CERRUTI, Marcello
Nato a Genova il 16 luglio 1808 da Michele e da Martina Gozo, passò la sua prima giovinezza in quella città dove ebbe compagno di studi G. Mazzini. Il 2 maggio 1825 entrò nella carriera consolare come segretario del ministro sardo a Costantinopoli. In tale qualità egli ebbe modo di visitare i Balcani acquistando buona conoscenza delle complesse situazioni etniche e politiche del Sudest europeo. Percorse a grado a grado la carriera con successive destinazioni a Tripoli (29 sett. 1831), Tunisi (3 giugno 1836), Milano (2 sett. 1837) e Cipro (14 sett. 1841). Nel maggio 1846 Solaro della Margherita lo richiamò a Torino perché partecipasse a una missione in Cina, che però non ebbe luogo per il rapido evolversi degli avvenimenti italiani. Nel 1848 fu incaricato di una missione riservata sulle coste africane, specie al Cairo e ad Alessandria.
La grande occasione di mettersi in luce gli si presentò alla fine di quell'anno, quando il governo sardo decise di appoggiare la politica del capo dell'emigrazione polacca, principe Adam Czartoryski, impegnato a rappacificare gli Slavi meridionali con gli Ungheresi per unirli in fronte comune contro Vienna. A tal fine il governo sardo stabilì di aprire un consolato a Belgrado e, dietro consiglio dell'inviato a Costantinopoli barone Tecco, che lo indicò come un diplomatico giovane ma di già larga esperienza, il C. fu scelto per questo delicato incarico con nomina del 4 genn. 1849 a console di prima categoria a Belgrado. Insieme con il fratello minore Luigi il C. partì dall'Italia il 10 gennaio e raggiunse Belgrado, dopo una lunga sosta a Costantinopoli, il 18 marzo. Nonostante l'appoggio dell'agente polacco presso la Porta, il governo turco, da cui dipendeva il principato serbo, esitò a concedergli il necessario berat, nel timore di irritare l'Austria e la Russia. Il C., impaziente di raggiungere la propria sede, partì allora per la Serbia spacciandosi per commerciante inglese. Con l'aiuto dei polacchi riuscì a mettersi in contatto con i circoli governativi serbi, che gli tributarono buona accoglienza.
Gli Slavi meridionali, profondamente delusi dalla politica praticata da Vienna nei loro confronti, cominciavano seriamente a pensare di affiancare Kossuth nella sua lotta contro gli Asburgo. Il C. venne incoraggiato dal ministro Garasanin ad entrare in contatto con i Serbi della Voivodina, con i liberali di Zagabria e con il governo magiaro presso il quale venne spedito. Furono allacciati rapporti anche con vari giornali locali per influire attraverso la stampa sull'opinione pubblica, che era ostile ai Magiari, e convincerli dell'opportunità di stringere una alleanza con essi. Per svolgere la propria missione con qualche speranza di successo il C. avrebbe avuto bisogno di ingenti mezzi finanziari, promessi dal governo torinese al Czartoryski ma mai inviati. Dopo la disfatta di Novara il nuovo presidente del Consiglio De Launay rinunciò peraltro a ogni azione politica nei Balcani e in Ungheria e inviò subito istruzioni in tal senso al Tecco e al Cerruti. Quest'ultimo però, convinto di poter causare delle difficoltà all'Austria nella zona balcanico-danubiana, anche per renderla meno arrogante in Italia, pur osservando "une conduite de réserve", continuò nelle sue mene segrete e si giovò per questo degli uffici dell'agente di Kossuth a Belgrado, G. Carosini. Fu combinata, tra l'altro, una spedizione di armi per i rivoluzionari ungheresi e venne preparato un incontro a Belgrado tra il rappresentante dei liberali croati, barone Kuslan, e l'inviato del governo magiaro conte, Andrássy. Il console sardo (nel frattempo era giunto anche il berat) fu così, all'insaputa del suo governo, attivo protagonista degli ultimi sforzi polacchi per salvare la rivoluzione ungherese.
