GIUSTINIAN, (Giustiniani), Marcantonio
Nacque a Venezia il 15 dic. 1516, terzo o quarto dei sei figli maschi di Nicolò e di Andriana di Alvise Molin.
Scarsamente interessato sia alla carriera militare e politica, sia alle altre attività svolte tradizionalmente dal patriziato veneto, come il commercio marittimo e l'agricoltura in terraferma, il G. fu invece attratto dall'industria libraria e nel 1545 aprì una tipografia di caratteri ebraici presso il ponte di Rialto, nella calle delli Cinque alla Giustizia Vecchia. Come marca tipografica adottò il tempio di Gerusalemme, accompagnato dal versetto ebraico "Più grande sarà la gloria di questa casa, dice il Signore degli eserciti".
Effettivamente, il suo intento sembra essere stato quello di emulare lo stampatore fiammingo Daniel Bomberg che, attivo sin dal 1515, con le sue pregevoli edizioni portò la tipografia veneziana in caratteri ebraici a un livello di eccellenza tale da essere considerata la prima in Europa. Consapevole di questo primato e della necessità di garantirsi prima di tutto manodopera competente, il G. si assicurò la collaborazione di alcuni esperti assistenti del Bomberg, come gli stampatori Cornelio e Daniele Adelkind e Mē'īr ben Jacob Parenzo, e gli incisori Michel Dubois e Guillaume Le Bé, contribuendo ad accrescere le difficoltà in cui si dibatteva il Bomberg, che fu costretto a interrompere l'attività nel 1549.
Dopo l'uscita di scena del Bomberg, per qualche tempo il G. detenne indisturbato il monopolio della stampa ebraica a Venezia, pur senza riuscire mai a eguagliare la perfezione tipografica del predecessore. Fra le 86 opere date alle stampe nella sua tipografia spicca un Talmūd babilonese, basato sull'edizione originale di vent'anni prima, ma corredato di notevoli appendici; tuttavia, l'edizione più nota del G. è quella del codice di legge di Maimonide, Mishnāh Tōrāh, non tanto per le sue caratteristiche intrinseche, quanto perché da essa ebbe origine la controversia con lo stampatore Alvise Bragadin, che, in modo del tutto imprevisto, generò una reazione a catena dai risultati distruttivi per la cultura ebraica.
L'opera, già data alle stampe quattro volte, l'ultima - nel 1524 - proprio dal Bomberg, venne commentata di nuovo dal rabbino di Padova Mē'īr Katzenellenbogen, il quale cercò uno stampatore di Venezia cui affidare la nuova edizione. Poiché, forse per motivi economici, non riuscì ad accordarsi con il G., il rabbino decise di promuovere la nascita di una nuova tipografia in caratteri ebraici, gestita dal nobile Alvise Bragadin, che infatti nel 1550 pubblicò l'opera corredata dalle note di Mē'īr.
Immediatamente il G. pubblicò lo stesso testo, completo del commento, a un prezzo nettamente più basso, con l'evidente intento di fare concorrenza al Bragadin. Il rabbino Mē'īr, per contrastare questa sleale concorrenza, decise di interpellare in proposito la massima autorità del mondo ashkenazita, Mosè Isserles di Cracovia, che, dopo aver esaminato la questione, diede piena ragione a Mē'īr e al Bragadin, e invitò gli ebrei a non acquistare l'edizione del Giustinian. Il Bragadin, per parte sua, fece appello all'Inquisizione romana, presieduta da Giampietro Carafa (il futuro Paolo IV), accusando il rivale di avere pubblicato libri ebraici che contenevano proposizioni contrarie alla religione cristiana.
La lite fra Bragadin e il G. si inserì nel clima di intolleranza antiebraica che stava montando in Italia e dal quale non fu immune il patriziato veneziano, nonostante gli stampatori della città tentassero a più riprese di opporsi all'applicazione di norme restrittive che avrebbero danneggiato i loro affari. Momento culminante di questa politica fu il decreto di Giulio III del 12 sett. 1553, con il quale venne ordinata la confisca e il rogo di tutti i libri del Talmūd. Il 9 settembre libri ebraici erano già stati dati alle fiamme a Roma in Campo de' Fiori. Quando la congregazione del Sant'Uffizio decise l'estensione del decreto papale a tutta l'Italia, a Venezia il 18 ott. 1553 il Consiglio dei dieci ordinò la consegna entro dieci giorni agli esecutori contro la Bestemmia non solo del Talmūd, ma anche di "ogni compendio, summario, over altra cosa dependente da esso", minacciando agli inadempienti gravissime pene, come due anni di lavori forzati nelle galere, o cinque anni di carcere con bando perpetuo dal territorio di Venezia. Il rogo venne effettuato il 21 ott. 1553 e a nulla valsero i tentativi del G. per arrestare la confisca delle copie del Talmūd che aveva da poco stampato. Fu vano anche il suo appello al papa per ottenere un risarcimento dei danni: nel 1573 suo figlio Antonio - avuto da Pisana Donà, sposata nel 1550 - dichiarò che la perdita del padre nel 1553 era stata di ben 24.000 ducati. Già dall'anno precedente la tipografia del G. aveva cessato l'attività, travolta dalle conseguenze impreviste della controversia tanto improvvidamente sollevata solo per interessi personali.
