GIOVANETTI, Marcello
Nato ad Ascoli Piceno nel 1598, dovette iniziare gli studi nella città natale. Dopo gli studi e le prime esperienze poetiche si trasferì a Roma, dove intraprese con successo la professione legale. Introdotto nella corte pontificia, per almeno quattro anni fu aiutante di studio di mons. Giovanni Battista Coccino, decano della Sacra Rota. Il G. seppe adeguarsi al rigido formalismo e alle regole dell'entourage pontificio, che lo accolse apprezzandone l'abilità poetica e professionale, nonché il disinvolto e garbato approccio alla vita di società.
Le aderenze del giovane G. furono vaste e importanti: tra i dedicatari dei suoi versi figurano Gregorio XV, Urbano VIII e suo nipote, il cardinale Francesco Barberini, insieme con Scipione Borghese. Il G. dovette essere in particolari rapporti con Ludovico Ludovisi, mecenate di G.B. Marino, e con il nipote di Paolo V, Marcantonio Borghese, principe di Sulmona, cui dedicò la prima edizione delle sue Poesie nel 1620. Il destinatario dell'ultima è invece Lorenzo Magalotti, segretario di Stato di Urbano VIII, il quale dovette incoraggiare gli esordi artistici del G. e aprirgli le porte del cenacolo letterario del pontefice.
Le liriche del G. sono indirizzate ai Savoia, ai Colonna, ai Medici, ai Della Rovere, testimonianza dell'ampiezza delle relazioni instaurate nella società aristocratica del tempo. A un sonetto del G., in cui gli esprime tutta la sua ammirazione, il Marino, amaramente presago della propria morte che sarebbe sopraggiunta circa un anno dopo, rispose a sua volta con un elogio, consacrandone la carriera poetica. L'ipotesi di un'amicizia del G. con il Marino potrebbe essere incoraggiata dallo scambio di versi che egli ebbe con i marinisti Giuseppe Salomoni e Antonio Bruni, relazione che comunque non gli impedì di ricevere l'encomio in rima di Gaspare Murtola, nemico acerrimo del Marino. Altri sonetti inviati al conte Ridolfo Campeggi, conducono al mondo delle accademie: gli Umoristi di Roma, che il G. dovette frequentare, gli Insensati di Perugia. Lo testimonia un discorso Dello specchio pubblicato nel 1630 dal G. in un volume di orazioni della torinese Accademia dei Solinghi, patrocinata dal cardinale Maurizio di Savoia.
Probabilmente composto per essere declamato davanti a questo auditorio colto ed esigente, il discorso del G. si risolve in una sorta di galleria storica con complessi riferimenti letterari e filosofici. Con una serie di citazioni che vanno dal Vecchio Testamento a Seneca, fino a Dante, Petrarca e Tasso, fa sfoggio della propria erudizione in una compiaciuta quanto ostentata prova d'abilità retorica, che rende il discorso, privo di qualsiasi ambizione scientifica, un divertente e divertito gioco destinato a un pubblico letterato.
La produzione letteraria del G. consiste principalmente in una raccolta di versi di cui esistono tre rare edizioni. La prima, che vide la luce a Bologna nel 1620, reca il titolo Rime del sig. Marcello Giovanetti; segue l'edizione veneziana del 1622, Delle poesie di Marcello Giovanetti, che non dovette essere curata dall'autore; quindi, con il titolo Poesie di Marcello Giovanetti, l'edizione romana del 1626, che con i suoi 223 componimenti, ripartiti tra affettuosi, boscherecci, nuziali, eroici, sacri, vari, risulta essere la più completa e definitiva.
Nella metrica le poesie si rifanno per lo più al sonetto petrarchesco e al madrigale, mentre nello stile si attengono con facilità alle forme in voga: abbondanza di figure retoriche, lingua artificiosa, ricerca di soluzioni originali concorrono alla creazione di versi in cui l'effetto prevale sul senso. In particolare, l'ultima sezione delle Poesie è riservata ai versi che il G. scambia con gli esponenti già menzionati della corte pontificia e dell'alta società, strumento per le relazioni sociali, in cui la lingua, preziosa ed esasperatamente ricercata, assume i toni di un codice riservato a pochi. Le poesie d'amore, piuttosto che essere dettate da sincera passione, sembrano un omaggio alla tradizione letteraria e al costume: la tematica erotica dà largo spazio, più che alla profondità del sentimento, alla fenomenologia sociale. Rispetto a queste composizioni che brillano per grazia e galanteria, altre vivono di immagini più intense, in particolare due che apparterrebbero alla produzione giovanile. Per l'inondazione del Tronto, in quartine, descrive con energia lo spettacolo della violenza della natura (il fiume in piena assume le fattezze di un capitano che guida i suoi all'attacco della città di Ascoli); il Giudacilio moribondo, in endecasillabi e settenari, esalta drammaticamente l'onore e il senso del dovere che fa preferire la morte al disonore della disfatta. La forte esigenza di trasformare in immagine la poesia torna negli epitalami, come L'aquila messaggiera, spettacolare celebrazione a tema mitologico dell'unione tra Marcantonio Borghese e Camilla Orsini. Il rapporto tra poesia e pittura, sull'esempio dell'oraziano "ut pictura poesis", si fa evidente nelle rime d'occasione: le 65 sestine de Il secolo d'oro vedono Apollo, in un viaggio al tempio dell'eternità, designare il potente e colto cardinal Ludovisi come il rinnovatore del valore e della virtù. Delle poesie religiose, che, anche se non profondamente ispirate, si distinguono per l'originale commistione tra sacro e profano, alcune sono agiografiche, in osservanza alla reviviscenza del culto dei santi voluta dalla Controriforma; nel Monte Calvario l'uso sapiente della metafora traduce la spiritualità in immagini di vivido realismo. Anche se non rimangono testimonianze per definirlo collezionista d'arte né sembra essersene appassionato ai livelli del Marino, il G. denuncia nella sua opera un interesse per la pittura adeguato ai tempi, a partire dai due sonetti che hanno come oggetto il proprio ritratto. Significativi a tale proposito sono i versi ispirati dai dipinti del contemporaneo Simon Vouet (amico del Marino), come Le tre Parche con gli archi in mano o La Verità, che il G. sembra apprezzare soprattutto nei loro significati simbolici. Il G. scrisse anche un poema pastorale, La Cilla, pubblicato postumo (Monteleone 1636), e un dramma tragico di cui non rimane traccia, oltre a due trattati di giurisprudenza.
La morte colse il G. a Roma il 14 ag. 1631, mentre era impegnato nella revisione di una centuria De translatione pensionum.
La sua ultima pubblicazione, nello stesso anno della scomparsa, è una biografia del patrono di Ascoli: Vita di s. Emidio martire (Ronciglione 1631), che godette di fortuna posteriore (ebbe ristampe ad Ascoli nel 1731 e a L'Aquila nel 1787). Nella cattedrale della città lo ricorda un'epigrafe posta per volere della madre nella cappella del santo.
Fonti e Bibl.: Una scelta delle liriche del G. in G.B. Marino et al., Opere scelte, a cura di G. Getto, II, Torino 1954, pp. 91, 200-204. Le glorie degli Incogniti, Venezia 1647, pp. 28-31 (contiene un ritratto del G.); B. Croce, Lirici marinisti, Bari 1910, p. 529; A. Tortoreto, Un poeta ascolano e le "Consolatorie" secentesche (M. G.), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, IV (1926), pp. 23-30; W. Crelly, M. G. (1598-1631): a poet of the early Roman Baroque, Lewiston, NY, 1990.