COLONNA, Marcantonio
Nacque in Spagna, probabilmente a Madrid, nel 1724, figlio primogenito di Ferdinando, principe di Stigliano, gentiluomo di camera di Carlo di Borbone, e di Luigia Caracciolo di Santo Buono. Apparteneva ad un ramo della famiglia Colonna che con il nonno Giuliano si era trasferito da Roma a Napoli nel 1688. Fu principe di Aliano e di Stigliano e con tali nomi è spesso ricordato, dalle memorie e dai documenti coevi.
Come uomo di corte, col titolo di gentiluomo di camera d'esercizio, fu molto vicino al giovane re Ferdinando IV durante la reggenza Tanucci. In tale periodo ebbe incarichi sia diplomatici (si ha notizia di un suo viaggio a Genova e ad Innsbruck nel 1765 per complimentarvi alcune principesse) sia di carattere politico-amministrativo, come quello, nel 1769, di componente la giunta che si occupava dell'approvvigionamento dell'olio per la città di Napoli, da cui si dimetterà nel 1772. Come militare nel 1773 veniva nominato comandante le squadre e battaglioni dei volontari di marina, il corpo in cui venivano allogati i nobili destinati a circondare più da vicino Ferdinando IV.
L'anno successivo la sua vita di modesto aristocratico di corte, distintosi più per l'influenza - malvista dal Tanucci e dalla regina - esercitata sul giovane re che per grossi meriti politici, subiva una svolta con la nomina a viceré in Sicilia. Tale nomina non fu incontrastata. Già nel settembre del 1773 il Tanucci la proponeva a Ferdinando IV, considerando il C. "adatto o per mente, per lumi, per prudenza, per fermezza"; ma il re, non volendosi privare del suo consigliere, fece non poca resistenza, sia pregando il padre Carlo III di nominare un altro, sia ritardandone per diversi mesi la partenza. Questa opposizione di Ferdinando IV si univa alla riluttanza dello stesso C. ad accettare la nomina, legata probabilmente alla gravità e complessità della situazione siciliana. A Palermo, infatti, nel 1773 era scoppiata una rivolta contro il viceré Fogliani.
Il movimento, apparentemente popolare e capeggiato dalle corporazioni artigiane, era stato appoggiato o comunque non ostacolato dai gesuiti e dai nobili, che avversavano la politica agraria del Tanucci antiliberista e tendente a limitare la grande proprietà terriera. La rivolta aveva determinato, con la cacciata del viceré e il governo provvisorio dell'arcivescovo Filangieri, il ritorno allo strapotere della nobiltà dell'isola. Dovendo quindi nominare un nuovo viceré il Tanucci e Carlo III decisero di non rispettare la tradizione che voleva prescelto un esponente del l'aristocrazia siciliana, ma al tempo stesso, non osando ricorrere ad un napoletano, optarono per il C., che per la nascita spagnola e le non lontane origini romane poteva ritenersi un napoletano solo d'adozione.
Il C. aveva ricevuto particolareggiate istruzioni sull'atteggiamento da tenere nei confronti della nobiltà siciliana: suo non facile compito era farle rispettare le leggi e pretendere da essa il regolare pagamento dei crediti, senza applicare sanatorie, come era stato fatto in passato. Non si può dire - anche per la mancanza di studi approfonditi sul C. - se e fino a che punto egli sia riuscito in tale compito. Certo egli fu un viceré onesto, al di sopra delle parti; perciò, giunto a Palermo il 24 ott. 1774, provvedeva immediatamente a disarmare i forti della città, togliendo i cannoni di cui si erano impadroniti gli artigiani durante la rivolta contro il Fogliani, e contemporaneamente denunziava a Napoli l'eccessivo lusso dei nobili, le frodi dei senatori e la parzialità della giustizia.
