FOGOLINO, Marcello
Nacque a Vicenza tra il 1482-83 e il 1487-88 da Francesco, originario di San Vito al Tagliamento, e dalla vicentina Maddalena, figlia di Bartolomeo, calzolaio (Zorzi, 1916, pp. 70 s.). La data di nascita, seppur approssimativa, si ricava da un documento del 30 ott. 1508 in cui il F., comparendo in qualità di testimone dell'atto di dotazione della sorella Elena, risulta essere in una età compresa tra i venti e i venticinque anni (Mantese, 1964).
Molto probabilmente il F. apprese i primi rudimenti dal padre, pittore documentato a Vicenza dal 1476 al 1496 - anno in cui lavorò alla decorazione della libreria del convento di S. Corona (Zorzi, 1916, p. 73) - ma del quale non rimangono opere. Entrò successivamente nell'orbita di influenza del Montagna (B. Cincani), che era a capo della più importante bottega vicentina. Una delle sue prime opere oggi note (Lucco, 1990) va identificata con la Madonna con il Bambino tra i ss. Giobbe e Gottardo (Milano, Pinacoteca di Brera), che fu eseguita per la Scoletta vicentina di S. Barbara: gli evidenti caratteri montagneschi inducono a datare il dipinto intorno agli anni 1505-1508, dunque prima del trasferimento del F. a Venezia, generalmente fissato intorno al 1508-1509.
Nel 1511 il F. avrebbe rimaneggiato, con l'inserimento di un paesaggio, una trecentesca Madonna con il Bambino, affrescata nel primo altare a sinistra della chiesa padovana degli Eremitani (Berenson, 1958, p. 80; Puppi, 1966, p. 18). Indipendentemente dalla plausibilità di tale proposta, la presenza del F. nel Padovano è confermata dalla Madonna con il Bambino e santi (Amsterdam, Rijksmuseum), dipinta per la parrocchiale di Camposampiero; la pala ribadisce i legami con la pittura del Montagna, a sua volta autore di una opera, oggi perduta, per la stessa chiesa (A. Sartorì, La provincia del Santo dei padri minori conventuali, Padova 1958, p. 114).
Il soggiorno veneziano del F., che da un atto del 1519 sappiamo durò otto anni consecutivi (Zorzi, 1915), si concluse intorno al 1515, anno in cui viene generalmente fissato il rientro a Vicenza. L'interesse del F. per il mondo classico ha fatto ipotizzare un suo viaggio in Italia centrale - in Umbria e nelle Marche (Puppi, 1966, pp. 17, 20), sino a Roma (Chini, 1988) - durante il periodo della permanenza a Venezia. Tuttavia, le citazioni classiche presenti in diverse sue opere di questo periodo, o nella produzione grafica, non implicano necessariamente una conoscenza diretta delle antichità romane, dal momento che di queste circolavano numerosi disegni e stampe.
La critica concorda nel riferire al momento immediatamente successivo al suo rientro a Vicenza l'esecuzione della grande pala d'altare con la Madonna con il Bambino e santi realizzata per la chiesa vicentina di S. Francesco Nuovo: l'opera si trova oggi a Berlino (Staatliche Museen), mentre la predella, raffigurante S. Francesco che riceve le stigmate, è pervenuta al Museo civico di Vicenza. Pur non esente da un certo schematismo riconducibile all'influsso del Montagna, l'imponente dipinto riflette l'avvenuto contatto con la pittura di Tiziano a Padova (Arslan, 1956, pp. 64 s.), e, nel contempo, un accostamento ai modi del Romanino, particolarmente evidente nell'espansa volumetria della figura di Maria con il Bambino.
Al 1516 circa risale l'Epifania (Vicenza, Museo civico) eseguita per la distrutta chiesa vicentina di S. Bartolomeo, dove avevano lavorato, ed erano ancora all'opera, il Montagna e i pittori del suo entourage (oltre al F., G. Buonconsiglio, G. Speranza e F. Verla).