Anche dopo la sconfitta di Kossuth, nell'agosto del '49, il C. non si diede pace. Continuò a risiedere a Belgrado fino al novembre successivo, svolgendo una vivacissima azione a favore dei profughi ungheresi e dei legionari italiani, capeggiati da A. Monti, che cercavano rifugio in Serbia per passare nell'accogliente Turchia.
Tornato in patria in seguito alle proteste di Vienna, e nominato commissario per la discussione del bilancio del ministero degli Esteri al Parlamento (14 gennaio del 1850), egli fu anche membro nel '50 di una commissione nominata dal ministro "per l'esame dei regolamenti delle tre carriere dipendenti dalla R. Segreteria e per la classificazione degli impiegati", che diede il via alla ristrutturazione del servizio diplomatico sardo. Dalle Scritture della segreteria di Stato per gli Affari Esteri del Piemonte risulta che già nel dicembre 1848 il C. aveva sostenuto la convenienza di stabilire una divisione commerciale nel dicastero degli Esteri. Nel 1851 fu incaricato dal Consiglio dei ministri di elaborare, insieme con il barone Profumo, un progetto di codice consolare.
Già in questo periodo il C. aveva ottenuto numerose onorificenze: membro dell'Istituto di corrispondenza archeologica germanico di Roma dal 9 dic. 1845, membro della Società orientale archeologica di Germania dal 1º ott. 1847, cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (19 dic. 1849), ufficiale dell'Ordine della Legion d'onore (7 genn. 1851), ufficiale dell'Ordine di Leopoldo del Belgio (15 maggio 1851), commendatore dell'Ordine del Salvatore di Grecia (5 luglio 1851), commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro (21 ottobre del 1854).
Il 17 aprile 1852 venne nominato incaricato d'affari e console generale presso la corte di don Pedro, imperatore del Brasile. La sua missione nell'America latina, che durò dal 1852 al 1860, lo mise presto in grado di rendersi conto delle esigenze dell'emigrazione sarda oltreoceano e di predisporre tutta una rete di organizzazioni di beneficenza e di mutuo soccorso che tenessero vivo tra i nostri emigrati il legame con la madrepatria. Il C. passò poi, dopo un breve soggiorno, da Rio de Janeiro a Montevideo e a Buenos Aires, incaricato di speciali missioni al Plata (12 luglio 1852) ed al Paraguay (dicembre 1852). Qui si adoperò con successo alla conclusione di trattati di commercio, di amicizia e di navigazione con tutti gli Stati della Confederazione argentina, con i governi dell'Uruguay e del Paraguay. Erano gli anni difficili della guerra civile tra Buenos Aires e la Confederazione, ma il C. riuscì con abilità a svolgere un proficuo lavoro a favore degli emigrati italiani. Assunta la reggenza del regio consolato di Buenos Aires il 12 marzo 1855, concluse il trattato di navigazione e commercio con la Confederazione argentina il 21 sett. 1855. Nominato incaricato d'affari con lettere credenziali del 5 maggio 1856, egli si impegnò nella costruzione di ospedali a Buenos Aires e a Montevideo e appoggiò con ogni mezzo le richieste di risarcimento dei danni sofferti nel corso della guerra civile presentate dai sudditi sardi residenti in Argentina alla competente commissione nominata dal governo della Confederazione, ottenendo una convenzione per i crediti dei nazionali sardi (21 ag. 1858). Per lusingare il generale Urquiza, capo del governo federale, trasferì la sede della legazione da Buenos Aires, centro degli interessi commerciali piemontesi, a Paraná, riconoscendo così implicitamente quella città a capitale dell'Argentina. Scoppiata in Italia la seconda guerra d'indipendenza, appoggiò la raccolta di fondi chiesta da Garibaldi agli emigrati per l'acquisto di fucili per l'armamento dei corpi volontari.
Richiamato in patria nel 1860, il C. fu inviato in Turchia e munito di precise istruzioni stilate personalmente dal Cavour, il 18 sett. 1860, in un documento confidenziale in cui trovava la sua più perfetta formulazione il pensiero del grande statista circa le intime connessioni tra gli sviluppi della questione orientale e quelli della questione italiana.
