Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La vicenda biografica dello scrittore è singolarmente legata a quella editoriale dell’autore: la composizione dei sette volumi di Alla ricerca del tempo perduto si conclude insieme alla morte di Proust. Sospeso tra l’incanto del passato e l’analisi della società presente, il narratore parte dai luoghi dell’infanzia per abbracciare la sua formazione culturale, il suo amore per Albertine, nella vita parigina dei primi decenni del secolo.
Marcel Proust
La petite madeleine
E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino di tè nel quale avevo lasciato che si ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua causa. [...] Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. [...] Giungerà mai alla superficie della mia coscienza lucida quel ricordo, quell’istante remoto che l’attrazione di un identico istante è venuta così da lontano a sollecitare, a scuotere, a sollevare nel mio io più profondo? Non lo so. [...] E tutt’a un tratto il ricordo è apparso davanti a me. Il sapore era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray (perché nei giorni di festa non uscivo di casa prima dell’ora della messa), quando andavo a dirle buongiorno nella sua camera da letto, zia Léonie mi offriva dopo averlo intinto nel suo infuso di tè o di tiglio.
M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Milano, Mondadori, 1983
Il nome di Marcel Proust è legato primariamente alla composizione di una grande cattedrale narrativa che sconvolge la cultura dei primi decenni del Novecento, un romanzo dalla vocazione enciclopedica che eredita dal Balzac della Comédie humaine la capacità di descrivere tutta una società parigina, dagli anni Settanta dell’Ottocento fino ai clamori della Grande Guerra, nei suoi desideri, nelle sue pulsioni segrete, nella sua smania di apparire sulla scena del bel mondo: è Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu, 1913-1927, in parte postumo), il grande progetto romanzesco al quale Proust attende fino ai suoi ultimi giorni, in una corsa contro la morte per apporre la parola fine al libro.
Alle spalle o negli immediati dintorni del romanzo-fiume si situano alcune importanti esperienze di scrittura: nell’alveo della sua frequentazione mondana di una società briosa e raffinata tra il 1892 e il 1895 Proust compone I piaceri e i giorni (Les Plaisirs et les jours), una raccolta di versi, poemetti in prosa, novelle, aforismi e memorie, racconti vari, i quali presto denotano l’attitudine dello scrittore allo schizzo, al ritratto per brevi tocchi di una belle époque aristocratica votata al piacere, che esercita su di lui, ebreo borghese parigino, una complessa seduzione, attraendolo nella sua rete frivola e chic. Lo scrittore abbozza poi quello che si può ora leggere come un nucleo romanzesco della futura Recherche, Jean Santeuil, tra il 1895 e il 1902 (uscito postumo, nel 1952, composto da una serie di narrazioni disomogenee), tentando così di inserirsi nel solco della tradizione europea del Bildungsroman o del romanzo di formazione, per abbandonarlo poi definitivamente; infine, in un saggio polemico del 1908, Contro Sainte-Beuve (Contre Sainte-Beuve), il critico ottocentesco che aveva teorizzato l’importanza della biografia di uno scrittore ai fini della conoscenza della sua opera, Proust pone in rilievo la funzione poetica della memoria involontaria, di quelle che definisce le “intermittenze del cuore”: sono movimenti extraconsci, istintivi, che riportano alla luce, per mezzo di meccanismi casuali, episodi riposti nelle pieghe profonde della memoria.
Se ne ricorderà il narratore della Recherche nel celebre episodio della petite madeleine (nel primo libro, Dalla parte di Swann), il dolcetto a forma di conchiglia che, inzuppato nell’infuso di tiglio in una giornata uggiosa, si rivela capace di richiamare, associando meccanicamente il gesto al tè dell’amata zia Léonie, tutto un mondo dell’infanzia a Combray che pareva sommerso dal passare del tempo. In termini di tecniche narrative, decisivo risulta il passaggio dalla narrazione in terza persona di Jean Santeuil alla prima persona utilizzata dal narratore delegato, lungo i sette libri della Recherche, a osservare il mondo intorno a sé: un narratore che, se pure presenta diversi caratteri riconducibili alla figura di Proust, va da questi distinto in quanto finzione letteraria, sua proiezione e non semplice oggetto di identificazione: come ha modo di spiegare l’autore in un’intervista in occasione dell’uscita del primo volume, “voi vedrete il personaggio che racconta, che dice ‘io’ (e che non è me)”.