Vero e proprio "manifesto" della poetica del F., la pala - eseguita per l'altare della famiglia Pagliarini, che era dedicato all'Epifania - si distingue per la micrografia della scrittura e, al tempo stesso, per un nitore descrittivo di matrice carpaccesca che permette di cogliere ogni particolare nei più minuti dettagli: dalle ornamentazioni dorate delle briglie dei cavalli (su una delle quali appare la firma "Marcello pintor"), ai filamenti erbosi pendenti dagli sproni rocciosi che inquadrano l'affollata composizione. Sebbene l'ambientazione paesaggistica sia in gran parte frutto di fantasia, non mancano precisi riferimenti alla topografia di Vicenza, mentre il mondo antico è evocato attraverso l'imponente edificio circolare con avancorpo a nicchie, che ospitano delle statue classiche.
La posizione di prestigio raggiunta dal F. nell'ambiente vicentino è attestata da una serie di importanti commissioni, quali la decorazione ad affresco, insieme allo Speranza, del coro della chiesa di S. Domenico, per la quale ricevette un pagamento nel 1519, e il rimaneggiamento della trecentesca pala della Madonna delle stelle - eseguito in vista della ristrutturazione, avvenuta nel 1520, dell'omonimo altare in S. Corona - alla quale aggiunse una gloria di angeli e cherubini e, in basso, un' ariosa veduta della città di Vicenza.
Di datazione incerta resta invece la decorazione di un ampio vano all'interno di villa Trissino-Muttoni, meglio nota con il nome di Ca' Impenta, una delle più significative realizzazione pittoriche della prima fase vicentina del Fogolino. L'edificio, appartenente in origine alla famiglia Trissino, pervenne in seguito a R. Alidosio, che, tra il 1516 e il 1525, provvide alla ristrutturazione e, molto probabilmente, affidò al F. l'esecuzione ad affresco di un fregio all'antica, confluito in gran parte nelle raccolte della Ca' d'Oro, a Venezia. I motivi del fregio sono per lo più desunti da sarcofagi classici di provenienza romana o da celebri monumenti come l'arco di Costantino (Schweikhart, 1976).
Indipendentemente dalla precisazione ad annum del suo intervento alla Ca' Impenta, è necessario ricordare che a partire dai primi mesi del 1521 il F., insieme con il fratello Matteo, anch'egli pittore, abbandonò per circa tre anni Vicenza, trasferendosi in Friuli. A Pordenone eseguì nel giro di breve tempo una pala per la parrocchiale di Pasiano, opera ingiudicabile a causa dei pesanti rifacimenti subiti. Tra il 29 aprile e il 3 ag. del 1521 il F. attese alla decorazione ad affresco, perduta, del vecchio coro della parrocchiale di Rorai grande, sostituendo il Pordenone che si era, temporaneamente, trasferito a Cremona; dai documenti sappiamo che, al momento della stima, il F. fu costretto a rifare alcuni particolari e a coprire il petto di due figure femminili dipinte dal Pordenone, evidentemente ritenute poco decorose (Joppi, 1894, pp. 27-29). La più significativa delle pale d'altare dipinte dal F. nel corso della sua permanenza in Friuli, è l'ancona del duomo di Pordenone raffigurante S. Francesco trai ss. Giovanni Battista e Daniele.
L'opera, sicuramente anteriore al giugno 523 (data in cui viene citata come exemplum nell'atto relativo alla commissione di un dipinto destinato alla parrocchiale di Visinale), si caratterizza per l'ariosa apertura paesaggistica sul fondo e per la presenza di un bassorilievo all'antica addossato a una colonna. Se lo sguardo inquisitorio e l'aggressività psicologica dei tre santi effigiati denunciano una qualche meditazione su opere del Pordenone pressappoco coeve (come il vigoroso S. Rocco affrescato su uno dei pilastri dello stesso duomo), non altrettanto può dirsi per la pala raffigurante la Madonna con il Bambino tra i ss. Biagio e Apollonia, che il F. si era impegnato ad eseguire per la Scuola di S. Biagio nel marzo del 1523, ma la cui stesura fu molto probabilmente affidata al fratello Matteo: il gruppo centrale della Madonna con il Bambino è ripreso infatti quasi alla lettera da un dipinto eseguito dal F., più o meno negli stessi anni, per la parrocchiale di Brugnera, dove, accanto a riprese pordenoniane (particolarmente evidenti nella poderosa figura di s. Cristoforo), traspare ancora una volta il gusto dell'artista per l'inserimento di motivi all'antica (Furlan, 1993).
