DORIA, Marcantonio
Nacque attorno al 1570 da Agostino e da Eliana Spinola di Goffredo, primogenito di tre maschi e due femmine: Gian Luta, Giacomo Massimo, Gian Carlo (tutti poi sposati con donne di casa Spinola: rispettivamente con Paola di Antonio, Brigida di Gaspare e Veronica di Ambrogio), Virginia (con Stefano Doria fu Paolo) e Battina.
Il padre del D., fedelissimo del vecchio Andrea Doria e poi dell'erede di lui Giovan Andrea, e ricchissimo finanziere legato alla Spagna, fu eletto doge nel 1601, dopo uno smacco fattogli subire dalla fazione di Ambrogio Spinola che, quattro anni prima, sfidando l'autorità di Giovan Andrea, era riuscita a preporgli Lazzaro Grimaldi Cebà.
Ma probabilmente già allora la posizione ideologica del D. non coincideva con quella paterna e familiare. Del resto, anche in occasione della incoronazione del padre il D. era lontano da Genova; si trovava a Napoli, dove sembra aver soggiornato per lunghi periodi, probabilmente con la giustificazione ufficiale di provvedere agli interessi della famiglia (e quando necessario della Repubblica) cospicui nel Regno. Eppure proprio al D. il teologo Antonio Prato dedicò la pubblicazione delle due orazioni pronunciate per l'incoronazione del padre, rispettivamente in Senato da Ansaldo Cebà (felicemente ambigua, tutta intessuta di doppi sensi e di considerazioni antioligarchiche sul "buon governo") e in duomo dal padre teatino Gerolamo Coleta. E se la spiegazione di questa dedica può trovarsi nella fama di "buon letterato" di cui godeva il D. (di cui peraltro non sembra sia rimasta alcuna opera ad attestare una attività specifica in tal senso), certamente era presente una sorta di complicità tra il Prato, il Cebà e il Doria. In effetti, scarna di dati che documentino una partecipazione pragmatica alla vita politica, la personalità del D. andrebbe piuttosto indagata attraverso la riflessione teorica da lui condotta ed affidata alla corrispondenza mantenuta da Napoli con gli esponenti della intellettualità genovese, ostile ad ogni forma di potere privato e fedeli ad un'ideale "egualità civile": cioè appunto con Ansaldo Cebà e con Matteo Pellegrini.
L'epistolario del D., recentemente segnalato dal Reale Simioli, raccoglie anche lettere al cardinale Alessandro d'Este, a Luigi Giuglaris ed allo storico Agostino Mascardi: lettere conservate negli Archivi di Stato di Modena, di Napoli e nella Biblioteca Estense di Modena. Tra l'altro, l'amicizia del D. col Mascardi consente di comprendere la motivazione della lettera di raccomandazione con cui il doge Agostino fece assumere il discusso storico genovese dalla Repubblica di Lucca.
A Napoli il D. risiedette ancora negli anni '20, in coincidenza con la seconda grave crisi monetaria che afflisse la città, per raccogliere informazioni economiche e finanziarie, che poi trasmetteva alla Repubblica e ai suoi funzionari interessati.
Così, nella primavera del 1622, insieme con Ottaviano Sauli e Paolo Serra, come lui "deputati di Napoli", comunicava informazioni finanziarie all'ambasciatore genovese a Madrid Costantino Pinelli, che dichiarava loro tutta la sua riconoscenza per avergli consentito la salvaguardia dei suoi interessi nel Regno.
L'unica carica ricoperta dal D. a Genova appare invece quella di senatore nel 1630. In quell'anno infatti, con tale qualifica, fece parte, con i procuratori Filippo Centurione e Gian Luca Chiavari, della deputazione incaricata delle accoglienze alla figlia di Filippo III e di Margherita d'Austria, Maria Anna.
Dopo questo incarico non si hanno altre notizie del Doria. Dal matrimonio con Isabella della Tolfa, figlia del conte Carlo di San Valentino, aveva avuto cinque figli, due maschi (Giovan Francesco, che continuò la famiglia, e Nicolò, marito di Maddalena Spinola fu Antonio, senza prole) e tre femmine (Vittoria, poi sposa del marchese di Lerma Agostino Spinola; Margherita; Barbara, in Agostino Lomellini). La sua fama di filantropo è confermata dai lasciti e dalla statua eretta in suo onore all'ospedale degli Incurabili.
Due omonimi gli sono pressapoco contemporanei: uno, Marcantonio Doria fu Filippo, nato nel 1600 e iscritto alla nobiltà il 9 dic. 1628; un altro, più insidiosamente equivocabile, è figlio di un Agostino fu Giovanni Battista.
Fonti e Bibl.: Istruz. e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Qasca, II, Roma 1951, pp. 144, 270, 273; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, I, p. 53; L. Levati, Dogi biennali di Genova, Genova 1913, I, pp. 463 s.; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1975, p. 161; C. Reale Simioli, Tracce di letter. ligure nelle carte napoletane dell'archivio Doria d'Angrì, in Accad. e biblioteche d'Italia, XLIX (1981), pp. 321-339 (sul quale cfr. Notiziario bibliografico, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, n. s., XXII [1982], ad Indicem).