Desiderando distinguersi dal suo predecessore, non favorì un ristretto gruppo di appaltatori e negozianti di grano e non frequentò le case dei nobili. Contro lo sfarzo di questi in occasione di feste o celebrazioni o della investitura monacale di fanciulle dell'aristocrazia rimise in vigore o emise leggi restrittive; colpì inoltre il gioco d'azzardo e l'esportazione clandestina del grano, da sempre effettuata dai maggiori produttori, che erano anche nobili. Per risolvere questo problema il C. non adoperò solo misure poliziesche, ma per rendere meno redditizio il piccolo contrabbando concesse una parziale liberalizzazione, togliendo alcune restrizioni per le esportazioni da Palermo.
L'operato del C. non fu tuttavia antinobiliare in modo aperto e deciso: egli mirava piuttosto a non inimicarsi l'aristocrazia e perciò spesso non impedì con la forza "lo sgoverno, le malversazioni e le ingiustizie" commesse alle sue spalle (Pontieri); inoltre una sua maggior decisione iniziale fu probabilmente attenuata dopo l'allontanamento del Tanucci. E infatti nel 1778 il Parlamento siciliano - che era la maggior espressione dell'aristocrazia dell'isola - ne chiedeva la conferma a viceré, perché "non avea mai urtato di fronte il potente baronaggio di Sicilia" (Insenga).
Pur non distinguendosi comunque come innovatore, egli nel complesso ebbe un certo rilievo politico, se non altro come necessario tramite fra l'azione conservatrice del Fogliani e quella riformatrice del Caracciolo. Valida fu inoltre la sua opera di promozione di opere pubbliche. In campo architettonico assecondò l'azione del pretore marchese di Regalmici, che tra il 1774 e il 1778 provvedeva all'abbellimento di Palermo, costruendo nuove strade, rifacendo ponti, restaurando fontane e monumenti, inaugurando la villa simmetrica sulla spiaggia meridionale della città. In campo culturale il C. promosse il trasferimento della biblioteca comunale in più ampi locali e la sua apertura al pubblico nel 1775, istituì scuole e convitti per i giovani delle varie classi sociali, gettò le basi per la fondazione dell'orto botanico.
Il 2 luglio 1778, dopo circa quattro anni di ininterrotto viceregno, il C. lasciava temporaneamente la Sicilia per trasferirsi, a causa di una malattia, a Napoli, sostituito dal Cortada col titolo di presidente del Regno. Nel dicembre dello stesso anno egli fece ritorno a Palermo, dove rimase per tutto il 1779 e una parte del 1780. In questa seconda più breve fase della sua amministrazione il C. non si distinse per azioni degne di nota, salvo l'inaugurazione dell'università nel 1779.
Nell'agosto 1780 il C. ritornava definitivamente a Napoli. Qui riprese la vita di corte, ricoprendo da quell'anno l'importante carica di capitano delle guardie reali. Morì a Napoli nel 1796.
Fonti e Bibl.: Brevi e sommari cenni biogr. Sono in P. Litta, Le fam. celebri italiane, s. v.Colonna, tav. XV; A. Coppi, Memorie colonnesi, Roma 1855, p. 399; M. D'Ayala, Vite de' più celebri capitani e soldati napol. dalla giornata di Bitonto fino ai giorni nostri, Napoli 1877, p. 397. Sulruolo ricoperto dal C. come gentiluomo di corte e sui primi provvedimenti antinobiliari in Sicilia vi sono diverse notizie nelle Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, ad Indicem. Sulla sua azione come viceré in Sicilia si sofferma ampiamente G. E. Di Blasi, Storia cronol. dei viceré, luogotenenti e presidenti delRegno di Sicilia (3 ediz., con appendice a cura di P. Insenga dal 1774 al 1862), Palermo 1867, pp. 655-659; e più brevemente - oltre al Litta - P. Lanza, Considerazioni sulla storia di Sicilia dal 1532 al 1789, Palermo 1836, pp. 537-540; E: Pontieri, Il tramonto del baronaggio siciliano, Firenze 1943, p. 144; D. Mack Smith, Storia della Sicilia medioevale e moderna, Bari 1970, ad Indicem; F. Renda, Baroni e riformatori in Sicilia sotto il ministero Caracciolo (1786-89), Messina 1974, pp. 85-87; Id., Dalle riforme al periodo costituzionale. 1734-1816, in Storia della Sicilia, VI, Napoli 1978, p. 237.