Il 13 maggio 1525, a un anno di distanza dalla loro partenza da Pordenone, il F. e il fratello Matteo sono documentati nuovamente a Vicenza, dove ricevettero da Giovanni Trissino un appezzamento di terreno, comprendente anche una casa, e la somma di tre ducati, in pagamento per una pala, perduta, con la Trinità, destinata all'altare di famiglia nella chiesa dei servi (Zorzi, 1916, pp. 75 s., 80).
Risale probabilmente a questo periodo (Puppi, 1966, p. 30), l'esecuzione di una Natività (Verona, Museo di Castelvecchio), proveniente dalla chiesa vicentina dei Ss. Faustino e Giovita. L'interesse del dipinto, che suggella la prima fase di attività del F., consiste non solo nell'armoniosa disposizione delle figure ai lati del Bambino, ma anche nella presenza di una celebre statua di Venere, oggi nelle raccolte di Palazzo ducale a Mantova, che all' inizio del Cinquecento si trovava a Roma e che lo stesso F. riprodusse in una stampa.
Sempre nel maggio del 1525 la casa ricevuta dal Trissino venne affittata dai due fratelli al nobile M. Piovene, mentre l'incarico di riscuotere la pigione fu affidato al marito della sorella (Zorzi, 1916, p. 80). Tale delega evidentemente preludeva a un nuovo viaggio del F. e del fratello Matteo: viaggio che ancora una volta dovrebbe aver avuto come meta il Friuli, come sembra indicare il fatto che nel 1526 essi furono accusati dell'omicidio di un barbiere di Belgrado, località del Friuli soggetta ai Savorgnan (Joppi, 1894, p. 28). Chiamati a presentarsi in giudizio a Udine, i due fratelli fuggirono a Trento e di conseguenza, il 25 genn. 1527, furono banditi dai territori della Repubblica veneta. Nonostante ciò, l'8 novembre il Consiglio dei dieci concesse ai due, "fradeli banditi quali habitano atrento" (Sardagria, 1889, pp. 269 s.), libero salvacondotto per un solo mese in cambio di informazioni di carattere militare. Un salvacondotto più lungo, della durata di tre anni, venne concesso nel gennaio del 1529, e un altro ancora, questa volta di cinque anni, nel luglio successivo; tuttavia i due fratelli continuarono a risiedere a Trento, diventando confidenti della Repubblica di Venezia, come conferma una lettera al F. indirizzata al Consiglio dei dieci il 26 nov. 1531 (ibid., pp. 274 s.).
Dopo alcune difficoltà iniziali, il F. riuscì ad ottenere la fiducia del principe vescovo di Trento B. Cles il quale, a partire dal 1531, lo coinvolse, insieme con D. Dossi, con il Romanino e con altri artisti minori, nella decorazione dei "magno palazzo", ossia di quella nuova parte del castello del Buonconsiglio la cui costruzione era stata da lui stesso promossa.
Impegnato dapprima nell'esecuzione di alcuni fregi sui prospetti dell'edificio, nonché di quelli sotto i cornicioni del cortile dei Leoni, il F. attese successivamente alla decorazione della cosiddetta camera terrena del torrione da basso: qui elementi desunti dai Dossi e dal Romanino, si fondono con un dinamismo plastico di matrice pordenoniana, calato in un contesto ornamentale ricco di riferimenti al gusto romano. Non meno suggestiva è la decorazione dei refettorio, dove, accanto ai motivi antiquariali, dipinse una finta credenza rifornita di piatti e vasellame e due scene con gruppi di musici (per altri interventi, del 1534-35, al Buonconsiglio, si veda Chini, 1985).
Nel gennaio 1533 il F. ed il fratello Matteo, entrambi indicati come "maestri", si trovavano a Pordenone, per acquistare un "maso". Il 24 nov. 1534 il vescovo Cles scrisse al doge A. Gritti, pregandolo di rinnovare ai due fratelli il salvacondotto. Il 3 nov. 1539, subito dopo la morte del loro protettore, i due fratelli pensavano di trasferirsi a Mantova, come si legge in una missiva indirizzata al duca di quella città dal cardinale C. Madruzzo; una seconda lettera del Madruzzo, inviata al cardinale E. Gonzaga il 5 ott. 1541, ci informa che il F., trattenuto in Trentino per ragioni di lavoro, era ancora intenzionato a recarsi a Mantova (Sardagna, 1889, pp. 276-279). Comunque sia, il 25 nov. 1540 essi ottennero dai consoli di Trento l'autorizzazione a fabbricare sapone per vent'anni. Il viaggio a Mantova, seppure avvenne, dovette essere di breve durata, in quanto intorno al 1543 il F. risulta impegnato con i suoi aiuti nella decorazione del palazzo assessorile di Cles.