Con l’avvio di Dalla parte di Swann, ci addentriamo nei luoghi dell’infanzia del narratore mentre si sprigiona, attraverso il biscottino inzuppato nell’infuso, il mondo di Combray (dietro la quale si cela la Illiers delle estati del giovane Proust) e l’aprirsi, al suo interno, di due strade, quella di Méséglise, che conduce a casa di Swann, raffinato collezionista ebreo, amico di famiglia dei genitori del narratore, e quella della Vivonne, per la quale si giunge alla residenza dei nobili Guermantes. Si tratta di un bivio altamente simbolico nella vicenda di formazione del narratore: entrambe le strade recano con sé spiragli di conoscenza del suo futuro, animando le sue fantasticherie. Dalla parte di Swann seguiamo l’innamoramento e la gelosia di Swann per Odette de Crécy, una donna capricciosa e fedifraga, e poi la nascita di Gilberte, per la quale il narratore concepirà un intenso amore giovanile; dalla parte dei Guermantes promana invece una seduzione a distanza, destinata poi a concretizzarsi nell’incontro con la duchessa Oriane nel terzo libro della Recherche. Sappiamo che Proust aveva pubblicato a sue spese il primo libro del romanzo, uscito pressocché inosservato; è con il secondo capitolo romanzesco, All’ombra delle fanciulle in fiore, che il lavoro viene accolto con un certo favore. Qui la compagine dei personaggi si estende significativamente: oltre alle personalità di Bergotte, scrittore, e della cantante Berma, tramite il pittore di marine Elstir il narratore conosce a Balbec, località balneare alla moda, un gruppo di “jeunes filles en fleur” tra le quali spicca la vivace, sfuggente Albertine. Tra gli altri, entrano sulla scena il marchese Robert de Saint-Loup, seducente militare di carriera che impressiona favorevolmente il narratore con i suoi modi squisiti e amichevoli, e lo zio di questi, l’altezzoso barone di Charlus, che ricomparirà quale vero eroe tragico in alcuni luoghi culminanti del romanzo.
A partire dal terzo volume, I Guermantes, i sentieri romanzeschi si diramano, le vicende assumono una connotazione più propriamente urbana, funzionale all’osservazione dei mondi borghese e nobiliare: la scena si sposta nel frattempo da Combray a Parigi, dove la famiglia del narratore viene ad abitare un appartamento di proprietà dei duchi Guermantes. Il lettore è condotto ad ammirare lo splendore della vita dei duchi, i loro possedimenti, nonché l’incantevole figura di Oriane, che il narratore in seguito prenderà a frequentare – ma sia il mondo dei duchi che la stessa natura di Oriane, sui quali tanto aveva fantasticato il nostro narratore, si riveleranno vacui e deludenti. Nel frattempo, però, si consolida per lui l’apprentissage amoroso: Albertine acconsente a farsi baciare. In seguito, in Sodoma e Gomorra, la conoscenza del protagonista si apre in direzione di un mondo parallelo e sotterraneo sinora ignoto, dominato dalle passioni, dalla gelosia: è un libro di grandi rivelazioni, prima tra tutte quella dell’omosessualità di Charlus. Ne deriva una serie di considerazioni sulla natura stessa dell’amore omosessuale (per Gilles Deleuze, la seconda tra le leggi dell’amore proustiano – la prima sostiene la maggiore profondità, soggettivamente parlando, della gelosia rispetto all’amore – postula che “gli amori intersessuali sono meno profondi dell’omosessualità, e in questa trovano la loro verità”) e di sospetti che vengono a intaccare la fedeltà di Albertine, sulla quale gravano voci di lesbismo. Questa, mentendo scopertamente, rigetterà le accuse: l’amore del narratore per lei appare un vicolo cieco; nella circolarità dei temi e dei personaggi della Recherche, ricorda da un lato quello geloso e disperato di Swann per Odette, dall’altro riflette specularmente il rapporto dispari tra l’innamorato Charlus e il giovane, brillante violinista Morel, che si rivelerà ben presto un cinico arrampicatore sociale. Nei volumi successivi alcune grandi illusioni si riavvolgono su se stesse: La prigioniera tematizza il senso di reclusione provato da Albertine condotta a convivere a Parigi con il narratore, e si concluderà con la sua rocambolesca fuga. È un libro di grandi manovre in società: Charlus organizza un concerto per Morel nell’influente salotto dei Verdurin; ma le sue mosse vengono frustrate dai Verdurin stessi, i quali, dopo avere istigato Morel contro di lui, gli infliggono una grande scena di umiliazione, dalla quale uscirà, come scrive Giovanni Raboni, “stupefatto e annichilito”.