Deciso a cercare appoggi, nella sua lotta contro Vienna, anche presso le nazionalità danubiano-balcaniche, il Cavour desiderava dal C. in primo luogo ragguagli precisi sulla situazione nell'Ungheria, Croazia, Serbia e nelle province europee dell'Impero ottomano. Ma già qualche mese più tardi, stretto un accordo con il comitato dell'emigrazione magiara capeggiato da Klapka e Kossuth, richiese dal C. ben più importanti uffici: egli avrebbe dovuto facilitare un trasporto clandestino di armi promesse ai rivoluzionari ungheresi e destinate ai loro seguaci nei Principati danubiani. L'operazione fu condotta, come scrisse il C., "con una innocenza tutta battesimale". Le armi vennero caricate a Genova sulle navi senza alcuna precauzione e giunsero sul Bosforo in casse sulle quali era scritto a caratteri cubitali "Regio Arsenale di Genova", "Regio Arsenale di Torino". Il C. dovette armarsi, insieme con i due segretari di legazione, di colore e pennello per cancellare quelle scritte. La sua buona volontà però fu vana; l'ambasciata austriaca non tardò a protestare presso la Porta ottenendo il blocco delle navi, e il loro ritorno sotto scorta inglese al porto di origine. Invano il C. cercò di salvare la faccia del governo italiano negando ogni sua responsabilità: ne nacque una querelle internazionale che il Cavour in un primo momento pensò di placare con l'allontanamento del C. da Costantinopoli e il suo invio come ambasciatore in Persia. Calmatesi le acque, tuttavia, si preferì sospendere la decisione.
Nonostante il primo fallimento il Cavour non aveva deposto l'idea di giovarsi dei fermenti nazionali presenti in Europa orientale per completare l'unità italiana. Il C. rimase pertanto a Costantinopoli per mantenere i contatti con gli esponenti delle varie nazionalità che in caso di bisogno sarebbero state chiamate all'insurrezione. Analoga fu, dopo la morte di Cavour, anche la politica dei suoi successori, Ricasoli e Rattazzi. Nominato ministro residente a Costantinopoli con credenziali del 13 luglio 1861, la sua esperienza si venne allargando con le funzioni ispettive, su tutti i consolati in Grecia e in Oriente ma soprattutto a seguito di un soggiorno in Persia (1862) a capo di una missione straordinaria oltre che commerciale anche culturale-scientifica, e non priva di importanti implicazioni politiche, come risulta dalle istruzioni del segretario generale agli Esteri Melegari, speditegli in data 20 apr. 1862. Stipulò con il governo di Teheran un trattato di amicizia, di commercio e di navigazione, firmato il 24 sett. 1862 e completato il 29 dello stesso mese con la firma di quattro articoli relativi alla libera estrazione delle sementi dei bachi da seta. La missione e l'accordo non mancarono di una certa risonanza. Al suo ritorno in Italia, alla fine del '62, il C. fu chiamato a ricoprire l'importante incarico di segretario generale agli Esteri, che terrà dal 26 marzo 1863 al 30 dic. 1866.
La diplomazia italiana era divisa in quel periodo in due correnti; la prima, che aveva tra i principali fautori il Nigra, sosteneva l'opportunità per il giovane Regno d'Italia di rientrare al più presto nella legalità internazionale. Richiamandosi alle Speranze d'Italia di C. Balbo questi auspicava un accordo con l'Austria prospettando la possibilità di uno scambio tra la Bosnia (da acquistare dalla Porta) e il Veneto. L'altra corrente, che godeva delle simpatie di Vittorio Emanuele, era invece partigiana di una politica estera più dinamica: l'Italia, che per prima aveva innalzato in Europa la bandiera della nazionalità, avrebbe dovuto continuare su quella via facendosi guida di tutti i popoli che aspiravano all'indipendenza. Uno dei principali assertori di tale linea fu il Cerruti. Il suo ufficio al ministero degli Esteri, prima a Torino e quindi a Firenze, divenne tra il '62 e il '66 un punto di incontro per gli esponenti delle varie emigrazioni europee. In ottimi rapporti con Kossuth, Klapka e Türr, ma anche con i rivoluzionari polacchi e balcanici, tra i quali spiccavano i croati Tkalac e Kvaternik, egli sostenne con tutta la sua autorità i loro piani insurrezionali. Soprattutto nel periodo della rivolta polacca contro i Russi, tra il '63 e il '64, sembrò varie volte, imminente una spedizione garibaldina in Dalmazia, che avrebbe dovuto dare il segnale di riscossa a tutto il Sudest europeo.
