FOSCARINI, Marcantonio
Figlio di Almorò (Ermolao) del ramo di S. Polo, e di Contarina Contarini, del ramo di S. Sofia, nacque, probabilmente a Padova, attorno al 1478. A suffragare tale ipotesi è la data del 27 maggio 1496, giorno nel quale il F. fu presentato per l'estrazione della Balla d'oro che consentiva ai giovani patrizi che avessero compiuto i diciotto anni (dal 1497 il limite fu riportato ai primitivi venti anni) di anticipare l'entrata nel Maggior Consiglio. Il tentativo fallì e fu seguito da altri due, nel 1500 e il 4 dic. 1503. Questo risultò positivo.
A presentare tutte e tre le volte il F. fu sua madre, poiché il padre stava scontando una condanna al bando perpetuo per il delitto di sodomia, comminatagli dal Consiglio dei dieci nel 1464. Nel 1513, con l'esborso di 100 ducati, ottenne la revoca del bando e poté tornare a Venezia. Ad affrettare la concessione del perdono contribuì forse anche il ruolo attivo svolto nella difesa di Padova, nel corso della guerra di Cambrai, un ruolo che gli vide accanto il F., recatosi nella città veneta con alcuni uomini al seguito e rimasto impegnato fino al 1513.
Nulla sappiamo invece delle attività del F. negli anni compresi tra il 1503 e il 1510. Ritornato dal lungo soggiorno padovano, come molti patrizi che volevano intraprendere l'attività politica non avendo alle spalle grandi appoggi e grosse risorse economiche, tentò la carta delle magistrature giudiziarie minori e degli impieghi presso le corti civili di primo grado. Nell'ottobre del 1514, invece, fu nominato podestà a Lonigo, con Marostica, una delle due sedi governate da patrizi veneziani nel territorio vicentino e da poco tornata alla Serenissima.
Assolto il mandato, il F. ritornò a Venezia e tentò la strada della Quarantia, il massimo organo giudiziario d'appello, ricercato dai patrizi in carriera anche perché dava la possibilità ai suoi componenti di accedere al Senato. Con l'esborso di 200 ducati il F. ottenne di farsi eleggere nella Quarantia civil novissima. Altri 200 ne offrì per la carica di rettore nel lontano possedimento di Tine e Micne, assegnata invece ad altri per una somma maggiore. La raccolta dei Consegi attorno a questi anni attesta un'intensa ricerca del F. per ottenere qualche incarico. Il 31 luglio del 1517 gli riuscì finalmente di farsi eleggere nella Quarantia civil vecchia, ove si discutevano gli appelli delle cause civili della Dominante. Tra il 1518 e il 1520, inoltre, fu per due volte dei tre capi della Quarantia criminale, la più importante delle corti d'appello, e in tale veste ebbe la possibilità di accedere per diritto alla Signoria. Nel 1520 il servizio lo richiamò ancora fuori città, in Dalmazia, ove andò verso la fine dell'anno per assumere la carica di conte a Pago, uno dei più importanti centri di produzione ed esportazione di sale della Repubblica.
Scriveva in una relazione del 1525 che Venezia traeva "de questo loco per conto de sali ogni anno da ducati 3.000 in circa". Dalla medesima relazione si apprende anche che gli uomini adulti presenti sull'isola erano circa 500, che il gettito fiscale di Pago era di circa 860 ducati l'anno a fronte di 830 ducati di spese e che l'appannaggio del conte ammontava a quel tempo a circa 1.100 lire "de piccoli".
Rientrato a Venezia nel 1524, il F. fu uno dei Signori di notte, magistratura che lo occupò per un anno e che tornò a ricoprire nel 1527. Nel corso di questi stessi anni continuò a candidarsi per le magistrature giudiziarie delle Quarantie, rifiutando anche una podestaria a Pirano, alla quale era stato eletto nel 1524, e mostrando di preferire incarichi domestici o reggimenti meno disagevoli come quello di Bassano, per il quale propose, senza successo, la sua candidatura.
