FRANCESCHINI, Marcantonio
Nacque a Bologna il 5 apr. 1648 da Giacomo e Giulia Maffei, entrambi bolognesi; fu fratello del musicista Petronio.
Lo Zanotti (1739, p. 219) descrive il F. come un uomo buono, di oneste maniere, solito riposarsi dalle fatiche della pittura applicandosi al suono del liuto. Un autoritratto datato 1701-1705 (Firenze, Uffizi) ne documenta l'aspetto intorno ai cinquant'anni. Resta, fonte eccezionale, il Libro dei conti del F. (Bologna, Biblioteca comunale), che ne documenta la produzione dal 1684 al 15 sett. 1729.
Il F. iniziò gli studi artistici presso G.M. Galli, detto il Bibiena, alla morte del quale (1665) visse un'esperienza da autodidatta. Intorno ai vent'anni entrò nella bottega di C. Cignani, il quale aveva come allievi anche il figlio Felice e il cugino Luigi Quaini. Quest'ultimo sarà in seguito collaboratore inseparabile del Franceschini. Il Cignani, con i suoi aiuti, realizzò cicli pittorici in diverse città emiliane. Il F. lo seguì per tutto l'ottavo decennio venendo impiegato, principalmente, nella traduzione ad affresco dei disegni del maestro.
A Bologna, sempre insieme con il Quaini, lavorò alle Storie di s. Gaetano (1671) nelle lunette del portico di S. Bartolomeo, quindi alle Storie dis. Filippo Benizzi (1672) nel portico di S. Maria dei Servi e, nel 1673, a La Vergine appare as. Petronio nell'abside di S. Petronio. Sui disegni del maestro il F. si cimentò ancora a Forlì, insieme con T. Aldrovandini, nella chiesa di S. Filippo Neri, a Massalombarda, in S. Maria del Carmine, e a Parma, nel palazzo del Giardino, dove traspose i cartoni del Cignani raffiguranti favole mitologiche allusive alla Potenza d'Amore. L'impresa parmense, condotta insieme con il Quaini, l'Aldrovandini e F. Cignani, venne realizzata in circa due anni, a partire dal 1678. I cartoni, conservati a Hampton Court, dimostrano la rispettosa traduzione delle idee del maestro da parte dei suoi collaboratori.
Nel 1674 il F. eseguì in proprio la pala con S. Filippo Benizzi rifiuta la tiara per la chiesa di S. Lorenzo di Budrio. Dal 1680 si svincolò dalla bottega del Cignani. Fino al 1682 lavorò alla decorazione dei palazzi delle famiglie nobili bolognesi Ranuzzi, Monti e Marescotti, avendo accanto, per le cornici prospettiche, il quadraturista E. Haffner. In palazzo Ranuzzi (oggi palazzo di Giustizia) la sua opera più celebre è il soffitto ornato con la Fortuna che trascina Amore bendato e incatenato in un contesto di figure a monocromo che fingono rilievi; il tema centrale è completato, negli angoli, dalle Quattro stagioni e, nelle lunette, da Giochi di putti. Ripropose soggetti mitologici in palazzo Monti (poi Salina) dove raffigurò un Mercurio che convoca le dee per il giudizio di Paride, un Bacco e Arianna, e una Gloria di Apollo. In palazzo Marescotti (poi Brazzetti) affrescò le volte della sala, con una allegoria di Bologna incoronata dallaVittoria che riceve la palma da Giove, e una camera minore, dove eseguì Venere e Amore. Nel corso di tali esperienze lo stile del F. evolse verso una misura classica e un purismo formale di cui sono evidenti le origini nel Domenichino e che rimarranno costanti nella sua produzione.
Documentano lo stile del F. nella prima maturità opere come i due dipinti su rame con La comunione di s. Maria Egiziaca (Londra, coll. Pope Hennessy) e con L'estasidis. Maria Maddalena (Bologna, coll. Molinari Pradelli) - datati intorno al 1680 e donati nel 1709 a Clemente XI - in cui il Roli (1977, p. 23) individua "il contemperamento del correggismo cignanesco con il raffaellismo reniano"; caratteri presenti anche nei Ss. Bartolomeo e Severo (1683) della Pinacoteca di Ravenna e nella Nascita di Adone (1684-86: Dresda, Gemäldegalerie).