Questi progetti ebbero però un brusco termine con la caduta del governo Minghetti. La Marmora, suo successore, era avversario acerrimo di ogni mossa diplomatica poco ortodossa. Egli diede quindi disposizioni affinché si troncasse ogni appoggio politico ed ogni aiuto finanziario agli esponenti delle nazionalità soggette. Nei circoli delle diverse emigrazioni si diffuse una profonda delusione, solo in parte mitigata dall'atteggiamento di simpatia che Vittorio Emanuele conservò nei confronti degli "elementi rivoluzionari". Fu con il suo permesso che il C. mantenne, sottobanco, contatti con essi nella convinzione di potersene servire al momento dell'inevitabile guerra con l'Austria. L'ora sembrò scoccare nel '66. Bismarck, deciso a costringere gli Asburgo ad abbandonare la Confederazione germanica, non volle correre rischi: egli era pronto ad evocare contro la monarchia danubiana, se necessario, anche le "forze dell'Acheronte", ad appoggiare cioè le istanze delle nazionalità soggette. Conclusa l'alleanza con l'Italia, pensò di completarla eccitando i Serbi, i Croati, i Rumeni e gli Ungheresi alle armi. A Berlino vennero intavolati, nella primavera del '66, colloqui coi fuorusciti ungheresi. Stefano Türr, illustratosi durante la spedizione dei Mille, venne inviato a Firenze per convincere il governo italiano ad inviare nei Balcani una spedizione capeggiata da Garibaldi. Il C. favorì con ogni mezzo questi piani agendo da intermediario tra le varie parti in causa. Bisognò attendere tuttavia che La Marmora lasciasse Firenze e fosse sostituito a capo del governo da Ricasoli per fare dei passi concreti nella direzione desiderata da Bismarck. Il C. organizzò un incontro tra il presidente del Consiglio e Kossuth che si concluse con un accordo completo. Era impossibile cambiare i piani di La Marmora ed inviare Garibaldi al di là dell'Adriatico, ma si sarebbe cercato almeno di suscitare un'insurrezione nell'Ungheria, in Croazia, nella Voivodina e in Transilvania. Il rapido evolversi delle vicende belliche, che portarono già nell'agosto del '66 alla pace di Praga, fece crollare tutti questi piani rivoluzionari. Il C. ebbe l'ingrato compito di liquidare la legione ungherese che era stata costituita in Italia. Lo fece con tutto il tatto possibile e con viva partecipazione al disappunto di Kossuth, che vide naufragare tutte le speranze di liberare la sua patria.
Da segretario generale del ministero degli Esteri il C. rappresentò, con Cristoforo Negri, quella corrente che voleva ampliare l'orizzonte della tradizionale politica piemontese, ponendo in rilievo come, oltre le questioni strettamente europee e di completamento dell'Unità, vi fossero ormai problemi di lavoro italiano all'estero e di influenza oltremare della nuova Italia che non si potevano più trascurare. Al C. si dové così non solo la nuova legge consolare, ma l'istituzione di una più estesa rete di consolati e la creazione di nuove rappresentanze diplomatiche nel Messico e nelle varie repubbliche dell'America centrale. La pianta consolare stabilita dalla legge del 15 ag. 1858 fu in pochi anni più che raddoppiata, non senza qualche resistenza negli ambienti parlamentari.