L'attività svolta dapprima al servizio di B. Cles e del suo entourage familiare, e quindi per conto del suo successore, il cardinale C. Madruzzo, non si limitò alla decorazione del Buonconsiglio, ma interessò anche le dimore vescovili di Castel Selva, presso Levico (1536), di Castel Toblino (1536-1539), di Castel Cles (1539) e la residenza vescovile di Cavalese (1539-40: oggi sede della Magnifica Comunità di Fiemme), dove il F. operò, con citazioni precise da stampe di M. Raimondi, negli affreschi della facciata, e riferimenti alla cultura figurativa mantovana, nei fregi interni. Intorno alla metà del quarto decennio, il F. probabilmente affrescò, su commissione di N. Trautmannsdorf, anche la sala del Caminetto nel castello Torre Franca a Mattarello e, nel corso del decennio successivo, assistito da aiuti, l'appartamento madruzziano in castel Valer a Tassullo.
Relativamente all'edilizia civile, la sua attività resta oggi documentata attraverso gli affreschi dipinti a Trento, intorno al 1532-33, all'interno di palazzo Sardagna e sulle facciate delle cosiddette "case Rella" (una delle quali abbellita da figurazioni monocrome in parte ispirate all'Emblematum liber di A. Alciati, edito nel 1531); allo stesso decennio appartengono gli affreschi di palazzo Alberti Colico e, alla seconda metà del quinto, quelli di palazzo Firmian. Sappiamo dai documenti che il soggiorno del F. a Trento fu spesso inframmezzato da viaggi in Friuli, in occasione dei quali probabilmente affrescò le facciate di casa Vareschini e di casa Mantica a Pordenone, databili, rispettivamente, alla seconda metà degli anni Trenta e al 1545.
Meno intensa, la produzione di carattere religioso è costituita da una serie di pale d'altare eseguite rispettivamente per la chiesa trentina di S. Marco (ante 1533), per la cattedrale di San Vigilio (primi anni Trenta), per la chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo a Sardagna (1533 circa), per la chiesa dei Ss. Pietro e Andrea a Povo, intorno al 1537 circa, e, nel 1539, per quella di S. Rocco a Caneve (Chini, 1985, pp. 123-134). Sono documentati ancora lavori nel coro della parrocchiale di Civezzano, realizzati in collaborazione con G. Grünwald, e la decorazione della cappella Madruzzo nella chiesa di S. Maria Assunta a Calavino, riferibile alla fine degli anni Quaranta, dove si conserva anche un dipinto raffigurante la cosiddetta Madonna di s. Luca tra i ss. Nicola di Mira, Giovanni Battista, Dorotea e Giuseppe (ibid., pp. 134-137).
Nel 1547 il F. si recò ad Ascoli Piceno, dove attese alla decorazione del salone del palazzo vescovile (Marchini, 1962). Committente dei lavori fu F. Roverella, principe vescovo della città marchigiana, che, in occasione della sua partecipazione al concilio di Trento, aveva certamente avuto modo di apprezzare l'opera del F. e richiederne i servizi.
