BRAGADIN, Marcantonio
Nacque nel 1590 (nel 1593 secondo una diversa indicazione) da Antonio (1568-1628) di Marcantonio (il difensore di Famagosta) e da Cecilia figlia del procurator "de supra" Barbon Morosini di Vincenzo. Ebbe tre fratelli: Alvise (1594-1665) che fu consigliere, Barbaro (1597-1656) anch'egli consigliere, e Lorenzo probabilmente scomparso assai giovane. Il padre fu capo del Consiglio dei dieci nel 1607 e podestà di Padova nel maggio 1619-settembre 1620; nel 1623 partecipò all'elezione del doge Francesco Contarini.
Il B., dapprima avviato alla carriera politica - fu savio agli Ordini e ufficiale alle Cazude, - la abbandonò, nel 1624, per quella ecclesiastica. Trasferitosi a Roma, Urbano VIII gli affidò alcuni incarichi in Romagna. "Doctor utriusque iuris" nonché "utriusque signaturae referendarius" venne nominato, nel dicembre del 1629, vescovo di Crema. Fece il suo ingresso della diocesi il 17 maggio 1630 e ne partì il 24 sett. 1631; "non tamen - afferma lo Zaccaria - Cremensem ecclesiam dimisit ante annum 1633". Nel testamento si ricorderà della cattedrale della sua prima sede episcopale, lasciandole un legato di 400 scudi.
Tenne quindi, sino al 1639, la diocesi di Ceneda. La visitò nel 1634 e ne ebbe un'impressione soddisfacente. Attaccato alla Repubblica - il Senato ebbe modo di ringraziarlo per i 1.000 ducati versati dai suoi fedeli per le necessità difensive della Serenissima -, non per questo sottovalutò il particolare tipo di giurisdizione spettantegli; si oppose pertanto fermamente alla pretesa, motivata col ricordo di antiche servitù, che anche Ceneda contribuisse ai tributi gravanti su Treviso e il suo territorio, e riuscì infine a ottenere una dichiarazione di esenzione per la cittadina insieme con il riconoscimento del diritto ad avere estimi a parte.
Il 3 ott. 1639 venne assegnata al B. la ben più importante sede vicentina: "gregem habeo numerosissimum", più di 168.000 anime, 21.000 delle quali a Vicenza, affermava nella Relatio status ecclesiae et diocesis del 1642, scritta, a conclusione della prima visita, con grande ricchezza di dati (assai più stringata invece sarà la relazione sulla seconda visita del 1649). Diocesi inoltre assai ricca: "habet agrum opulentissimum et feracissimum".
Ma il B. parve dimenticarsene con l'aggravarsi delle imposizioni in seguito alla guerra di Candia; Aurelio Boccalini, agente del re di Polonia, nel sottolineare il disagio della Terraferma di fronte alla crescente pressione fiscale, indicava l'esempio del Bragadin. Non solo "deplora le gravezze imposte al suo clero... dimostrando alla Repubblica che non è sì oppulente come lo crede", ma asserisce la sua incapacità a "resistere alle contributioni", e la conseguente intenzione di "abbandonar le chiese. Onde, perso il grege, sua Eminenza non sa come o con che habbia a sostenere l'offitio pastorale. Insta pertanto che si trovi sopra ciò qualche temperamento".
Indiscutibile comunque lo zelo pastorale del B.; la sua vita, a detta di un contemporaneo, era "esemplarissima ed illibata". Convocò due sinodi: il primo. (6, 7, 8, maggio 1647) risultò innovatore rispetto alle disposizioni risalenti ancora al 1583, alle quali precedentemente ci si rifaceva; il secondo (7, 8, 9 aprile 1652), semplice conferma delle costituzioni del 1647, si svolse quasi completamente sotto la presidenza del vicario generale Lauro Arrigoni per sopraggiunta indisposizione del Bragadin.
Nel frattempo il prestigio del B. si era accresciuto con la nomina a cardinale del 16 dic. 1641, con la quale si era voluto anche ricordare il nonno Marcantonio: "Quantus Avus fuerit docuit Salamina; docebit Roma tuo virtus pectore quanta latet" gli si augurava. Per questo aveva dovuto abbandonare la sua diocesi nel 1642-1644.
Un anonimo, assai introdotto negli ambienti curiali del tempo, di sentimenti accentuatamente antiveneziani, non gli attribuiva possibilità di ulteriori successi: "non può per adesso esser papa per due raggioni, una perché è venetiano et l'altra perché è troppo giovine. Non è divoto di corona alcuna eccetto che della sua Republica. Non è mal visto nel sacro Colleggio, ma gode poca cura. Il suo voto sarà sempre a chi vorrà la Republica, perché così è obbligato". Né su questo punto l'anonimo eccedeva; del tutto allineati con gli interessi veneziani, sono gli sforzi del B. per assecondare una conciliazione col duca di Parma e, morto Urbano VIII, i dichiarati tentativi per "procurar che l'elettione del nuovo pontefice cada in soggetto che sia utile alla cristianità, propenso e ben inclinato alla Serenissima Republica". Di estremo interesse sono le informazioni del B. al Senato sugli orientamenti e le manovre che portarono all'"elettione... applaudita con infinito giubilo di ogni ordine di persone" di Innocenzo X, il quale, "sia detto con pace di tutte le creature barberine, ... era di tutte il più qualificato et il più ornato".