Mediante l'offerta di 450 ducati il F. ottenne nel 1527 la nomina a provveditore sopra Camere, magistratura finanziaria di una certa importanza preposta al controllo delle entrate e delle uscite dello Stato e alla vigilanza su tutto il sistema delle imposte ordinarie nonché ai pagamenti dell'esercito. Le sentenze di questo magistrato erano appellabili solo davanti al Pien Collegio e i magistrati di questo ufficio, per l'importanza che rivestiva la loro carica, avevano ingresso in Senato con la facoltà di far proposte e di votare.
Nel 1530 la carriera del F. si arricchì ulteriormente con la nomina a provveditore alla Sanità, che aveva estese responsabilità e giurisdizione sull'intero Stato veneto. Continuò, nel frattempo, a prestare soldi allo Stato e a cercare di ottenere la dignità senatoria. Agli inizi degli anni Trenta fu di nuovo provveditore sopra Camere e rifiutò la carica di magistrato sopra gli Uffici. In questo decennio, contrassegnato dal governo del doge Andrea Gritti e dalla vivacità sempre più intensa del dibattito politico in seno alla classe dirigente veneziana, la carriera del F. ebbe il salto di qualità che egli aspettava. Nel 1534 entrò in Senato come membro ordinario e nel corso degli anni successivi vi tornò sia come ordinario sia come aggiunto, partecipando alle drammatiche sedute che videro contrapporsi i fautori di una politica veneziana più audace e dinamica sullo scenario internazionale e quelli che viceversa si richiamavano a una maggiore prudenza, consci dell'impossibilità che la Serenissima tornasse a essere la potenza del XV secolo.
Il F. fu nominato podestà di Bergamo nel 1536 e vi rimase fino al novembre dell'anno seguente. Non disponiamo della relazione di questo reggimento; gli scarsi dispacci che il F. inviò alle autorità veneziane ce lo mostrano impegnato soprattutto in questioni relative ai dazi di confine e al contrabbando. Al suo rientro tornò agli incarichi amministrativi e giudiziari: fu dei Tre in luogo di procuratore e dei Tre sopra atti del sopragastaldo. Dopo un tentativo fallito nel 1540, nell'aprile del 1542 il F. fu eletto capitano a Verona, città e territorio tra i più importanti della Serenissima, dove restò fino all'agosto del 1543, occupandosi della parte militare e fiscale del reggimento. Dovette senza dubbio occuparsi di difesa militare e di manutenzione del sistema fortificato, come si desume, in mancanza di una sua relazione, dalle informazioni e dalle considerazioni fornite dai colleghi che immediatamente lo precedettero e lo seguirono nel medesimo incarico. Anche nel corso degli anni Quaranta la carriera del F. ebbe un percorso prestigioso, nel quale spiccano un nuovo ingresso in Senato, come aggiunto, nel 1544, e la carica di podestà a Padova il 19 apr. 1545. Qui si trattenne fino al 20 giugno del 1546, affiancato dal patrizio G. Zane in qualità di capitano. Anche di questo, che fu il più prestigioso incarico ricoperto dal F. in Terraferma, non ci è rimasta la relazione ma solo un esiguo numero di dispacci inviati al Collegio e ai capi del Consiglio dei dieci.
Padova si presentava - a leggere le relazioni degli altri rettori - come la seconda città dopo Venezia, ricca e indispensabile rifornitrice di alimenti per la Dominante, sede di una prestigiosa università, ma anche abitata da una nobiltà talvolta riottosa e al centro di grossi interessi economici sia del patriziato veneziano sia della Chiesa. Il prestigioso Studio era poi sempre fonte di preoccupazioni sotto il profilo dell'ordine pubblico e da qualche tempo anche di quello religioso. Tutto questo dovette affrontare il F. e si deve ritenere che lo facesse in modo adeguato perché, rientrato a Venezia, tra il 1546 e il 1548 il suo nome fu ripetutamente inserito tra i candidati al Senato e al Consiglio dei dieci.