Le scene, illustranti i momenti salienti della Vita di Mosè, sono immaginate al di là di un finto loggiato, intervallato da erme e lesene con motivi decorativi a grottesche, mentre nelle lunette soprastanti trovano posto una serie di figure allegoriche sullo sfondo di architetture all'antica. Vera e propria silloge delle esperienze maturate dal F. nel corso della sua lunga attività, gli affreschi si caratterizzano per F ampio spazio riservato ai paesaggi e per il modulo allungato delle figure, di evidente ispirazione manieristica. Non mancano nel contempo espliciti riferimenti alla classicità nella rievocazione fantastica del Colosseo che funge da sfondo al Miracolo del serpente o nel particolare di Ietro, che guarda Mosè mentre amministra la giustizia: a questo proposito si può notare che, se nel primo caso il motivo è desunto da una veduta interna del Colosseo, quale si configura, ad esempio, in un foglio del cosiddetto Taccuino di Oxford (attribuito a un ignoto collaboratore di I. Ripanda), la figura di Ietro è ripresa alla lettera da un celebre rilievo del British Museum, raffigurante la Visita di Dioniso al poeta tragico Icario. Infine, in almeno un altro episodio, e più precisamente nella Raccolta della manna, è possibile isolare una puntuale citazione da una delle portelle dell'organo del duomo di Spilimbergo, eseguite dal Pordenone nel 1524: Si veda in particolare la figura dell'apostolo colto da tergo, visibile in primo piano a sinistra nell'Assunzione della Vergine pordenoniana, che il F. ha utilizzato come modello per l'imperiosa figura del condottiero biblico.
Documentato nuovamente a Trento il 20 ag. 1548, data in cui informa il Consiglio dei dieci di essersi recato con il fratello Matteo a Gorizia e ad Aquileia, nel 1550 il F. eseguì, per conto del cardinale Madruzzo, i perduti affreschi della cappella del palazzo vescovile di Bressanone, mentre negli anni immediatamente successivi, probabilmente coadiuvato dal fratello, attese alla decorazione del palazzo delle Albere a Trento, che presenta stringenti analogie con gli affreschi marchigiani.
La produzione grafica del F. non è documentata quanto la sua attività pittorica. Relativamente alle stampe, eseguite con una tecnica "puntinistica" riconducibile all'influsso di G. Campagnola e riproducenti per lo più soggetti classici o episodi sacri e profani calati in un contesto ricco di richiami alla cultura antiquaria, la loro datazione oscilla tra la fine del secondo e il quinto decennio del Cinquecento, allorché, secondo alcuni studiosi, la riduzione delle committenze trentine avrebbe indotto l'artista a dedicarsi a questo tipo di attività (Puppi, 1966, pp. 49 s.). Si tratta di fogli per lo più firmati per esteso o siglati con il monogramma "M. F.", fatta eccezione per una Presentazione della Vergine al tempio (probabilmente derivata da un' invenzione di A. Aspertini), la cui autografia è ancora oggetto di controversia. Per quanto riguarda i disegni, gli si attribuiscono attualmente una decina di fogli, ma solo pochi di essi, tra cui un Cavaliere (New York, Metropolitan Museum), presentano i tratti inconfondibili del suo sile.
Il F., sebbene privo di grande originalità, fu tuttavia un pittore colto e ricettivo; esperto nella pratica dell'affresco e dunque estremamente mobile, egli ebbe l'opportunità di conoscere diversi ambienti culturali ed artistici, aggiornando contmuamente il proprio linguaggio figurativo e contribuendo a modificare in senso rinascimentale la facies di molti centri e castelli del Trentino, regione dove operò per circa un trentennio e dove, probabilmente, morì, in data imprecisata.
Non sappiamo se fosse già morto nel luglio del 1559, allorché in una lettera spedita a Trento dalla reggenza di Innsbruck si chiedono notizie sul suo conto, in previsione dell'affidamento di un lavoro nella residenza imperiale di quella città.
Di Matteo, fratello probabilmente minore del F., non si conoscono gli estremi biografici. È ricordato come pittore in diversi documenti, il primo dei quali risale al 18 genn. 1521 (Mantese, 1964), quando egli compare in un atto rogato a Vicenza, città dove probabilmente nacque. La sua attività e la sua vicenda personale sono strettamente legate a quella del Fogolino. Probabilmente intervenne nella pala dipinta dal F. nel 1523, raffigurante la Madonna con il Bambino tra i ss. Biagio e Apollonia a Pordenone (Furian, 1993, p. 252); tuttavia la mano di Matteo non è facilmente individuabile analizzando i dipinti e i cicli di affreschi eseguiti dal F. e dalla sua bottega, all'interno della quale ricoprì, certamente, un ruolo di primo piano. Non si hanno più sue notizie dopo il 16 sett. 1555 quando comparve come testimone in un atto notarile rogato a Trento (Puppi, p. 55 n. 51).
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