MOROSINI, Marcantonio
– Primogenito di Michiel di Marcantonio Morosini (1559-1608), del ramo degli Sguardolini di S. Stefano, e della sua seconda moglie Daniela di Lorenzo Badoer, nacque a Venezia il 21 ottobre 1591.
Dopo di lui nacquero Lorenzo (1594-1643), podestà di Verona nel 1635-36, e Pietro (1595-1667). Quest’ultimo nel 1620 fu sospettato d’avere procurato l’annegamento nel Brenta della moglie Marietta di Gabriel Morosini; si risposò tuttavia nel 1628 con Laura di Costantino Priuli e fu podestà di Brescia nel 1654-56. Morosini non è da confondere con l’omonimo Marcantonio Morosini (forse di Silvestro; e in tal caso vissuto tra il 1587 e il 1630), provveditore in Cadore nel novembre 1616 - gennaio 1618 (lettere in Arch. di Stato di Venezia, Senato, Provveditori di Terra e di Mar, 178; una edita nel 1882 come risulta da G. Fabbioni, Saggio di bibliografia cadorina, Feltre 1939, n. 2507) e rettore a Crema nell’aprile 1622 - dicembre 1623.
Nel 1610 Morosini fu al seguito dell’ambasciata straordinaria in Francia di Andrea Gussoni e Agostino Nani, i quali il 17 novembre si complimentarono a nome della Serenissima col nuovo re Luigi XIII. Eletto dal Senato, il 27 marzo 1621, rappresentante veneto a Torino, intorno al 20 settembre raggiunse la capitale sabauda. Sin dalla prima udienza fu chiaro che, mentre Carlo Emanuele I scalpitava per una politica energicamente antispagnola, a Morosini, da parte della Repubblica, toccava distogliere il duca da questo indirizzo nel quale pretendeva di coinvolgere Venezia.
Sempre più irritato, nel prosieguo delle udienze, nell’ascoltare Morosini decantare la Serenissima che «sempre opera con prudenza», Carlo Emanuele I esigeva, piuttosto, che gli si facesse chiaramente sapere quello che il governo veneto pensava di fare. Al «generoso spirito del duca», all’«animo suo guerriero» – così, il 17 ottobre 1622, Morosini scriveva al Senato – non riuscivano «grate» le «prudenti considerazioni», di fatto elusive, che andava esponendo. Finalmente, il 7 febbraio 1623, si giunse alla stipula di una lega franco-veneto-sabauda finalizzata a restituire ai Grigioni la Valtellina. Ma ora era la Repubblica a diffidare di Carlo Emanuele I, il quale, «con li soliti chimerici pensieri», come avvertì Morosini già il 12 febbraio, voleva attirare nella lega il duca di Baviera Massimiliano I a capo dell’armata degli elettori cattolici dell’Impero. Non solo. Voleva addirittura «stringere con protestanti», istigando gli elettori di Sassonia e Brandeburgo a disertar la Dieta e a fare la guerra all’imperatore. Una esagitata bellicosità antiasburgica, accompagnata dalla mancata rottura con la Spagna, con la quale il duca intendeva rompere solo dopo l’inizio delle operazioni militari.
Ricevuta, il 6 giugno 1623, dal maestro di cerimonie l’usuale collana con la quale il duca conferiva il segno d’onore ai residenti veneti, il 27 novembre 1621 Morosini fu destinato ambasciatore alle Province unite dei Paesi bassi e si portò senza rientrare a Venezia a quella sede, passando per Chambery e Lione, per arrivare a Rotterdam e, di qui, a metà luglio, all’Aia. Trovò i «signori» d’Olanda determinati ad «assistere pienamente» il conte Peter Ernst di Mansfeld affinché al più presto potesse servire la Serenissima e la lega, come assicurò l’8 novembre 1623. Era quello che premeva alla Serenissima, ed è di ciò che Morosini informava, escludendo di proposito di «infastidire» il Senato con le «nove dell’Indie Orientali», e non tanto per miopia di comprensione storica, né per personale chiusura mentale, quanto, piuttosto, perché consapevole dell’impossibilità oggettiva della Serenissima ad avere un minimo d’influenza nell’avventura oceanica in cui, invece, l’Olanda era energicamente proiettata. Donde la rinuncia a un’osservazione a tutto campo, l’autolimitazione – con la quale il governo concordava – a un’informazione sui fatti in cui si desse, per la Repubblica, un diretto interesse con un’eventualità di margini operativi.