Importante sotto questo profilo la circolare Visconti Venosta del 17 luglio 1863 alle legazioni e ad alcuni consolati nelle località più importanti dell'America e di "Levante e Barberia" sulla situazione dei nostri istituti di istruzione e di beneficenza all'estero, intesa alla promozione degli istituti stessi, a cui il C. affiancava una circolare dello stesso giorno che stabiliva l'entità di sussidi statali assegnati agli istituti presso le maggiori colonie di nostri concittadini: in Alessandria, Costantinopoli, Smirne, Atene, Tunisi; ed ancora, in Beirut, Sarajevo, New York, Buenos Aires, Montevideo. Tra le iniziative più significative del periodo in cui il C. fu segretario generale sono da annoverare la nascita dell'Annuario diplomatico (circolare di Visconti Venosta del 17 luglio 1863; il primo annuario apparve nel 1865), "seguendo l'esempio di quanto viene annualmente praticato dai governi di Francia e d'Inghilterra"; lo stabilimento - da parte del C. stesso, con circolare del 16 dic. 1863 - di norme precise circa la classificazione della corrispondenza diplomatica e consolare, "all'oggetto di escludere la possibilità di facile confusione nella trattazione degli affari, e di impedire la dispersione dei carteggi che giungono al ministero..."; ed ancora il progetto di un Istituto internazionale a Torino, destinato alle "agiate famiglie delle colonie italiane" perché facilitasse "l'educazione morale e intellettuale dei giovani ora inviati dai loro parenti ad altre città d'Europa ... senza che i medesimi ricevano fuori d'Italia istruzione confermativa di quei sentimenti di affetto alla patria, che tanto importa di conservare e di fortificare in loro". L'Istituto avrebbe dovuto accogliere inoltre i "figli di agiate famiglie straniere di Levante ed America", che attualmente venivano "inviati ai collegi di Londra, di Parigi e di Ginevra". Proprio nel momento in cui Torino "sta per cedere ad altra città il primato dell'amministrazione italiana - diceva una circolare del 30 genn. 1865 - alcuno dei più vasti e opportuni edifizi, pel passaggio della Real Corte, dei grandi corpi politici e degli altri ministeri a Firenze, si potrà disporre". L'Istituto si sarebbe inaugurato con l'anno 1867-68.
Ma l'iniziativa certo più importante del periodo in cui il C. fu segretario generale consiste nel riordinamento del ministero degli Esteri - concomitante con il trasferimento della capitale a Firenze - e che affrontava per la prima volta dopo l'unificazione il problema della riorganizzazione delle amministrazioni degli Stati italiani in questo settore; che infine veniva incontro alla esigenza di una amministrazione più adeguata alla politica estera del nuovo Stato di quanto non avesse potuto esserlo quella precedente, del piccolo Regno di Sardegna: infatti l'ordinamento del ministero era ancora quello del 1848.
Il riordinamento veniva attuato con regio decreto del 23 dic. 1866 a firma Visconti Venosta ma il decreto era preceduto da una relazione dovuta appunto alle fatiche del C. e di cui la legge riprendeva in tutto e per tutto le indicazioni; e questa relazione sarebbe rimasta alla base anche dei successivi riordinamenti. Il C. suddivideva le attività del ministero fra il segretario generale, il servizio politico, il servizio commerciale, gli Affari contenziosi, gli Affari privati, la Contabilità e il Personale, apportando sostanziali modifiche al precedente ordinamento. La relazione riconfermava e rafforzava, per la parte politica, il ruolo del segretario generale, "funzionario per dignità e per grado uguale agli Inviati stranieri, coi quali è destinato a mantenere quotidiani verbali rapporti". Una più larga funzione veniva assegnata alla discussione verbale nella trattazione degli affari con i rappresentanti stranieri, e di tale discussione verbale si predisponeva una pratica più spedita e quotidiana, sottraendone almeno in parte l'onere al ministro, che quindi avrebbe avuto più tempo da consacrare alla politica interna ed ai lavori parlamentari. Venendo meno, nel progetto e nel decreto, l'ufficio del gabinetto particolare e la funzione del segretario particolare, il segretario generale diveniva vero ed unico organo accentratore e supervisore di tutta l'attività del ministero tanto per gli affari non politici quanto per i politici, secondo la figura delineata dal Cavour e sancita nel 1853. Assai ampia, poi, la competenza attribuita al Servizio commerciale: dai trattati di commercio a quelli di estradizione a quelli riguardanti prerogative consolari: dalla sorveglianza della navigazione nazionale all'estero agli "interessi generali