Il G. non fu in grado di ristabilirsi neppure quando, negli anni successivi, il controllo sui libri ebraici fu mitigato. Un decreto di Giulio III del 18 dic. 1554 consentì il possesso di libri ebraici espurgati, eccetto il Talmūd; a Venezia nel 1559 gli esecutori contro la Bestemmia autorizzarono la stampa di testi ebraici, eccezion fatta ancora per il Talmūd; l'Indice tridentino del 1564 ne autorizzò infine la stampa, purché espurgato e privo del titolo di copertina. L'alleggerimento della pressione consentì agli stampatori veneziani in lingua ebraica, Bragadin in testa, di riprendere la loro opera, pur senza mai più raggiungere gli eccellenti livelli del passato.
Dopo la fine della sua impresa tipografica, il G. ricoprì alcune cariche politiche: fu eletto avogador di Comun il 13 dic. 1562, mentre sin dalla metà del 1560 esercitò l'ufficio di governatore di Cefalonia. Dall'isola dello Ionio, poco più di un anno prima della morte, abbiamo le ultime notizie sulla sua inesausta passione per il commercio di libri in lingua ebraica. L'8 apr. 1570, infatti, il prete Angelo Fasoli denunciò il G. al Sant'Uffizio, accusandolo di servirsi della sua posizione a Cefalonia per esercitare un commercio clandestino fra Venezia e l'Asia Minore, finalizzato allo smistamento dei testi ebraici sfuggiti a una confisca di circa 20.000 volumi, ordinata nel 1568 dagli esecutori contro la Bestemmia. Il querelante fornì un elenco di 33 titoli, dichiarando che il G. aveva importato da Venezia dodici casse di libri proibiti; a conferma delle sue accuse suggerì di esaminare il contenuto di una cassa sospetta, trasportata su una nave ancorata nel porto di Venezia. Il tribunale non parve, in effetti, particolarmente ansioso di accumulare prove contro il G.: la cassa venne aperta solo dopo tre giorni, rivelando un inoffensivo contenuto di pelli e spugne. Il G., che prontamente provvide a sporgere una controdenuncia contro il Fasoli, era stato accusato non solo di esercitare un commercio illecito, ma addirittura di avere impiantato nella propria casa una tipografia ebraica clandestina, con l'aiuto del tedesco Cristoforo Nicostella di Magonza, incisore ed esperto in lingua araba. I testimoni interrogati in proposito non confermarono la denuncia e pertanto tale suggestiva ipotesi, ritenuta possibile da Grendler, non è verificabile, anche perché il G. si sarebbe guardato bene dall'indicare il luogo di stampa e il tipografo sul frontespizio dei testi impressi clandestinamente, consistenti in ristampe di opere da lui già pubblicate a Venezia fra il 1545 e il 1552.
Il G. morì a Venezia il 25 luglio 1571. Dispose di essere sepolto, con il saio francescano, ai Frari, nell'arca di famiglia "alla porta di meza giexia".
Fonti e Bibl.: G. Castellani, Documenti circa la persecuzione dei libri ebraici a Venezia, in La Bibliofilia, XII (1905-06), p. 304; D.W. Amram, The makers of Hebrew books in Italy. Being chapters in the history of the Hebrew printing press, Philadelphia 1909, pp. 199, 201, 205, 252-276; E. Pastorello, Tipografi, editori, librai a Venezia nel sec. XVI, Firenze 1924, p. 49; J. Bloch, Venetian printers of Hebrew books, New York 1932, pp. 16-18, 23; C. Roth, Gli ebrei in Venezia, Roma 1933, pp. 292 s., 299 s.; Id., The history of the Jews in Italy, Philadelphia 1946, pp. 226, 290-294; A. Cioni, Bragadin, Alvise, in Diz. biografico degli Italiani, Roma 1971, pp. 659 s.; K.R. Stow, The burning of the Talmud in 1553, in the light of sixteenth century Catholic attitudes toward the Talmud, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXXIV (1972), p. 435; P.F. Grendler, The destruction of Hebrew books in Venice, 1568, in Proceedings of the American Academy for Jewish Research, XLV (1978), pp. 121-130; P.C. Joly Zorattini, Gli ebrei a Venezia, Padova e Verona, in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, I, Vicenza 1980, pp. 558 s.; P.F. Grendler, L'Inquisizione romana e l'editoria a Venezia 1540-1605, Roma 1983, pp. 135-138, 204 s.; B. Pullan, Gli ebrei in Europa e l'Inquisizione a Venezia dal 1550 al 1670, Roma 1985, pp. 135 s.; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del '500 in Italia, Firenze 1989, p. 386; M.L. Kuntz, M. G., Venetian patrician and printer of Hebrew books and his gift to Guillaume Postel: Quid pro quo?, in Studi veneziani, XVII (1989), pp. 51-63; F. Parente, La Chiesa e il Talmud, in Storia d'Italia, Annali, 11, Gli ebrei in Italia, 1, Dall'alto Medioevo all'età dei ghetti, Torino 1996, pp. 580, 583-587, 590 s. nota.