Dal 1685 al 1690 il F. realizzò una serie di pale d'altare e affreschi per diverse chiese di Bologna. Tra i dipinti particolarmente lodati furono la S. Elisabetta d'Ungheria sviene davanti a Cristo (1685) per S. Maria della Carità, e, per la chiesa del Corpus Domini, il Transito di s. Giuseppe (1686-88), uno dei suoi lavori di maggior successo in seguito più volte copiato. Sempre al Corpus Domini, nel 1686-87, lavorò nuovamente per i Monti decorando la cappella di famiglia (danneggiata durante la seconda guerra mondiale). La cappella, preziosa per la profusione di motivi ornamentali, presentava la volta dominata dalle figure di Salomone eDavide assisi su banchi di nubi e circondati da angeli musicanti e i triangoli animati da coppie di putti in atteggiamento festoso. Di questo periodo è anche la Madonna e i ss. Giovanni Battista, Luca, PierCelestino per S. Giovanni Battista dei Celestini. Nel 1690 vennero terminati gli affreschi dell'abside di S. Bartolomeo: il Santo risana l'indemoniata, il Santo atterra l'idolo, il Martiriodel santo.
Completano l'attività del F. nel nono decennio le opere eseguite fuori Bologna. Al 1680 si ritiene che appartengano le pale d'altare di Finale Emilia, vicine ai modi cignaneschi: il dipinto raffigurante i Ss. Pietro, Paolo, Alberto, Lucrezia nella chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo e la Madonna, il Bambino e s. Filippo Neri nella chiesa del Rosario. Nel 1683 dipinse per il duomo di Piacenza l'Immacolata Concezione, ora nell'arcivescovado, mentre nel 1687 eseguì il S. Tommaso di Villanova soccorre un povero per la chiesa di S. Agostino a Rimini. Nel 1688-89 fu impegnato, con accanto il Quaini, negli affreschi del duomo di Piacenza. Di questi affreschi, trasportati su tela alla fine dell'Ottocento, si conservano solo il Sogno di s. Giuseppe (in deposito presso il palazzo Bisotti) e parte della Circoncisione, mentre sono andate perdute, nel corso della seconda guerra mondiale, le Virtù (Fede, Umiltà, Carità, Verginità) dipinte nei pennacchi della cupola.
L'ultimo decennio del secolo conferma il successo dell'artista e registra una fortunata proiezione del suo lavoro in area europea. Però il F. non volle mai allontanarsi da Bologna.
Rifiutò, ad esempio, prima l'invito di Carlo II, re di Spagna, che fu di conseguenza accolto da L. Giordano, poi quelli dell'elettore palatino Johann Wilhelm, che lo voleva a Mannheim perché decorasse il suo palazzo di città, e del principe del Liechtenstein che gli prospettava un incarico a Vienna. Tra i numerosi collezionisti europei furono suoi clienti anche Augusto Federico II di Sassonia, il principe Federico Cristiano, conte di Schaumburg-Lippe, il marchese di Exeter, il conte Kaunitz. I soggetti richiesti dalla colta aristocrazia europea ruotavano soprattutto intorno a eventi mitologici, favole arcadiche, fatti veterotestamentari e temi letterari.
Il principale committente straniero del F. fu il principe Adamo Giovanni di Liechtenstein che, nel 1692, lo incaricò di dipingere ventisei tele per il suo palazzo di Rossau nei sobborghi di Vienna. Il rapporto tra il principe e il F., favorito probabilmente dal Cignani, era iniziato nel 1691, anno in cui il pittore inviò due tele (una Prudenza e una Giustizia, a mezza figura). I rapporti epistolari tra i due sono documentati dalle lettere pubblicate dal Miller nel 1991 (pp. 189 ss.), riguardanti i periodi 1691-1700 e 1704-1709. La lunga e cordiale intesa - il F. fu anche consigliere del principe per l'acquisto di opere d'arte - è misurata dalla realizzazione di ben quarantadue dipinti. Le prime sedici tele, eseguite tra il 1692 e il 1698, raffigurano otto Storie di Diana e altrettante Storie diAdone; attualmente queste opere sono conservate a Vaduz. Nel palazzo di Rossau si trovano le tele realizzate tra il 1706 e il 1708 e consegnate nel 1709. Per la galleria il F. ideò tre temi, da collocare lungo l'asse longitudinale: come motivo di centro, compose Giunone e Apollo con Cerere, Flora e Bacco accompagnati da altre divinità minori; come motivi laterali, Giove con Mercurio e Marte, Venere, Cupido.
