B. lasciò Venezia nel maggio 1564 e si recò in Francia, a Lione e oltre, "per veder le guerre". Non riuscì nel suo intento; si preparava già, deluso, a tornare in Italia, quando un Gasparo milanese, conosciuto a Lione, gli suggerì di dirigersi con lui alla volta della Bassa Savoia, per visitare Ginevra.
Il B. accetta volentieri, curioso di vedere "una terra dove erano tutti lutherani", gente cioè, come allora pensava, "che non credessero che fosse Iddio, né che confessassero cosa alcuna". Giunti a Ginevra, i due vengono attorniati da un gruppo di connazíonali, tra i quali spiccano Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico, e Niccolò Balbani, ministro della comunità italiana. Dopo averli accolti affabìlinente, il Balbanì chiede loro che cosa si dica in Italia di Ginevra: e alla risposta del B., che si sa che i Ginevrini sono luterani, e non credono a nulla, *se l'aridea". li giorno successivo i due italiani vengono condotti a una predica del Balbani contro il papato e i suoi abusi: commenta il B., "pareva che '1 parlasse sempre con mi". La sua fede comincia a vacillare; lo colpiscono profondamente le parole rivoltegli dal Balbani, che l'ha invitato a pranzare in casa propria: "che credete, che nui altri che siamo gentil'huomini onorati, et che habbiamo lassato le case nostre, et le patrie nostre, credete che siamo pazzi, et che vogliamo perdere l'amine nostre, et le robbe nostre ? là qui il signore Marchese che ha lassato il suo, et tanti altri che han sparso il suo sangue, et tutto questo facemo, et hanno fatto per Christo". Nei giorni successivi ascolta prediche, discute, viene mandato da un catechista che finisce di convertirlo. Viene accolto solennemente nella comunità italiana di Ginevra: "piangevo, pensandomi che tutto il tempo della vita mia per fin all'hora io havessi offeso Iddio, et che all'hora io havessi ritrovato la mia salute".
Il B. rimase tredici mesi a Ginevra, imparandovi l'arte "de taffetadi" presso un Fabio Todesco calabrese. Nel 1565 ottenne, dopo molte difficoltà, il permesso di recarsi a Torino ("venni in Italia perché io ero stuffo di star in Genevra, perché là non era alcun spasso"). Sta per cinque mesi a Torino lavorando come tessitore in casa di un cattolico, nascondendo la propria fede ed evitando con sotterfugi di recarsi a messa. Lo stesso fa a Milano, dove risiede per tre mesi. Da lì si reca a Mantova, dove conosce un *marzaro" calvinista, cui regala il catechismo di Calvino tradotto in italiano. Si lega di amicizia con lui e apprende che a Mantova "ne sono assai delli heretici specialmente nobw, ma che non si lassano intendere". Il B. fa conoscenza per l'appunto con uno di questi nobili, di cui ignora il nome, e ingenuamente gli chiede se può ragionar con lui la domenica della parola di Dio, poiché sa che ha cognizione della verità. La risposta del nobile è esplicita: "Figliolo, se voi conoscete la verità, ringratiate Idio, fate il fatto vostro, tenite la cosa in voi, né vi andate palesando, perché non è tempo adesso di ragionare di queste cose".
Le peripezie del B. continuano: da Mantova si reca a Venezia da uno zio, Francesco di Toldi, pittore di stendardi, che lo vuoi convertire al cattolicesimo; il B. teme che lo si consegni all'Inquisizione e fugge (a Padova, poi a Milano, Roma, Siena). Tornato a Venezia, va in Ungheria a combattere, e di qui pensa di recarsi a Cracovia "perché sapeva che in Moravia erano delli anabattisti et assai sette, et haveva caro dì parlar con loro et saper l'opinion loro". Per un certo tempo il B. vive ad Austerlitz, presso un nobile veneziano anabattista, anzi samosateno, Nicolò Paruta (il B. fa delle varie sette in cui si è imbattuto in Moravia un quadro particolareggiato e vivace), e aderisce per breve tempo alla dottrina del battesimo degli adulti. Legge le prediche dell'Ochino (che era morto appunto in casa del Paruta, lasciando vive memorie dei suoi ultimi giornì), l'Anatomia della messa di Agostino Mainardì e altri libri. Ma dopo due mesi, nonostante le preghiere del Paruta, lascia la Moravia * perché mentre che sono stato là... havendo visto tante fede, et tante sette, et una contraria all'altra, et che una condanna l'altra, et che tutti fanno catechismi, che tutti vogliono esser ministri, et chi tira in qua, chi tira in là, et tutte vogliono esser la vera chiesa, et che in una terra sola ben piccola detta Austerlici sono tredeci o quatordeci sorte di sette, io restai scandalizato assai di tanta varietà di fede et sette, talché tra me stesso comminciai a considerare che queste heresie potriano essere false, et che la fede della Chiesa Ro a fusse la vera, perché diceva fra mi, la vera chiesa et la vera fede è una sola, queste di costoro sono tante, quella della Chiesa Romana è una sola, tutti loro s'accordano e questi non, tutti questi sono huomini et tutti vogliono a suo modo, forsi che Calvino ha volsuto ancora lui così a suo modo".
Cosi, ormai sulla via del ritomo, ammalatosi gravemente e temendo di morire, è colto da un'ispirazione e va a confessare i suoi peccati, pensando di aver offeso troppo Iddio. Il priore del convento domenicano da cui il B. si reca lo rinvia, per l'assoluzione, al S. Uffizio di Udine. Qui il B., dopo essere stato interrogato per vari giorni, fu fatto abiurare e rinviato a Venezia dallo zio. Il 21 febbraio 1567 il vicario I. Maracco scriveva al patriarca aquileiese G. Grimani per informarlo della confessione resa dal giovane. "Non è così idiota" soggiungeva "che non sapia li fondamenti nostri, et quelli delli heretici imparati tutti in Genevra. A noi parve ch'egli fosse veramente convertito: il cuore lo vede sol Iddio".
Mancano altre notizie della vita del B., "di cui è incerta anche la grafia del cognome, poiché la variante Barotto, usata dal-Baint,on, non figura nelle fonti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio,b. 22 (Varotta Marcantonio); Udine, Bibl. della Curia arcivescovile, ins. 139, Maracco,lettere mss. 1563-1576, cc. 110v-111v, IISV, 135r; R. H. Bainton, Bernardino Ochino esule e rifor?n. senese del Cinquecento. 1487-1563,Firenze 1940, pp. 159-16???.