In Albertine scomparsa, combattuto tra il senso di insofferenza nei confronti della giovane menzognera e l’amoroso senso di nostalgia che prova per lei, il narratore riceve da un’ex amica di Albertine, l’attrice Madame Bontemps, un telegramma che annuncia la morte della giovane, caduta da cavallo. Dopo un periodo di smarrimento, dominato dalla gelosia che non lo abbandona, il narratore ritrova una vecchia amica, Madame de Forcheville, che altri non è che Gilberte, destinata a sposarsi con Saint-Loup, dopo che costui avrà interrotto una relazione con l’equivoca attricetta Rachel. Ma il narratore non perde di vista l’importanza di certi “segni”, e riconosce anche nel nipote di Charlus l’appartenenza al medesimo côté di Sodoma.
Con il vorticoso Tempo ritrovato, come in un grandioso finale di dramma, Proust riannoda le trame di vivi e morti, all’infuriare del conflitto mondiale nel quale muore Saint-Loup: convintosi dell’insufficienza del proprio talento letterario, e oramai deciso ad abbandonare il cimento con la scrittura, il narratore inciampa in due pietre sconnesse del cortile di palazzo Guermantes e subito, per via della memoria involontaria, tutta una serie di sensazioni gli si schiude: il ricordo di due pietre ugualmente sconnesse in piazza San Marco gli rivela l’incanto reale di Venezia e insieme la certezza della sua missione. Le immagini di una tale bellezza ritrovata nel passato lo rendono di colpo indifferente al pensiero della morte e della finitudine umana, e lo dispongono a riprendere in mano l’opera che dovrà terminare prima che sia scritta la parola “fine” per la sua stessa vita. Lo svolgimento della Recherche può infine virare verso la descrizione del grande ricevimento a palazzo Guermantes: il narratore vi ritrova tutti i personaggi come sotto l’effetto di un trucco, di una generale distorsione, pesantemente invecchiati. Come scrive Maurizio Ferraris “Nel progetto narrativo della Recherche le alterazioni dei personaggi assolvono […] molteplici funzioni: manifestare in forma emblematica e sensibile l’azione del tempo; rendere evidente la natura imprevedibile e quasi insensata dell’esperienza; sottolineare gli effetti patetici della memoria, che ci ricorda individualità ed eventi del tutto diversi da quanto registriamo nel presente”.
Nel progetto di un’opera d’arte che ricalchi la vita, fino a gareggiare con i limiti di questa per riuscire a imporre il suo svolgimento, Proust ha dischiuso un monstrum romanzesco in bilico tra le grandi architetture narrative ottocentesche e le ambizioni moderniste, tutte novecentesche, di un “romanzo totale” che si faccia enciclopedia di temi e motivi di un’intera epoca. In effetti, la Recherche si snoda lungo un intreccio tutto sommato ben delineabile, per essere investita dal flusso stilistico delle parole, degli oggetti, delle mobili riflessioni che animano il narratore, nel peculiare moto avvolgente della scrittura proustiana. Allora, il disegno complessivo mostra al suo interno diverse cifre, ondate tematiche: la complessità dei riferimenti a varie forme artistiche, l’architettura, il teatro, il melodramma; i segni della moda, le forme dell’eleganza e dello stile individuale dei personaggi; il motivo ricorrente della menzogna come strategia mimetica, indagato da Mario Lavagetto, legato a doppio filo all’ambito tematico dell’amore e della gelosia; le serie divergenti della passione, intersessuale od omosessuale (e qui risulta importante la lettura del filosofo Deleuze, citato in precedenza); ancora, il disegno di un preciso genere, il romanzo dell’artista o Künstlerroman, inteso a seguire la formazione del narratore, le sue illusioni e i suoi scacchi. Sono solo alcuni tra i percorsi possibili; di certo la Recherche trasmette, tra i suoi sensi, proprio quello di un’inesauribilità della lettura, di una realtà irriducibile a singole spiegazioni o trame – come Proust già ha intuito nel 1895 ne I piaceri e i giorni, derivando la lezione da Balzac, “la decifrazione del reale […] non può fare astrazione della materialità” (Bongiovanni Bertini): un’apertura della forma romanzesca alla sostanza porosa delle cose, ai mille tratti prosaici ed evocativi del mondo difficilmente eguagliata nella letteratura francese ed europea del Novecento.