Questi dipinti furono eseguiti in sostituzione della decorazione ad affresco richiesta in prima istanza e che non fu possibile realizzare per il rifiuto del F. di trasferirsi a Vienna. Il committente chiese al F. di condurre tutti i soggetti di sua mano, ma dovette accettare che il pittore si servisse del Quaini, autore dei paesaggi, perché senza un aiuto, come ebbe a chiarire lo stesso artista, la grande mole di lavoro avrebbe impedito il felice esito dell'impresa. Lo Zanotti scrive al riguardo una frase illuminante: "Era sì grande la folla de' lavori commessigli, che gli bisognava talora pignere ancora di notte" (1739, p. 224). L'esecuzione dei dipinti da parte del F. e dei suoi aiutanti era anche facilitata dal ricorso a modelli di base, una sorta di repertorio figurativo a cui attingere per più tipologie di figure o per particolari di scena. Il Roli (1977, p. 28) nota a questo proposito come quattro su cinque delle tarde tele di palazzo Podestà, già Pallavicini, a Genova, ripetano composizioni ideate per la prima serie delle tele Liechtenstein.
Nell'ultimo scorcio del secolo furono realizzate opere di grande respiro tra Bologna e Modena. Al periodo 1689-96 risale il ricchissimo ciclo decorativo, molto danneggiato a seguito dei bombardamenti del 1943, per la chiesa bolognese del Corpus Domini, detta anche "della Santa" appellativo con cui a Bologna è comunemente chiamata s. Caterina de' Vigri, protettrice degli artisti.
L'iconografia celebrativa di questa religiosa bolognese, realizzata con la collaborazione del Quaini e di E. Haffner, si svolgeva in zone affrescate (pareti, volta, cupola ) e in alcune pale d'altare. Nella facciata interna la Visione di s. Caterina de' Vigri (perduta), tradotta come un nuovo Sposalizio mistico con Gesù; nella volta, Apoteosi della santa (in stato frammentario); nella cupola, la Gloria della santa; sopra gli archi delle cappelle, figure di Virtù. Lo stato originario dell'affresco raffigurante l'Apoteosi della santa è documentato da una copia di autore ignoto del XVIII secolo (Collezioni d'arte della Cassa di risparmio di Bologna).
Per le pale d'altare il F. privilegiò l'esecuzione a tempera, una tecnica scelta perché la pittura potesse essere apprezzata da ogni angolazione e per creare un più armonioso rapporto cromatico con le parti architettoniche. Nacquero così, per l'altare maggiore, la Comunione degli apostoli (1694) e le due pale laterali raffiguranti Fatti della santa. Altre opere del F. al Corpus Domini sono l'Annunciazione, ancora a tempera, e la decorazione della cella sepolcrale.
Nello stesso periodo il F. realizzò, per la chiesa di S. Maria di Galliera dei filippini, gli affreschi della volta (Virtù teologali) e la pala con la Madonna in gloria e i ss. Francesco di Sales e Francesco di Assisi (1693-95), mentre, per la chiesa di S. Agostino a Imola, dipinse la Crocifissione e Anime purganti (1694-95). Nel 1696 dipinse a Modena il soffitto del salone nel palazzo ducale, pitture danneggiate da un incendio del 1815. Affiancato, per la scenografia architettonica, da E. Haffner, su troni di nubi collocò l'Incoronazione di Bradamante da parte di Giove e Divinità olimpiche che assistono all'evento, un tema allusivo alle nozze tra Rinaldo I d'Este e Carlotta Felicita di Brunswick. Sempre per Modena dipinse, più tardi, tra 1699 e 1700, la tempera con S. Carlo invoca la fine della peste, per l'abside della chiesa di S. Carlo.
Nel 1701 fu impegnato a Reggio Emilia con la decorazione ad affresco della cappella del Tesoro in S. Prospero, dove rappresentò S. Prospero tra i ss. Venerio e Gioconda, la Vergine col Bambino e angeli musicanti, Putti alati, nei pennacchi, e Miracoli di s. Prospero a monocromo sulle pareti laterali e su quella d'ingresso. In questa circostanza ebbe al suo fianco, per il paesaggio e altri particolari, il Quaini e Francesco Antonio Meloni, e, per la quadratura, in parte in rilievo e in parte dipinta, E. Haffner; è ricordato anche un quarto collaboratore, Antonio Alai, che eseguì le decorazioni a stucco, servendosi di modelli di Haffner riveduti dal F., poi dorate da Giovanni Pellegrini. Nella sagrestia di S. Prospero è conservato un dipinto a olio, attribuito allo stesso F. o a un suo seguace, raffigurante la Vergine assisa in nubi con s. Prospero tra i ss. Venerio e Gioconda, che si presenta come una ricomposizione degli affreschi del santuario.