Nominato il 25 novembre ambasciatore in Francia, la relativa commissione arrivò il 26 aprile 1624. Attorno al 10 luglio partì alla volta di Parigi, lasciandosi alle spalle l’imbarazzante accusa d’avere azzardato – come ammise egli stesso in una lettera del 1° marzo – un tentativo di proselitismo cattolico col ritrovarsi in casa sua una decina di persone, uomini e donne. Raggiunta – transitando per Malines, Dordrecht, Bruxellex – Parigi il 19 luglio, qui ebbe modo di constatare «qualche piccolo disgusto» tra il re e suo fratello, l’allora duca d’Angiò Gaston d’Orléans. Certo che – anche se il 3 novembre 1625 Luigi XIII gli bisbigliò «con voce bassa e con la bocca prossima» alle orecchie di essere deciso a «far apertamente a spagnoli guerra» – Venezia non poteva realmente contare su una bellicosità restia ad appalesarsi. Intanto, la regina madre Maria de’ Medici si attivava a ritardare mosse antispagnole e i ministri erano sensibili alle esortazioni di Isabella, o Elisabetta, sorella di Luigi XIII e moglie di Filippo IV, a deporre i «sospetti», a porre fine ai «disgusti» tra le due corone, a puntare all’instaurazione d’«una sincera pace». Morosini constatava invece come il duca di Nanteuil-le-Haudoin Henri de Schombergh fosse sempre più convinto – e con lui d’accordo qualche altro ministro – di «agiustar li negotii di fuori» per un impegno a fondo nella guerra interna contro gli ugonotti.
Eletto, il 6 gennaio 1626, ambasciatore straordinario al duca sabaudo, Morosini lasciò Parigi all’inizio di febbraio e si portò, per Chalenton e Lione, ad Avigliana e, quindi, a Torino, dove Carlo Emanuele I propose una lega antispagnola per la spartizione del Milanese senza il concorso della Francia, ma proprio per questo sempre più critico con il disarmo della Repubblica, la quale era a sua volta infastidita per le sue mire al titolo regio. Quando la situazione si complicò per la successione del ducato di Mantova, Morosini, le cui condizioni di salute non erano buone e via via peggiorarono, ripetutamente supplicò di poter rimpatriare. Ottenuta finalmente la licenza, il 6 agosto 1627 partì e il 25, transitando per Casale, raggiunse Governolo, qui costretto a trattenersi almeno sino al 21 ottobre per malanni fisici.
Di nuovo a Venezia dopo anni di lontananza fu dei Cinque savi di Terraferma dal 29 settembre 1627 al 30 marzo 1628 (era stato eletto quando ancora non era rientrato, con riserva del «loco», il 30 giugno 1622). Eletto il 28 aprile dal Maggior Consiglio capitano a Bergamo, in sede dal 18 ottobre 1628 a fine marzo 1630, si prodigò a fronteggiare i «disaggi della penuria» e a sventare i «pericoli della fame» e indusse alla conciliazione il conte Galeazzo Soardi e i suoi figli con un «cavalier Roda» e suo figlio (forse da identificare con quel cavalier Ludovico Rota, 1579-1630, e suo figlio Giovan Battista, di cui in D. Calvi, 1664, pp. 359-361). Dopo questo travagliato reggimento bergamasco, fu di nuovo, dal 30 marzo al 23 maggio, dei Cinque savi di Terraferma.
Il 23 maggio, nell’angoscia dell’imperversare della peste, dettò il proprio testamento. Dispose 1000 messe per la sua anima, destinò al cognato Girolamo Lando, marito della sorella Daniela, il diamante donatogli dal re di Francia; dispose altresì che circa 10.000 ducati ricavati dalla vendita di ori, diamanti, vasellame prezioso fossero depositati con l’interesse del 12% o, meglio, del 14% «sopra la vita» del nipote Michieletto (1616-1673), figlio del fratello Pietro (è costui Michiel Morosini, il futuro inviato al congresso di Münster, ambasciatore in Francia, in Spagna, a Roma).