delle emigrazioni e delle colonie italiane", dalla direzione delle scuole all'estero alle informazioni sanitarie. Il fine che il relatore si proponeva era di distinguere esattamente le competenze del Servizio commerciale, distaccandone gli affari detti "consolari", cioè privati, che venivano assegnati alla Direzione degli affari privati e contenziosi. Il rilievo particolare attribuito dal relatore alle attività del ministero nel campo economico-commerciale stava ad indicare la maggiore importanza che l'Italia veniva assumendo in quegli anni in tale settore; ma era anche frutto della sensibilità acquisita dal C. nel corso dell'ampia esperienza consolare e politica, e frutto della sua intelligenza e dinamismo. Di rilievo anche, nella relazione, a proposito della delimitazione delle competenze fra il ministero degli Esteri e quello d'Agricoltura e Commercio, la rivendicazione al primo della iniziativa e direzione delle trattative e dei negoziati concernenti materie agricole e commerciali. Nonostante le sue intrinseche qualità, l'ordinamento Visconti Venosta avrebbe avuto vita breve: il conte Pompeo di Campello, succeduto al Visconti Venosta dal 12 apr. 1867 nel secondo gabinetto Rattazzi, si farà promotore di un riordinamento ispirato a criteri decisamente restauratori ed apertamente polemici nei confronti dell'ordinamento del '66. Ciò trova espressione nella relazione al re che accompagna il nuovo decreto (dell'8 sett. 1867, n. 3908), redatta in toni piuttosto aspri (il testo è nella Gazzetta ufficiale del 17 ott. 1867, n. 214). Il successore Menabrea ed il segretario generale Raffaele Ulisse di Barbolani riprenderanno l'ordinamento del C. per una nuova e meno provvisoria riorganizzazione (regio decreto del 22 marzo 1868), accogliendone infine le direttive essenziali.
Nominato inviato speciale e ministro plenipotenziario in Svizzera con credenziali del 14 febbr. 1867, il C. passò quell'anno stesso a Washington, inviato speciale e ministro plenipotenziario presso il governo degli Stati Uniti d'America (credenziali 27 maggio 1867), e quindi a Madrid (credenziali 5 luglio 1869), dove sostenne con successo la candidatura del principe Amedeo di Savoia al trono di Spagna.
Senatore del regno dal 1º dic. 1870, intervenne nell'attività parlamentare con una interessante relazione sul progetto di legge per il trattato di commercio con gli Stati Uniti nella tornata del 28 maggio 1871; intervenne ancora nella discussione del bilancio di previsione della spesa del ministero Esteri (tornata 16 marzo 1875) proponendo, ma senza successo, l'istituzione di tre nuove legazioni, in Persia, Messico e Perù. Prese parte ancora alla discussione dello schema di legge per modificare le disposizioni sul reclutamento dell'esercito (tornata del 25 maggio 1875), sostenendovi in una lunga perorazione l'opportunità di un emendamento all'art. 11 del progetto riguardante le condizioni da riservare agli alunni ecclesiastici durante il servizio militare: a suo dire il progetto minacciava una lenta estinzione del clero, con il risultato della distruzione, o quanto meno del deperimento, dei nostri grandi monumenti religiosi: le argomentazioni erano improntate a spirito nazionalclericale. Fu infine relatore del progetto di legge per il regolamento provvisorio delle relazioni ufficiali fra l'Italia e il principato di Serbia (tornata del 24 dic. 1879): in questa occasione il C. risulta ormai impedito nella vista a leggere personalmente il pur breve intervento. Ultimo documento della sua attività politica è una lettera aperta del 25 nov. 1894 (Lettera del senatore M. Cerruti all'onorevole senatore Fedele Lampertico, Roma 1894).
Il Lampertico era presidente della Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani - della quale lo stesso C. era membro - collegata alla Associazione internazionale africana, che si proponeva lo scopo "semplicemente umanitario" di introdurre all'interno dell'Africa "i principii dell'incivilimento e dell'umanità". Il C. vi si manifesta fervente africanista e sostenitore della politica coloniale crispina. "Abbiamo aperto un gran varco nel continente Nero - scrive il C. -. Ora è all'opera dei Missionari che spetta d'introdurvi qualche raggio di luce". Il compito dei missionari - aggiunge - non sarà difficile: proprio in quei giorni il padre Michele da Carbonara, munito del viatico del pontefice Leone XIII, partiva in missione nella colonia. "Ma - conclude significativamente la lettera - il vero compito della nostra Prefettura Apostolica [affidata al padre Michele] ha di preferenza per obiettivo le popolazioni non cristiane del Sudan".