Completati i lavori in S. Prospero il F., accompagnato dal Quaini e, per le quadrature, dal Meloni e dall'Aldrovandini, si trasferì a Genova per eseguire gli affreschi, andati distrutti da un incendio del 1777, nella sala del Maggior Consiglio del palazzo ducale. Di questa prestigiosa commissione, conclusa nel 1704, rimangono la serie di cartoni nel Museo dell'Opera del duomo di Orvieto. L'iconografia svolgeva temi celebranti le virtù politico-militari della Repubblica. Sul soffitto erano dipinte La Liguria trionfante con la Fortuna e la Libertà, La conquista di Gerusalemme, La divisione delle spoglie di Cesarea e, sulla porta d'ingresso, La battaglia della Meloria.
Dal 1704 al 1710 l'attività del F. si svolse nella città natale e fu caratterizzata da una consistente produzione di opere per privati. Oltre alle tele per il palazzo di Rossau, il F. eseguì, per il cardinale P. Ottoboni, i rami con La liberazione di s. Pietro (1708) e La decollazione di s. Giovanni Battista (1709) e le due tele dell'Accademia Albertina di Torino (1709) con Armida in atto di uccidere Rinaldo ed Erminia tra i pastori e Armida abbandonata (Roli, 1977, pp. 101, 259).
Intanto a Bologna, fin dal 1706, G. Zanotti aveva gettato le basi per la fondazione di una accademia di belle arti, aggregando attorno all'idea i più noti artisti e uomini di cultura della città. Il conte L.F. Marsili intercedette presso il Senato e Clemente XI, al quale furono inviati in dono l'Estasi della Maddalena e la Comunione di s. Maria Egiziaca eseguite dal F. intorno al 1680. Nel 1710 venne inaugurata l'Accademia, detta Clementina in omaggio al pontefice.
Il F. collaborò alla realizzazione del progetto; partecipò alla selezione degli artisti, quaranta in tutto, destinati a costituire il primo nucleo dell'istituto e, nell'anno di fondazione, fu viceprincipe, carica conferitagli dal Cignani, a sua volta nominato principe. Il F. resterà sempre uno dei membri di maggior spicco dell'Accademia e, per quattro volte (1713, 1718, 1724, 1728), fu scelto come professore per l'insegnamento di figura, con il titolo di direttore.
Nel 1711 il F. venne chiamato a Roma da Clemente XI con l'incarico di eseguire i cartoni per i mosaici della cappella del coro in S. Pietro, in precedenza affidati a C. Maratta. Realizzò quelli per la volta con l'Eterno in trono sostenuto dai quattro esseri apocalittici circondato da spiriti beati, tema spiegato dall'iscrizione posta alla base del lanternino (Apocalisse, 5, 14), che furono tradotti in mosaico da Filippo Cocchi (1712-16). Portata a termine questa prima parte della commissione, nella primavera del 1712 il F. tornò a Bologna, dove si dedicò alla realizzazione dei cartoni per le lunette.
Ne completò quattro nel giro di un anno, ma gli ultimi due solo nel 1719. I cartoni, raffiguranti La profetessa Miriam che canta e danza per ringraziare il Signore dopo il passaggio del Mar Rosso e Anna che dedica a Dio il figlio Samuele, furono rifiutati e sostituiti con altri due del pittore N. Ricciolini. Le lunette, decorate a mosaico da Giuseppe Ottaviani, tra 1719 e 1721, sulla base dei disegni del F., sono quelle in cui si vedono raffigurati Debora che manda a chiamare Barac per affidargli il comando dell'esercito, Debora e Barac che ringraziano Dio per la vittoria, Giuditta con la testa di Oloferne e Geremia che piange la distruzione di Gerusalemme.
La sala Riaria del palazzo della Cancelleria a Roma fu ornata, già nel 1719, con alcuni dei cartoni del F., appositamente montati su tela da Domenico Michelini. Per essere adattati al nuovo spazio essi furono ingranditi e trasformati con aggiunta di figure da B. Lamberti. Si possono riconoscere parte delle figure della volta, le immagini delle due lunette rifiutate e, infine, la Giuditta e Debora e Barac che si rallegrano.