Nel primo dei due il F. entrò nel 1548, nel 1549 e poi ancora nel 1551. Nel 1553 fu eletto censore e iterò la carica anche nel 1557. Fu un decennio assai intenso per l'ormai anziano F., scandito dalla presenza alternata nei due più importanti consessi della politica veneziana, Senato e Consiglio dei dieci, mentre il suo nome era frequentemente tra le candidature per i governatorati più prestigiosi della Terraferma. Nel giugno 1556 fu tra i quarantuno grandi elettori - dei quali era il decano - che elessero doge Lorenzo Priuli. Nel 1558 fu eletto nel Consiglio dei dieci, che lasciò di lì a poco per assumere l'incarico di consigliere per il sestiere di Dorsoduro; l'anno dopo rientrò in Senato e ancora nel Consiglio dei dieci e alternò entrambe le cariche anche negli anni successivi, con alcune parentesi in altri settori dell'amministrazione pubblica.
Nel 1560 fu dei Tre sopra le fabbriche del palazzo; nel 1562 provveditore agli Olii, ufficio cui competeva l'approvvigionamento di olio della Dominante e l'amministrazione dei prezzi e dei dazi sull'intero territorio della Terraferma, e ancora conservatore alle Leggi, ossia supervisore della corretta procedura alla quale dovevano attenersi gli uffici giudiziari dello Stato. Nel marzo del 1563 fu nominato sopraprovveditore alle Pompe, una magistratura che il Senato aveva recentemente dotato di poteri più ampi, allo scopo di intensificare la vigilanza e la lotta al dilagare del lusso, in obbedienza al disegno di una più generale moralizzazione e di un più incisivo controllo sociale.
Nel novembre del 1563 il F. fu nominato ancora una volta membro del Consiglio dei dieci. Morì il 2 dic. 1563 nella dimora di S. Caniano.
Per ben tre volte nell'ultimo scorcio della sua vita - nel 1559, nel 1560 e nel 1563 - era stato nella rosa dei candidati alla prestigiosa carica di procuratore di S. Marco, segno, al di là della mancata elezione (non riuscì mai a ottenere più di un terzo dei voti), della sua fama di patrizio sperimentato e irreprensibile. Della sua vita privata e del suo patrimonio non sappiamo molto e non disponiamo neppure del testamento. La dichiarazione dei redditi presentata nel 1537 indica il possesso di alcuni immobili a Venezia, una vigna a Malamocco e una grossa proprietà a Bovolenta presso Padova, costituita da immobili e terreni coltivati. Il tutto, unito a una rendita da titoli di Stato, assicurava all'epoca al F. un'entrata annua di 250 ducati.