Ancora a Bergamo dall’inizio di giugno 1630, in veste di provveditore straordinario nella città e nel territorio, ebbe responsabilità militari, col compito di ristabilire l’autorità nella val di Scalco, di reprimere i disordini nella Val Clusone ribelle al podestà Angelo Correr, di censire accuratamente l’entità delle forze d’immediata adoperabilità. Un impegno d’ispezione e mobilitazione a un tempo svolto in circostanze orribili. Per ordine di Morosini, in una Bergamo spettrale spopolata dalla peste, arrivarono «cernide» di contadini «più dentro morti di paura» del contagio che pronti a combattere.
Anche nella sua casa, avvertì Morosini il 23 luglio, la peste era entrata. Né s’accontentò della servitù. Aggredì Morosini, costretto il 28 a letto da una febbre violenta. Per tentare di salvarlo, il capitano Giovanni Antonio Zen lo trasferì in casa propria. Ma invano: il 1° agosto 1630 Morosini vi spirò. Il giorno 5 gli subentrò nella carica di provvedditore Paolo Caotorta, che s’insediò il 22, costretto da un’ingiunzione del 9 a portarvisi, ancorché riluttante.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci, Maggior Consiglio, reg. 14, c. 169; Pregadi, regg. 10, cc. 13, 70, 156; 11, cc. 69, 70; 12, cc. 12-13; 14, c. 169; Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere di ambasciatori, bb. 11, nn. 226-229; 28, nn. 178-182, 186; Lettere di rettori, b. 74, nn. 229-234; Senato, Secreta, regg. 119, cc. 223-225r, 275, 316r; 120, passim; 121, passim; 122, cc. 4r-338v passim; 123, cc. 3r-251r passim; 124, cc. 33v, 72, 145v-146r; 134, cc. 210v-211v, 230r-231r, 243v-244r; 135, cc. 1r, 22r-23r, 69v-71r, 119v; Senato, Lettere rettori Bergamo e Bergamasco, filze 23 (lettere dal 18 ottobre 1628); 24 (irreperibile); 25 (lettere di M. o a lui relative sino al 29 luglio 1630); Notarile, Testamenti, 228.325 (e 230.48; disposizioni ultime del 28 luglio 1630); Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 2403; 3113/14; A. Terzi, I nuovi troni dell’heroica virtù del sig. M.A. M. …, Bergamo 1629; Id., L’apparato del seminario per… M.A. M.…, ibid. 1630; D. Calvi, Scena… degli scrittori bergamaschi, Bergamo 1664, p. 31; Relevé des manuscripts des archives de Venise se rapportante à la Suisse et aux Ligues grises, a cura di V. Ceresole, Venise 1890, pp. 111, 114; Venetianische Berichten over de Vereenigde Nederlanden…, a cura di P.J. Blok, ’S-Gravenhage 1909, ad ind.; Calendar of State Papers… in… Venice, XVII-XXI, London 1911-16, ad indices; Davide da Portogruaro, Il p. Giacinto… da Casale… attraverso i dispacci degli ambasciatori veneti…, in Archivio veneto, s. 5, V (1929), pp. 187-189, 199 s., 203-210, 215, 233; Dispacci degli ambasciatori al Senato…, Roma 1959, pp. 65, 270-272, 278, 394; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, V, Torino 1978, p. XXV; VI, ibid. 1975, pp. 498 s., 747-760; XI, ibid. 1983, pp. XVI s.; Aspetti… della diplomazia veneziana…, Venezia 1982, p. 33; F. Ambrosini, Paesi e mari ignoti…, Venezia 1982, ad ind.; D. Caccamo, Introduzione, in Il carteggio di G. Tiepolo ambasciatore… in Polonia, a cura di Id., Varese 1984, pp. 16 s. n.; G. Olmi, L’inventario del mondo…, Bologna 1992, ad indicem.