A Roma il B. tornava nel 1655 partecipandovi all'elezione di Alessandro VII; qui si stabiliva definitivamente. Rinunciava, d'altronde, il 14 giugno, al vescovato e, per essere degnamente ricordato, versava l'anno dopo in Zecca 800 ducati a vantaggio dei mansionari della cattedrale di Vicenza. Si adoperò quindi per valorizzare, agli occhi del pontefice e degli altri cardinali, la lotta, che la sua patria sosteneva contro il Turco, sottolineando nel contempo l'estrema urgenza d'un soccorso concreto perché fosse efficacemente proseguita; ed ebbe una parte di rilievo nella riammissione dei gesuiti a Venezia, pretesa dal pontefice quale contraccambio per un più deciso appoggio alla guerra di Candia e per la concessa soppressione di due Ordini di scarsa importanza.
Sofferente di podagra - spesso lamentava d'essere "obbligato alla rigorosa custodia di una sedia", "cattività" che gli impediva d'allontanarsi di "un passo" - il B. morì a Roma il 28 marzo 1658.
Lo annunciava al Senato l'ambasciatore Angelo Correr, "amareggiatissimo vedendo sparir in un baleno un lume che senza iattanza può dirsi dava alla Chiesa, alla patria et alla benemerita sua casa non ordinario splendore". E, nel passare alle disposizioni testamentarie, accennava alla sua florida situazione finanziaria: "oltre alcune pensioni, di considerabile godeva i frutti del vescovato di Vicenza, la prepositura di San Bartolamio di Brescia et un priorato di Sacco Lungo nella diocese di Padova".
Fonti e Bibl.: Per la collocazione delle lettere del B. al Senato, Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 233, 236; le relazioni del B. in Città del Vaticano, Archivio della Sacra Congregaz. del Concilio, Relazioni dei vescovi dopo le visite ad limina: Venezia e Vicenza (1600-1807), cc.61r-73v; Ceneda (1590-1801), cc. 216r-225v; Venezia, Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 2357; Ibid., Archivio Morosini Grimani, B. 440/fasc. XXXVIII; Ibid., Cod. Cicogna 701/I n. XXV contenente ms. non numerato de La Statera de' purpurati... nel pontificato di Innocencio X viventi;Ibid., Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, p. 113; Venezia, Archivio di Stato, Inquisitori di Stato, 470, lett. dell'ambasciatore in Polonia G. Tiepolo del 25 febbr. 1647 con copia degli "avisi" di A. Boccalini; Ibid., Collegio. Relazioni, B. 40, cenno sul B. in relazione del 18 sett. 1630 del podestà e capitano di Crema Marcantonio Tiepolo; Ibid., Senato Dispacci Roma, f. 144, nn. 188 e 189; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, Cod. Ital., cl. VII, 925 (=8594): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, I, c. 179r; Ibid., Cod. Ital., cl. VII, 15 (=8304): G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio Veneto, I, col. 195r; Tiara et purpura veneta, Brixiae 1761, p. 269; F. A. Zaccaria, Cremensium episcoporum series, Brixiae 1763, pp. 26-27; T. Riccardi, Storia dei vescovi vicentini, Vicenza 1786, pp. 215-217; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinali, VII, Roma 1793, pp. 5-6; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Veneziane, I, Venezia 1824, p. 263; VI, ibid. 1853, pp. 847-848; A. Orsoni, Serie cronologica dei cardinali veneziani, Venezia 1833, p. 26; F. Sforza Benvenuti, Storia di Crema, Milano 1859, p. 292; Id., Diz. biogr. cremasco, Crema 1888, p. 75; V. Botteon, Gli stemmi dei vescovi nell'aula civica di Ceneda, Vittorio 1912, p. 79; C. Fassetta, Storia di Ceneda, Vittorio 1917, pp. 251-252; S. Rumor, I sinodi celebrati a Vicenza (1565-1863), Vicenza 1920, pp. 3 s., 7 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, p. 716; XIV, 1, ibid. 1932, pp. 14, 372; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 24, 145, 167, 368; G. Tassini, Curiosità veneziane, a cura di L. Moretti, Venezia 1964, p. 97; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles., VI, p.88; XII, p. 89; XVIII, p. 76; LX, p. 34; XCII, p. 510; XCIX, p. 229; P. B. Gams, Series episcoporum, pp. 784, 789, 807; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., X, col. 362.