Nel 1714 il F. andò di nuovo a Genova, questa volta in compagnia del figlio Giacomo, di Giacomo Boni e del quadraturista Antonio Maria Haffner, fratello di Enrico, per affrescare la volta della navata nella chiesa di S. Filippo Neri. La commissione prevedeva la raffigurazione della Gloria del santo, in affresco, e dei Fatti della vita dello stesso, in otto tele. Il F. svolse il lavoro in circa sei mesi. Per i Fatti adottò la sua tecnica preferita, la tempera, malgrado inizialmente i committenti avessero richiesto tele a olio. Nel 1715 fu alle dipendenze del nobile genovese Stefano Pallavicini, per cui iniziò la serie di quadri con Storie di Diana, avendo come punto di riferimento quella appartenente alla prima commissione del Liechtenstein. Dipinse per primi la Caccia di Diana e le Ninfe che disarmano gli Amori e completò la serie nel 1722 con la Nascita di Diana e Apollo, Diana ed Endimione, Diana e Pan (le opere si trovano a Genova, in palazzo Podestà, già Pallavicini). Altro committente genovese fu il marchese Gian Filippo Durazzo, per il quale il F. eseguì due tele con Teti immerge Achille nello Stige e Achille riconosciuto da Ulisse. Nel palazzo Durazzo Pallavicini di Genova sono conservate altre opere del F., una Nascita di Adone e cinque di contenuto religioso: Vergine con il Bambino, Maddalena in gloria, Betsabea al bagno, Agarnel deserto, Sacrificio di Isacco. Nel 1716 il F. dipinse per il principe di Carignano Le stagioni (Bologna, Pinacoteca nazionale) avvalendosi dell'aiuto di G. Boni e, per i paesaggi, del Quaini.
Malgrado l'età, il F., oltre alle energie dedicate all'attività dell'Accademia, riuscì ad assolvere a numerose e impegnative commissioni provenienti da ordini monastici e da privati. Nel 1717 eseguì, nuovamente per la chiesa di S. Filippo a Genova, un Riposo in Egitto; nel 1718 si cimentò ancora con l'affresco, decorando la cappella della Madonna del Popolo nella cattedrale di Piacenza e, l'anno seguente, eseguì un S. Giorgio che uccide il drago per la chiesa della Steccata di Parma. Nel 1720, anno in cui fu nuovamente viceprincipe all'Accademia Clementina, dipinse la grande tempera raffigurante l'Allegoria della Fama (Bologna, Accademia di belle arti) per la commemorazione del Cignani, morto l'anno prima. Sempre nel 1720 fu nominato da Clemente XI cavaliere dell'Ordine di Gesù Cristo e nel 1721 ricoprì il ruolo di principe dell'Accademia Clementina.
Negli ultimi anni dipinse, tra l'altro, il Trionfo di David (1721) della collezione Marsigli Paolazzi di Monza e la Morte di Abele (1723) della Pinacoteca nazionale di Bologna. Per tre chiese bolognesi dipinse quasi ottantenne l'Annunciazione di S. Isaia (1726), I sette santi fondatori di S. Maria dei Servi (1727) e S. Giacomo presenta s. Rocco alla Vergine di S. Pietro (1727-28).
Morì a Bologna il 24 dic. 1729.
Aveva nominato eredi universali il figlio Giacomo Maria e la moglie Teresa Quaini, cugina del Cignani, stabilendo che, in caso di morte, questa sarebbe stata sostituita dalla figlia Giulia, moglie di Giovan Girolamo Gandolfi; aveva assegnato una rendita annua di lire quindici alla figlia Felicita, monaca, e di lire 30 al figlio Giovanni Callimaco, monaco cisterciense.
Il primogenito del F., Giacomo Maria, nato a Bologna nel 1672, si formò artisticamente sotto la guida del padre e nel 1705 divenne canonico della chiesa di S. Maria Maggiore. Il Lanzi (1808, p. 123) scrive che gli storici bolognesi lo presentano solo in veste di accademico d'onore clementino e che, di conseguenza, non dovrebbe essere inserito nel novero dei pittori. La sua carriera artistica, interamente vissuta nell'orbita paterna, risulta priva di una vena creativa originale. Il catalogo della sua opera comprende una partecipazione alla decorazione della chiesa di S. Filippo Neri a Genova, al seguito del padre; una tela, ricordata anche dal Lanzi, per il salone del palazzo Durazzo Pallavicini, sempre a Genova, che l'Alizeri (1875, p. 409) riconosce nel dipinto raffigurante Teti che immerge Achille nello Stige (opera peraltro attribuita al padre); i Ss. Usualdo re, Margherita, Lucia e Cecilia in S. Maria Incoronata a Bologna; il rifacimento del dipinto del 1570 di E. Procaccini con la Vergine col Bambino e s. Giovannino, in S. Maria Maggiore, ancora a Bologna. Resta notizia di una Vergine con i ss. Simeone e Taddeo, nella chiesa bolognese di S. Simeone, soppressa nel 1798 (Malvasia, 1686, p. 101). Gli viene attribuito un manoscritto (Bologna, Biblioteca comunale, ms. B. 6) contenente notizie riguardanti le opere del padre. Morì a Bologna il 6 dic. 1745.
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