Decano del corpo diplomatico, il C. morì a Roma il 12 marzo 1896.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. d. Min. d. Aff. Esteri, Scritture della Segr. di Stato Esteri Sardegna,Rég. des Pièces déchiffrées dépuis le 23 janvier 1848 jusqu'à 21 fevrier 1850 (n. 60 inv.); b. 144 (1848); b. 211 (1849); b. 250 (1854); b. 252 (1857-60); b. 258 (1859-60); b. 118, fasc. 1 (1852-59); b. 120, fasc. 1 (1853-55) e fasc. 7 (Turchia, 1860-61); Archivio di Stato di Torino, Consolati,Belgrado (1849); Busta missioni diplomatiche speciali e tempor., cart. n. 6; Budapest. Arch. nazion. ungheresi, Fondo Kossuth, R. 90, I. 4379, 4701, 4785, 4800, 5241; Fondo Türr, R. 211, 2243. Ampie indicaz. dei carteggi intercorsi tra il C. e gli uffici centrali del ministero, con relativa indic. della collocaz. nell'Arch. stor. del Minist. degli Esteri, sono nei seguenti indici: Minist. degli Affari Esteri, Indici dell'Arch. Storico, I, Le scritture della Segr. di Stato degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, a cura di R. Moscati, Roma 1974, e VI, Le scritt. del minist. d. Affari Esteri del Regno d'Italia. Dal 1861 al 1887, a cura di R. Moscati, ibid. 1953. Si vedano anche: Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplom. italiani, s. 1, 1861-70, I(8 genn.-31 dic. 1861) e II (31 dic. 1861-31 luglio 1862), a cura di W. Maturi, Roma 1952e 1959, ad Indices (documentano le attività del C. in Turchia e presso le nazionalità danubiano-balcaniche). Per le notizie biogr.: Annuario diplomatico del Regno d'Italia per l'anno 1865, a cura del Ministero per gli Affari Esteri, Torino s.d., pp. 110-111; Necrologia del comm. M. C., senatore del Regno, Roma 1896. Sulla missione a Belgrado del 1848-49: S. Markus, La missione del console M. C. nel 1849, in Rass. stor. del Risorg., XXXVII (1950), pp. 287-304. Più in generale sulle attività del C. nello scacchiere danubiano-orientale: Lettere e documenti del barone B. Ricasoli, a cura di M. Tabarrini-A. Gotti, VI, Firenze 1896, pp., 257-260; A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, passim; S.Markus, Relazione del viaggio compiuto in Ungheria nel 1861 dal conte Fé Ostiani dell'ambasciata ital. a Costantinopoli, in Italia del Risorgimento e mondo danubiano-balcanico, Udine 1958, pp. 95-98; V. Fiorani Piacentini, Le relazioni tra Italia e Persia(1852-1862), in Rass. stor. del Risorg., LVI (1969), pp. 587-640; G. Pierazzi, Mazzini e gli Slavi dell'Austria e della Turchia, in Atti del XLVI Congresso di storia del Risorgimento ital. (Genova,24-28 sett. 1972), Roma 1974, pp. 301-412. Per le miss. in Sudamerica: N. Cuneo, Storia della emigrazione ital. in Argentina 1810-1860, Milano 1940, ad Ind.;R. M. Borsarelli, La missione di M. C. (1852-1860)e la vita degli emigrati italiani nell'America del Sud a mezzo del sec. XIX, in Atti del XXXV Congresso di storia del Risorg. ital. (Torino,1-4sett. 1956), Roma 1959, pp. 129-142. Per il riordinamento interno del ministero Estero nel '66: L. V., Ferraris, L'amministr. centrale del Ministero degli Esteri nel suo sviluppo storico(1848-1954), Firenze 1955, pp. 16-23; R. Moscati, Il Ministero degli Affari Esteri,1861-1870, Milano 1961, pp. 29-33.