Si sposò tre volte: nel 1518 con Giulia Bembo; nel 1520 con Chiara Surian; nel 1523 con Cecilia Corner. Ebbe un figlio maschio e tre femmine, di cui solo il primo sicuramente dalla terza moglie. Le figlie Contarina, Orsetta ed Elisabetta sposarono rispettivamente nel 1539 Giovanni Lippomano, nel 1547 Piero Contarini e nel 1546 Giovanni Donà delle Rose. Il maschio, Almorò (o Ermolao), nacque il 24 nov. 1528 e si dedicò, come il padre, al servizio dello Stato, compiendo una carriera tranquilla e onorata anche se non particolarmente brillante. Sposò nel 1546 Diletta Querini, dalla quale ebbe undici figli, tra maschi e femmine. Dopo aver esercitato cariche in città nella Terraferma, raggiungendo anche la dignità senatoria, morì nel 1576. La continuità della famiglia fu assicurata dai figli Gerolamo e Leonardo, i soli, tra i nove maschi, ad avere avuto figli dai rispettivi matrimoni. Le due femmine, Foscarina e Cecilia, entrarono per matrimonio nelle famiglie Arimondo e Loredan.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, II, c. 514; Avogaria di Comun. Balla d'oro, b. 164, c. 166v; b. 165, c. 187; Libri d'oro. Nascite, reg. 51, c. 243v; Cronaca matrimoni, reg. 107 (a. 1523); Provveditori… alla Sanità. Necrologi, b. 799; Consiglio dei dieci. Misti, reg. 16, c. 130 (condanna del padre); Dieci savi alle Decime di Rialto, b. 99, San Polo, n. 248; b. 58, n. 12 (redditi del padre); b. 167, n. 224, Santa Croce (redditi dei nipoti). Sul cursus honorum del F.: Ibid., Segretario alle Voci. Misti, regg. 8, c. 74v; 10, cc. 13, 30v, 40; 11, cc. 6v, 13, 30v, 75v, 114v; 12, cc. 5, 6, 7, 15, 26, 28, 61; Elezioni Pregadi, regg. 1, c. 74; 3, cc. 46, 52, 62; Elezioni Maggior Consiglio, regg. 1, cc. 6v, 14v, 17v, 28v, 125v; 3, cc. 2v, 5v, 10v; Miscellanea codd., I, reg. 47: Cronica (cc. non num., alle date); Capi del Consiglio dei dieci. Giuramenti rettori, regg. 2, c. 151; 3, cc. 7, 31v, 44; Lettere rettori, b. 1 (cc. non num., Bergamo); b. 82, cc. 88, 89 (Padova); b. 193, cc. 123, 136, 137, 138 (Verona); utile anche Ibid.: G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, p. 299; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, II, cc. 39v-40; ibid. 2499: M. Barbaro, Arbori de' patrizi veneti…, III, c. 280; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 814 (= 8893): Raccolta dei Consegi, cc. 136, 163, 169, 242; 817 (= 8896), cc. 8, 10, 159, 169, 184, 215, 249, 250v, 288, 293; 818 (= 8897), cc. 5, 109, 138, 150, 175, 203, 260, 262, 264; 819 (= 8898), cc. 61, 62, 85; 820 (= 8899), cc. 45, 112, 138, 231, 233, 241, 256, 260v, 276, 291, 307, 315 s., 319; 821 (= 8900), cc. 27, 30, 32, 35, 37, 107, 115, 117, 159, 161, 167, 168v, 170, 173, 182, 201, 221, 224, 296, 307; 822 (= 8901), c. 237; 823 (= 8902), cc. 37, 58v, 64, 73, 97, 147, 174, 235 s., 240, 291v, 327v; 824 (= 8903), cc. 11, 12v, 24, 29, 97, 101, 149, 181, 204, 208, 235, 258, 274v, 318; 825 (= 8904), cc. 21, 34, 45, 152, 161v, 183, 240, 242, 268v, 285v, 317v, 322v, 334, 343 s., 346v, 315v, 352v; 826 (= 8905), cc. 40, 43v, 57, 59, 110, 114v, 128v, 134v, 140v, 170, 173, 191v; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1880-1903, IX, X, XVII, XIX, XXII-XXV, XXVIII, XXIX, XXXV, XXXVII, XLIII, XLIV, XLIX-LI, LIII, ad Indices; A. Gloria, I podestà e capitani di Padova dal 6 giugno 1509 al 28 apr. 1797, Padova 1861, p. 18; B. Bressan, Serie dei podestà e dei vicari delle città e territorio di Vicenza durante la signoria veneziana, Vicenza 1877, pp. 8-14, 48; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori vineziani, Venezia 1754, II, p. 391; A. Da Mosto, I dogi di Venezia, Milano 1966, p. 330; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, IV, Podestaria e capitaniato di Padova, Milano 1975, p. L; IX, Podestaria e capitaniato di Verona, ibid. 1977, p. LXXXII; XII, Podestaria e capitaniato di Bergamo, ibid. 1978, p. XXXVII.